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Il concetto di reciprocità è un concetto ignoto ai cristiani in quanto era ignoto a Gesù. Quel concetto secondo cui "non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te, non è un concetto di reciprocità, ma è la negazione della reciprocità in quanto, in tutti i vangeli, non si applica mai a Gesù o al dio dei cristiani.
Il principio di reciprocità, quello che nel nostro sistema giuridico va sotto il nome di "uguaglianza" non solo non si applica a Gesù, ma si pretende che Gesù non debba rispondere delle sue azioni e delle sue affermazioni.
Le opere che faccio, secondo Giovanni avrebbero dovuto dimostrare che Gesù era il figlio del dio padrone. Ma le opere, quelle elencate nel vangelo, non dimostrano che lui fosse il figlio del dio padrone, ma al contrario dimostrano che lui usava trucchi di bassa lega come ogni ciarlatano di quei tempi. Far uscire il coniglio dal cappello non dimostra che sono uno Stregone, dimostra che so fare dei trucchi. Il fatto che Esculapio guarisse ferite gravissime, non lo faceva perché era figlio del dio, ma proprio perché guariva ferite gravissime, che in altri casi potevano essere mortali, si poteva identificarlo come figlio del dio. Ma Esculapio divenne figlio del dio quando modificò sé stesso e individuò nel mondo, nella vipera, il fattore di crescita. Esculapio non ha detto "Guarisco perché sono figlio del dio", ma l'esercizio e la ricerca della conoscenza che mi ha portato a guarire, mi ha fatto diventare figlio del dio.
Cosa avrebbe significato dire ai Giudei (e per estensione agli uomini) in una discendenza di sangue come gli ebrei e i cristiani hanno imposto, "Sono il figlio del dio padrone?".
Significava dire alle persone: sono il vostro padrone e voi siete i miei schiavi, dovete mettervi in ginocchio!
Scrive il vangelo di Giovanni a proposito della festa della Dedicazione il cui discorso divido in tre paragrafi:
1) Si celebrava allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno e Gesù passeggiava nel Tempio, sotto il portico di Salomone. I Giudei lo circondarono e gli dissero: "Fino a quando ci terrai con l'animo sospeso? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente". Rispose loro Gesù: "Ve l'ho detto, ma non credete; le opere che faccio in nome del Padre mio, queste mi rendono testimonianza, tuttavia voi non credete, perché non siete delle pecore mie. Le mie pecore ascoltano la mia voce: io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna ed esse non periranno mai, e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è il più grande di tutti, e nessuno può rapirle di mano al Padre mio. Io e il Padre siamo uno".
2) Di nuovo i Giudei dettero di piglio alle pietre per lapidarlo. Ma Gesù disse loro: "Molte buone opere vi mostrai, per virtù del Padre mio: per quale di queste opere mi lapidate?". Gli risposero i Giudei: "Non ti lapidiamo per nessuna opera buona, ma per una bestemmia, perché tu, che sei uomo, ti fai Dio". Replicò loro Gesù: "Non è scritto nella vostra legge: "Io dissi: Voi siete Dèi"? Se chiama Dèi quelli ai quali fu rivolta la parola di Dio, -e la scrittura non può essere annullata, - a colui che il Padre ha consacrato e mandato per il mondo, voi dite che bestemmia, perché ho detto: "Sono figlio di Dio"? Se non faccio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le faccio, anche se non volete credere a me, credete alle opere, affinché sappiate e conosciate che il Padre è in me ed io nel Padre". Tentarono perciò nuovamente di prenderlo, ma egli sfuggì loro di mano.
3) Se ne andò di nuovo oltre il Giordano, nel luogo dove Giovanni aveva battezzato, e ci si fermò. Or, molti andavano a lui e dicevano: "Giovanni, certo, non fece alcun miracolo, ma tutto quello che disse di costui è vero". E lì molti credettero in lui.
Giovanni 10, 22 – 42
Anche in questo capitolo prosegue quanto dice Giovanni nei capitoli precedenti. La novità sta nel fatto che Giovanni vorrebbe collocare Gesù all'interno di quella che pensa sia stata l'élite intellettuale di quel tempo. Non è un falegname che pretende di togliere il posto ad un rabbino. E' uno importante, uno che insegna a Gerusalemme, al tempio. Come Socrate nell'Agorà. Cosa significa questo? Giovanni vuole attribuire a Gesù il ruolo che affermava, nell'Apologia, di coprire Socrate ad Atene.
