Durkheim Emile (1859 – 1917)

La sostanza del fatto sociale

Le regole del metodo sociologico (2^ parte)

Riflessioni sulla sociologia.

di Claudio Simeoni

 

Cod. ISBN 9788891185778

Teoria della Filosofia Aperta - Volume uno

 

La difficoltà per Durkheim consiste nell'essere inchiodato alla sua idea di creazione. Il fatto, come oggetto in sé, al di fuori della manifestazione degli individui della società e che funge da costrizione nei confronti della società sì da costringere la società, o settori di essa, ad agire in sua presenza, può nascere soltanto dall'idea creazionista per cui, il dio padrone di ebrei e cristiani, creando l'uomo, pone delle condizioni come oggetti in sé stessi che costringono l'uomo ad adeguarsi dando vita a quel movimento sociale che Durkheim e Spencer chiamano progresso (il loro concetto di evoluzione sotto la dittatura della creazione). Il dio padrone e creatore stabilisce delle leggi morali che sono oggetti in sé esterni all'uomo e alle quali la società umana si deve adeguare. Questo modo di pensare, proprio degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani, è un modo di pensare la società che non solo giustifica il genocidio del dio padrone della bibbia, la criminalizzazione che Gesù fa dei Farisei, ma il genocidio che ebrei, cristiani e musulmani hanno messo in atto per imporre il loro dio padrone.

Quando parla della sostanza del fatto, dice Durkheim in Le regole del metodo sociologico p. 33:

Dice Emile Durkheim:

Senza dubbio, se i fenomeni di ordine morfologico fossero i soli che presentano questa fissità, si potrebbe credere che essi costituiscono una specie a parte. Ma una regola giuridica è un assetto non meno permanente di un tipo architettonico, eppure esso è un fare fisiologico. Una semplice massima morale è certamente più malleabile; ma ha forme ben più rigide di un semplice uso professionale o di una moda. C'è così tutta una gamma di sfumature che, senza soluzione di continuità, collega i fare strutturali più caratteristici alle libere correnti della vita sociale che non sono ancora imprigionate in nessuno stampo definito. Ciò significa che essi differiscono soltanto per il grado di consolidamento che presentano: gli uni e le altre non rappresentano altro che vita più o meno cristallizzata. Indubbiamente può essere utile chiamare morfologici soltanto quei fare che concernono il substrato sociale, a patto però di non dimenticare che essi hanno la stessa natura degli altri. La nostra definizione comprenderà quindi tutto l'oggetto da definire se diremo che è un fatto sociale ogni modo di fare, più o meno fissato, capace di esercitare sull'individuo una costrizione esterna oppure un modo di fare che è generalmente l'estensione di una società data, pur avendo esistenza propria, indipendentemente dalle sua manifestazioni individuali.

Il fatto, cui assiste, si manifesta in tre dimensioni dell'umana esistenza. Nella concezione creazionista il fatto, che agisce sulla società dando il via a comportamenti sociali, si manifesta solo nella dimensione razionale, nella forma rappresentata, della percezione umana.

Prendiamo una massima morale che agisce nella società e costringe gli individui a dei "comportamenti sociali". Tale massima morale la consideriamo un fatto. Dice Durkheim: "A me non interessa il finalismo del fatto, mi interessa che si esprime nella società costringendo, di fatto, a dei comportamenti". Questo è un fatto sociale. Io, dice Durkheim, vedo la sua azione che condiziona il comportamento degli uomini.

Darkheim ritaglia uno scampolo di tempo tranciando la vita degli uomini. Non è un modo scientifico di procedere, è un modo fideistico. Il fatto appare, come atto di creazione divina, fra gli occhi dell'osservatore che contempla l'azione del fatto nel costringere gli uomini ad agire.

Dal momento che Durkhhein pensa che il mondo sia creato da dio, dalla creazione di dio deriva il fatto che spinge gli uomini ella società in quella direzione d'azione.

