L'Uno è soltanto perfetta potenza

Dal VI° libro dell'Enneadi – 8^ parte

Volontà e libertà dell'Uno

di Claudio Simeoni

Nona parte

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Plotino aferma che l'Uno è soltanto perfetta potenza.

Un solo pensiero non sfiora mai Plotino: l'Uno non esiste.

Per Plotino l'Uno esiste come concetto apriori e per giustificare e definire l'Uno usa la sua immaginazione.

Plotino dice:

"... dobbiamo dire che non è possibile che Egli, Principio di tutte le cose, sia qualche cosa di accidentale, né che sia inferiore, né che sia buono, non buono in sé, ma in senso limitato, cioè manchevole; al contrario, il Principio di tutte le cose deve essere superiore a tutto ciò che è dopo di Lui."

Appare evidente come il proseguo del ragionamento di Plotino tenda a giustificare affermazioni di questo tipo.

In questo paragrafo Plotino vuole sottrarre l'Uno ad ogni forma di analisi e di giudizio. I suoi assoluti, fonte della sua immaginazione (nulla di tutto questo è presente, ad esempio, negli Oracoli Caldaici), vengono così sottratti ad ogni immaginazione futura. Inoltre, vengono spostati in un'immaginario trascendentale dal quale l'Essere Umano può solo subire le emanazioni in quanto, davanti al Tutto e all'Uno, di cui il Tutto è emanazione e rappresentazione, deve sentirsi umile e grato.

Se viene pensato un attributo, immaginato all'infinito e attribuito all'Uno, dal momento che chi immagina non ha competenze sull'Uno deve pensare a quell'attributo in maniera soggettiva quale proiezione di sé stesso.

Allora cosa resta? Resta il coinvolgimento emozionale dell'individuo nell'immaginario imposto da Plotino. In quel coinvolgimento emotivo l'individuo, quando lo soggettiva, risolve la propria trasformazione attraverso la rinuncia ad esercitare la propria libertà e il proprio libero arbitrio. Libertà e libero arbitrio che Plotino ritiene inutile attribuire agli oggetti sensibili in quanto, essendo questi manifestazione della creazione dell'Uno, ne sono privi.

Gli oggetti sensibili devono tendere al Bene, cioè sottomettersi all'immaginario di Plotino che lui chiama Bene, interiorizzarlo e riprodurlo nella propria esistenza senza una finalità diversa dalla manifestazione del Bene immaginata da Plotino in quanto, quanto Plotino immagina, è sicuramente la manifestazione dell'Uno.

Plotino non prova le sue affermazioni perché essendo queste il prodotto del proprio condizionamento educazionale, Plotino non può oggettivare sé stesso. Il sé stesso di Plotino resta chiuso nella sua sfera soggettiva.

Plotino non può uscire da questa trappola e, attraverso questa, Plotino tende una trappola a tutti gli Esseri Umani. Una trappola che non è limitata alle leggi del pensiero, ma che si traduce in una struttura ideologica pragmatica con cui controllare il loro quotidiano. Una struttura che si cala negli Esseri Umani costringendoli a farla propria e a riprodurla nei loro figli.

Una trappola feroce e senza scampo Dice Plotino:

""E' necessario" piuttosto che gli altri esseri siano in attesa per sapere come si presenterà ad essi il Re. E così com'Egli è, così essi lo devono guardare, non come uno che appaia a caso , ma come il vero Re, il vero Principe e il vero Bene, e non come uno che operi conforme al Bene, perché in questo caso mostrerebbe di seguire un altro, ma poiché Egli è l'Uno, non è conforme a Lui, ma è l'Uno stesso. Se nemmeno dell'Essere si può dire che "accadde" (infatti, se qualche cosa accade, accade all'Essere, ma l'Essere come tale non accade; né è per caso che l'Essere sia così, e neppure è a causa di un altro che esso sia così com'è, ma è la sua natura stessa di essere Ente), come si potrebbe immaginare che si possa dire che "accadde così" a Colui che è al di là dell'Essere, a colui che spetta di generare l'Essere, l'Essere che non "accadde mai", ma è com'è l'essenza stessa, la quale è "ciò che è", cioè l'Essere e insieme l'Intelligenza? In questo modo anche dell'Intelligenza si potrebbe dire che "le accadde di essere l'Intelligenza", potesse diventare intesa da quello che è. Se c'è un Essere che non sorpassa mai sé stesso, né mai esce da sé stesso, è proprio questo che deve essere chiamato, nel senso più rigoroso, "ciò che è"."

Non male come trappola.

Nulla è discutibile, tutto deve essere accettato perché tutto è immaginato. Con quanto immaginato si alzano barriere davanti alle obiezioni. Tutto questo nella vita quotidiana si traduceva nel fatto che ciò che era, era ciò che è accaduto. Le accadde di essere un padrone; le accadde di essere un re; le accadde di essere un povero e un miserabile, le accadde di dover servire ecc..

Quando si procede per immaginazione le conseguenze sulla vita quotidiana sono atroci. Quando si agisce all'interno della vita quotidiana allora l'immaginazione è al servizio della costruzione degli uomini o, quando non è così, è al servizio dei progetti di qualcuno. Però diventa sempre lettura astratta dei progetti, delle intenzioni, dei fini e degli scopi degli Esseri Umani perciò diventa manifestazione di nous. Quando, al contrario, si usa l'immaginazione come manifestazione dell'individuo e si piega il reale quotidiano all'immaginazione, allora non è più manifestazione del nous, ma diventa un'operazione di "manifestazione di onnipotenza" il cui fine è la distruzione del nous all'interno degli Esseri Umani.