Le città dell'impero romano avevano migliaia di insegnanti, solo a Gerusalemme non ce n'erano. A Cirene, Alessandria, Roma, Atene erano piene di insegnanti che iniziavano ad insegnare nei posti poveri e mano a mano che crescevano di importanza occupavano i posti privilegiati in cui insegnare. Erano insegnanti di strada. Insegnavano sotto i portici, nei mercati, nelle piazze, ecc. A Gerusalemme. Come riporta Celso, c'erano decine di persone miserabili, povere, la cui miseria era prodotta dall'ideologia religiosa ebrea, spesso malati che affermavano di essere i figli di dio e annunciavano la fine del mondo.
Giovanni che ignora la situazione sociale di Gerusalemme e la immagina come un'altra città dell'impero romano, si inventa questo Gesù ad immagine e somiglianza di Socrate. Giovanni voleva attribuire a Gesù un ruolo importante.
Il Gesù di Giovanni non è il Gesù della setta di Matteo, né il pederasta descritto da Marco (che fra l'altro fa finire il suo vangelo con la morte di Gesù. La resurrezione e le apparizioni sono un'aggiunta posteriore). Il Gesù di Giovanni è un maestro importante che insegna al tempio. Ha insegnato, ha profetizzato ed ora sta passeggiando, quasi per tentare di mettere a riposo l'animo sotto il portico di Salomone. Sembra di vederlo: quasi fosse Aristotele che passeggiava nel peripatio dell'Accademia o Socrate nell'Agorà.
Questo è l'intento di Giovanni. Questa è l'impressione che Giovanni vuole fissare nel lettore. E' un aspetto strano! Nessuno parlava con Gesù, nessuno è presente al dialogo, Giovanni non dice perché lui era là. Perché? Perché il lettore possa immaginare! Perché il lettore possa lavorare di fantasia! Perché il lettore, identificandosi con Gesù, possa pensare alle nobili azioni e ai nobili motivi perché il suo amato Gesù stesse camminando sotto il portico di Salomone.
In quel momento il lettore si sente avvolto dalla rabbia. La rabbia nei confronti dei perfidi Giudei che non gli permettono nemmeno di passeggiare in pace sotto il portico di Salomone. Quale perfidia! Il lettore si sente avvolto dalla rabbia perché i Giudei sono pronti ad affrontare il buon Gesù e a porgli delle domande tranello. Quanto sono perfidi questi Giudei! Come fece bene Recaredo a strappare loro i figli facendoli diventare schiavi di famiglie cristiane. Come fecero bene i crociati a saccheggiare e a costringere alla miseria materiale questi individui che facevano della miseria morale la loro dote! Come fece bene Maometto a distruggerne le città!
Il buon Gesù passeggia e questi perfidi gli tengono una trappola. E che trappola! Non aveva detto forse in molte altre occasioni che egli era il figlio del dio padrone e padrone lui stesso? Perché questi perfidi Giudei continuavano ad importunarlo invece di prostrarsi in ginocchio davanti a lui come lui voleva? Ora, questi boriosi di Giudei, affermano che lui li tiene in sospeso. Perché, invece, non si mettono in ginocchio e non credono in lui? Quante domande ha instillato nel lettore Giovanni! Tu lettore sii più furbo dei Giudei! Tu sottomettiti a me e non chiedere ancora quanto già ti dissi!
"Vi ho già detto che sono il vostro padrone, il cristo, ma voi non volete mettervi in ginocchio davanti a me!" "Se le parole che vi dico non vi bastano guardate le mie opere! Guardate quanto sono bravo! Potrei essere così bravo se non fossi un dio?" Voi, dice Gesù, siete sempre qui a rompermi la scatole con domande che io ritengo inutili perché non siete bestiame del mio gregge. Voi non siete sufficientemente sottomessi. Non siete sufficientemente pecore del mio gregge. Se voi foste completamente sottomessi a me ascoltereste la mia voce. Correreste là dove io vi direi di correre. Vi gettereste nel burrone che io vi indico. Non chiedereste perché o percome ma agireste seguendo la mia parola solo per il fatto che è la mia parola. Se voi foste le mie pecore riconoscereste il legame di dipendenza che vi lega a me e senza il quale non potete vivere.
Cosa afferma di dare al suo bestiame Gesù? Al suo bestiame afferma di dare la vita eterna. Ammesso che questo fosse vero, il suo bestiame avrebbe la vita eterna in quanto bestiame, non in quanto Esseri Umani che determinano sé stessi!