Durkheim se anziché essere un creazionista fosse un evoluzionista, si chiederebbe: "Quali sono le condizioni sociali che hanno prodotto il fatto?". Inoltre, visto che il fatto, agli occhi dell'osservatore, agisce in questo momento condizionando il comportamento degli individui, esiste sicuramente, almeno in un attimo precedente, una condizione sociale o un'esigenza di uomini nella società che ha manifestato quel fatto.

Il fatto, che l'osservatore vede agire come costrizione nella società, è prodotto da esigenze della società (o da alcuni individui o da settori della società stessa), imposto alla società come elemento costrittivo interno della società che lo trasforma come elemento caratterizzante quella società. Non è il fatto che ha una sua personalità, ma il terrore che alcuni uomini della società (o settori di essa) mettono in atto qualora la società, o parte di essa, non risponda opportunamente al fatto che loro stessi hanno imposto. Quando? Anche in un tempo lontano! Perché il tempo, a differenza di quanto afferma Durkheim, viene vissuto nel presente ma, per quanto riguarda la manifestazione emotiva dell'uomo, sempre rinnovato.

In sostanza, un fatto morale imposto da alcuni uomini per i loro interessi 2000 anni or sono, fintanto che a guardia ci sono uomini armati e le madri lo rinnoveranno sui figli (che corrisponde ad altrettanta guardia armata delle madri sui figli), è un fatto sempre in atto. Quell'essere in atto, per quella costrizione morale, non è dovuto perché quella costrizione morale ha una sua "realtà" o "oggettività", ma perché è negli interessi di settori sociali rinnovarne, generazione dopo generazione, l'interferenza che ha nella struttura emotiva dell'uomo.

E' sufficiente, oggi come oggi, considerare la rivoluzione sessuale di Reich operata fra il 1966 e il 1970. La liberazione dalle coercizioni sociali hanno dominato lo sviluppo delle società col terrore di eserciti, punizioni, galere, leggi per il controllo della sessualità delle persone, terrore sui bambini, ecc. La coercizione della morale sessuale non aveva nulla di "naturale". Dopo oltre 40 anni assistiamo ad un rimodulazione sociale delle relazioni sessuali nella società in assoluta rottura con le imposizioni morali della chiesa cattolica e spesso impreviste ed imprevedibili da chi hanno promosso i percorsi di liberazione della sessualità sociale.

Un fatto, come i fenomeni considerati da Durkheim, nascono, si fissano e si rinnovano in tre dimensioni della percezione umana. L'emozione, l'azione e la forma. L'insorgenza del fatto, che Durkheim interpreta come fenomeno (sia morale, giuridico, tradizionale, comportamentale, ecc.), è data dalla necessità di alcune persone di garantire a sé stesse la sicurezza nella propria esistenza. In un dato tempo sociale, delle persone forgiano una "regola morale" al fine di garantirsi un privilegio sociale. Ad esempio, "Non desiderare la donna d'altri", equivale a fissare sia il concetto di proprietà sulla donna, sia a conchiudere la relazione del desiderare nella sessualità. Alcuni uomini desiderano trasformare la donna in oggetto di possesso e conchiudere le relazioni sessuali all'interno di una propria esclusività. Dal momento che chi gestisce la forza sociale determina la regola sociale a cui altri si devono attenere, pena lo scatenarsi della sua forza militare, il concetto morale diventa "conveniente" per la sopravvivenza di chi potrebbe soccombere a quella forza. Le madri impongono ai loro figli quel principio morale affinché non vengano ammazzati da chi detiene la proprietà sulla donna e gestisce le relazioni sessuali esclusive. Il tempo fissa il principio morale scindendo il principio dall'oggetto, a cui serviva forgiare quel principio. Dal momento che al Comando Sociale interessa il controllo della sessualità delle persone sottomesse e la legittimazione della "sua" proprietà della donna, mediante il terrore delle armi rinnova il principio morale secondo cui le madri, per suo conto, sono costrette a trasmetterlo a figli e figlie. Ne consegue che la seconda fase in cui il principio morale si fissa come fatto sociale è il tempo. Di generazione in generazione, ciò che era un'esigenza di alcuni individui della società, viene pensato come oggetto in sé. Il fatto morale si fissa nella struttura emotiva delle persone come se fosse una condizione naturale. Il principio, sorretto dall'esercito, polizia e leggi coercitive, costringe le persone a rinnovare la coercizione che consente al fatto di costringere gli uomini nei comportamenti. La terza dimensione è quella osservata dall'osservatore che non cogliendo né la dimensione tempo, né la dimensione emotiva. L'osservatore ritiene che il fatto appaia magicamente, come oggetto in sé, e che condizioni i comportamenti sociali dell'uomo producendo dei comportamenti. Da questo, mediante la propria superstizione, Durkheim presume che il fatto sia un oggetto in sé.