E' questo che succede a Plotino: egli non ha un progetto reale per modificare il quotidiano, ma manifesta la sua immaginazione al di sopra del quotidiano stesso. La stessa operazione è quella che viene fatta dal cristianesimo che usa l'immaginazione (tipo quella del dio padrone e creatore) per imporre una verità agli Esseri Umani attraverso la quale distruggere i loro cammini di libertà. Vengono imposte delle preposizioni di un immaginario assolutamente viscerale che possono reggere soltanto finché qualcuno le impone ai bambini e costringe la loro immaginazione a scorrere all'interno di una immaginazione imposta.

Il concetto di uscire da sé stesso è un altro concetto frutto dell'immaginazione. Se si dice che un Essere non esce da sé stesso vale anche per il fatto che l'Essere non si dilata in quanto non ha in sé nessun bisogno e allora, che necessità c'è di definirlo un essere potente ed assoluto?

Quanto definisco potente ed assoluto lo definisco in relazione al mio esistere, ma se lui non ricade sotto i miei sensi, né ha relazioni col mio esistere, allora necessariamente cessa di essere d'interesse con le mie azioni e con le proposizioni con le quali costruisco la vita. Se il suo Potere, il suo Bene e la sua Intelligenza sono tali da non dilatare sé stesso o il nostro sé stessi, da non essere sottoposti a condizioni, da non essere sottoposti a bisogni e di vivere in sé stessi al punto tale che anche l'immaginazione è esterna al noi stessi; vorrei sapere in quale modo si può definire Bene e Intelligenza se non come misura del soggetto che le declama.

Da cui si deduce che l'unica manifestazione di potere e di potenza che ha l'Uno, in questo caso, è la manifestazione Morale di Plotino che imponendosi attraverso gli attributi assoluti ed irraggiungibili dal mio ragionamento mi costringe ad aderire alla sua morale, al suo concetto di Intelligenza, al suo concetto di Bene, privandomi del mio nous col quale vado ad affrontare la mia esistenza.

Il concetto assoluto di potenza, a questo punto, si traduce sul controllo delle mie azioni, dei miei desideri e delle mie aspirazioni. Io, povero miserabile, senza attributi assoluti, debbo piegare i miei bisogni e le mie tensioni ad un concetto di Bene che proprio perché è indefinibile viene a privare le mie tensioni e i miei desideri del loro aspetto propositivo finalizzato a costruire la mia esistenza. Io rinuncio a diventare DIO per accedere al Bene che altro non è che manifestazione di Plotino: vale per qualunque altro si sostituisca a Plotino!

Si giunge alla "perversione" di Plotino che afferma:

"Egli è ben diverso da tutte le cose, delle quali si dice il "così". In quanto tu lo vedi indeterminato, tu puoi enumerare tutti gli esseri che sono dopo di Lui, ma dovrai ammettere che egli non è nessuno di essi, ma che è onnipotenza padrona di sé stessa e che è ciò che vuole, o meglio, che riversa "ciò che vuole" sugli esseri, perché in sé stessa è maggiore di ogni voleree ha posto il volere dopo di sé. Questa potenza, dunque, non vuole essere "così"; e nessuno altro la creò "così"."

Vediamo come l'immaginazione chiede sottomissione all'interlocutore. Chiede all'interlocutore di accettare quanto viene immaginato ed espresso e di accettare quell'immaginato come reale mettendolo a fondamento del proprio pensato e motore delle proprie decisioni e azioni.

Questa voglia di riaffermare il potere dell'immaginazione sul reale è propria di chi non usa l'immaginazione per estendere il reale, ma chi ha rinunciato al reale per costruirsi un rifugio nel quale giustificare sé stesso. Ancora una volta il filosofo usa una retorica per giustificare sé stesso, deve, il suo enunciato, non è definizione del percepito, dell'intuito o del sensibile che lo attraversa anche se trascendente rispetto alle definizioni della ragione, ma si tratta di un trascendente svincolato dalla fisicità di chi lo manifesta quale immaginazione fantastica di una ragione sconfitta nella propria quotidianità.

Quando quest'immaginazione viene messa a fondamento delle azioni degli Esseri Umani, appare evidente che si formano delle contrapposizioni fra chi soggiace all'immaginazione, la fa propria e la riversa su altri Esseri Umani pretendendo che questi la fagocitino a loro volta e chi, invece, rifiuta quest'immaginazione preferendo o la propria immaginazione o una diversa immaginazione quale estensione della propria individualità.

 

N.B. Le citazioni di Plotino sono prese dalla traduzione di Giuseppe Faggian ed. Bompiani!

 

Scritto in Marghera il 23 luglio 2001

 

Pagina tradotta in lingua Portoghese

Tradução para o português O Uno è somente potência perfeita

 

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Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell’Anticristo

Tel. 3277862784

e-mail: claudiosimeoni@libero.it

 

Il neoplatonismo plotiniano

L'ideologia neoplatonica è la mamma ideologica del cristianesimo. Il papà ideologico è l'ebraismo. Il cristianesimo non è nato dalla "predicazione di Gesù", ma da un'elaborazione ideologica fatta dai neoplatonici per fermare la deriva messianica e apocalittica che stava mettendo in pericolo la società romana. Come spesso accade, il rimedio può risultare più distruttivo del male.