Determinare sé stessi! Questa è la forza che il Gesù descritto da Giovanni teme. La capacità di determinare sé stessi attraverso l'uso della volontà soggettiva non strapperà le pecore che mi ha dato il dio padrone, mio padre, dalla mia mano. Il dio padrone, mio padre, mi ha dato gli uomini come pecore del mio gregge strappando loro la volontà e la determinazione soggettiva. Nessuno può rapirle dalla mia mano ridando loro la volontà e la determinazione che il dio padrone, mio padre, ha strappato loro.
Io e il dio padrone mio padre siamo uno, dice Gesù. Lavoriamo insieme per impedire agli Esseri Umani di costruire la loro soggettività proiettandola nell'infinito dei mutamenti. Quello che mi dà mio padre io lo coltivo affinché egli sia contento di quello che faccio: la distruzione del divenire umano! Io, dice Gesù, realizzo la volontà di mio padre: impedisco agli uomini di cogliere dall'albero della vita eterna.
Nella seconda parte di questo capitolo viene identificata una delle cose che Giovanni sta tentando di distruggere: la capacità degli Esseri Umani di farsi déi. Solo che, mentre nella pratica gnostica e nelle religioni misteriche questa capacità era un elemento comune e normale di trasformazione soggettiva dei singoli individui, in Giovanni diventa la prerogativa per cui il suo profeta pazzo giustifica la sua azione di appropriazione e sottomissione degli Esseri Umani.
Anche in questo capitolo dobbiamo tener presente dove Giovanni vuol fissare l'attenzione del lettore per poterlo distrarre dalle sue intenzioni di sottomissione e distruzione.
Questi malvagi Giudei prendono le pietre e tentano di colpire Gesù. Gesù chiede loro perché, nonostante, secondo lui, abbia fatto molte opere buone, loro lo vogliono colpire. Chiede per quale opera buona che ha fatto loro vogliono punirlo così duramente. Allo stesso modo Socrate afferma le medesime cose durante il suo processo.
Nell'Apologia a Socrate:
Io credo, invece, che sia un male molto più grande fare quelle cose che ora fa Anito, ossia cercare di mandare a morte un uomo contro giustizia. E dunque ora, cittadini ateniesi, io sono ben lontano dal pronunciare una difesa a mio vantaggio, come qualcuno potrebbe pensare, bensì a vostro vantaggio, perché, col condannarmi, non cadiate in una colpa nei confronti del dono che il dio vi ha dato.
Infatti, se mi condannerete a morte, non potrete trovare facilmente un altro, quale sono io, che sia stato posto dal dio a fianco della Città, come - anche se possa sembrare piuttosto ridicolo a dirsi - al fianco di un grande cavallo di razza, ma proprio per la grandezza un po' pigro e che ha bisogno di venir pungolato da un tafano. In modo simile mi sembra che il dio mi abbia messo al fianco della Città, ossia come uno che, pungolandovi, perseguendovi e rimproverandovi ad uno ad uno, non smetta mai di starvi addosso durante tutto il giorno, dappertutto.
Lo stesso meccanismo che usa Gesù era stato usato da Socrate. Non ti lapidiamo per nessuna opera che tu chiami buona, ma per aver preteso di essere il nostro padrone, il nostro duce, il nostro re, il nostro dittatore in nome del dio padrone di cui affermi di essere il figlio.
La palla batte la sponda e.... poi, va in buca. Cos'è la buca per Giovanni? La guerra contro il paganesimo misterico o, se vogliamo più in generale, gli gnostici. Che cos'è la sponda? Coloro che, non contando, possono essere indicati a disprezzo: i Giudei! Lo stesso per Platone: la palla batte la sponda e… poi, va in buca. Cos'è la buca per Platone? La guerra contro la democrazia in funzione della dittatura dell'aristocrazia. Che cos'è la sponda? Coloro che non contando, per l'aristocratico, possono essere indicati a disprezzo: i cittadini di Atene.
Per cosa i Giudei vogliono lapidarlo? Perché egli dice di essere figlio del loro dio padrone e pretende di essere il loro padrone. Cosa ribatte Gesù? "Chiama Dèi quelli cui fu rivolta la parola di dio".
Mentre nelle religioni misteriche e nel Paganesimo il termine Dèi va riferito a chi sviluppa il proprio Potere di Essere modificando e perfezionando sé stesso nell'infinito dei mutamenti; nel cristianesimo l'uso del termine "io sono un dio" magari "io sono figlio di dio" non viene riferito al Potere di Essere bensì al Potere di Avere. Qual è la differenza? Che se io affermo, come fanno i Pagani Politeisti, "Io sono un dio" lo affermo per affrontare l'universo nel quale intendo costruirmi e modificarmi (posso farmi Ercole per affrontare i problemi della vita e, attraverso questo diventare un dio). Se io affermo, come fanno gli individui delle religioni rivelate quando si ritengono padroni di private rivelazioni, "Io sono un dio" o peggio "Io sono figlio di dio; Io sono inviato del dio", viene manifestata l'intenzione di sottomettere gli altri Esseri Umani alla propria rivelazione. Ci si propone per essere padroni degli Esseri Umani. Quando questi Esseri Umani non gradiscono un padrone o questi reagiscono violentemente oppure, il figlio del dio padrone li macellerà tutti.