La condizione morale del "non rubare" è prodotta da uomini che dopo aver "rubato" tentarono di preservare il proprio furto dall'azione di altri uomini incidendo sulla loro struttura emotiva mediante l'imposizione di un principio morale che divenne, generazione dopo generazione, un imperativo della coscienza individuale. Il fatto, il "non rubare", non è un ordine morale naturale, ma è un'esigenza di settori della società di preservare il proprio potere dopo averlo sottratto ad altri individui (da qui il concetto di Proudhon secondo cui "la proprietà è un furto").

Come filosofo e come scienziato, io non posso dire: "Va bene, quello ha rubato, però da ora in poi non si ruba più!". Il dio padrone dei cristiani ha macellato gli abitanti della città per darla agli ebrei e ora nessuno può rubare la città agli ebrei. Non è perché gli ebrei hanno fatto quell'azione 2000 anni or sono e allora, adesso hanno acquisito il diritto di proprietà e nessuno può chiedere giustizia.

Il fatto di poter rubare una città e di macellarne gli abitanti è prodotto dal desiderio della società, o di parte di essa, in quel momento temporale e il macellare gli abitanti, qualora serva rubare loro una città, diventa un fatto che condiziona il comportamento di uomini che macellano gli abitanti per rubare loro una città: vedi l'olocausto ebraico.

Non è importante se la nascita del fatto, generato dai bisogni degli uomini è fatta in un tempo antico. Quando il "meccanismo morale" si sedimenta nella struttura emotiva diventa, in potenza, una possibilità e veicolato nelle azioni, anche se con forme e modalità differenti, ogni volta che i bisogni dell'uomo, per essere soddisfatti, necessitano di sottrarre qualcosa a qualcun altro. Tale comportamento è una possibilità sedimentata nella struttura emotiva degli individui e l'imperativo del "non rubare" è solo un artificio retorico perché si limita a negare la soddisfazione del bisogno che un individuo soddisferebbe rubando.

Pertanto il fatto non ha una propria personalità. Non è un oggetto in sé. Non ha una propria intelligenza.

Per contro, la relazione a cui assiste l'analista e nella quale individua l'intervento del "fatto", ha una sua personalità che agisce sui soggetti che costruiscono la relazione stessa, ma non le condizioni, il fatto, alle cui sollecitazioni i soggetti rispondono. Il fatto non si manifesta mentre l'osservatore guarda. L'osservatore è cieco davanti al fatto perché non coglie le relazioni che vivono gli uomini della società e si limita ad afferrare solo la manifestazione degli individui nel presente che osserva come se il fatto, le condizioni, fosse creato con una personalità dal suo dio padrone.

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume uno

 

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Nel 1995 (mese più, mese meno) mi sono posto questa domanda: se io dovessi confrontarmi con i filosofi e il pensiero degli ultimi secoli, quali obiezioni e quali argomenti porterei? Parlare dei filosofi degli ultimi secoli, significa prendere una mole di materiale immenso. Allora ho pensato: "Potrei prendere la sintesi delle loro principali idee, per come hanno argomentato e argomentare su come io mi porrei davanti a quelle idee." Presi il Bignami di filosofia per licei classici, il terzo volume, e mi passai filosofo per filosofo e idea per idea. Non è certo un lavoro accademico né ha pretese di confutazione filosofica, però mi ha permesso di sciacquare molte idee generate dalla percezione alterata nel fiume del pensiero umano.

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Marghera, 08 settembre 2012

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell’Anticristo

Tel. 3277862784

e-mail: claudiosimeoni@libero.it

La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.