Così fu per Platone che pensandosi il filosofo in diritto di governare in quanto saggio, e tutti dovevano obbedirgli, non gli andò molto bene a Siracusa con Dionigi II. Qualche sasso glielo hanno tirato.
Riprendiamo la citazione del Vangelo di Giovanni già segnalata:
"Io dissi: Voi siete dèi"? Se chiama dèi quelli ai quali fu rivolta la parola di Dio, -e la scrittura non può essere annullata, - a colui che il Padre ha consacrato e mandato per il mondo, voi dite che bestemmia, perché ho detto: "Sono figlio di Dio"?
Sarebbe interessante sapere da dove Gesù, secondo Giovanni, trae la citazione o dove la trae Giovanni per attribuirla a Gesù.
Il concetto fondamentale su cui si basa la bibbia "e la scrittura non può essere annullata", come dice Giovanni, è:
Ecco, l'uomo è divenuto come uno di noi avendo la conoscenza del bene e del male: che non stenda ora la sua mano e non colga dall'albero della vita per mangiarne e vivere in eterno.
Genesi 3, 22
In tutta la bibbia e nei vangeli, diventare un dio è una bestemmia perché il comandamento "non avrai altro dio fuori di me" implica la non esistenza di un oggetto concorrenziale del dio padrone: non esiste altro dio. E se tu te lo fai, vai lapidato, ucciso, scannato, perché io, dice il dio padrone cristiano, il padrone tuo, il dio padrone, sono un padrone geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano (deuteronomio 5, 9).
In campo gnostico, in alcuni vangeli apocrifi, c'è il concetto del dio che cresce dentro l'uomo perché quel dio non è stato creato dal dio creatore (il demiurgo), ma proprio perché il dio creatore ha bestemmiato, affermando di essere l'unico dio, Sophia, la sapienza, ha punito il dio creatore, il demiurgo, mettendo nell'uomo la scintilla divina. Quando il dio creatore, dice quel vangelo, ha scoperto che l'uomo era uguale a lui, un dio che cresceva, il dio creatore lo ha cacciato dal paradiso affinché non diventasse consapevole della sua realtà divina. Ma quest'idea appartiene ad alcuni gruppi gnostici.
Giovanni, nel suo vangelo, sembra aver messo in atto un tentativo di screditare gli Esseri Umani che, modificando sé stessi per affrontare lo sconosciuto che li circonda, nutrono un assoluto disprezzo per chi, come il Gesù di Giovanni, incapace di affrontare il sapere e la conoscenza devono chiedere agli Esseri Umani di inginocchiarsi per soddisfare loro stessi.
Non è il dio padrone degli Esseri Umani che rivolgendo la parola li trasforma in Dèi, ma gli Esseri Umani che compattando sé stessi nella quotidianità con bestemmie e imprecazioni nei confronti dell'inganno dell'esistenza, serrando i pugni e digrignando i denti, si trasformano in Dèi costruendo sé stessi nell'infinito dei mutamenti. Questi sono coloro che diventano gli Dèi umani! Questi non saranno mai pecore di un gregge! Chiunque sia o pretende di esserne il pastore. Questo tipo di uomini sono pronti a lapidare chi pretende di imporsi come il loro padrone.
Il vangelo di Giovanni ha lo scopo di imporre la sua descrizione di Gesù come figlio del dio padrone e padrone lui stesso. Il discorso sugli Dèi è un discorso assolutamente strumentale e privo di significato dottrinale. Un modo per ribattere agli gnostici quando l'estensore del Vangelo di Giovanni non avrebbe mai pensato di essere assimilato in contiguità a vangeli precedenti come quello di Matteo, Marco e Luca. Il discorso è strumentale e serve per contrastare l'influenza degli gnostici nell'ambiente che l'estensore del vangelo di Giovanni voleva controllare, tipo Tomaso Didimo che dice nel paragrafo 31 del vangelo trovato a Nag Hammadi nel 1945:
Gesù disse: "Dove si trovano tre Dèi, sono tre Dèi; dove sono due o uno io sono con lui".
Il Gesù di Giovanni è l'unico dio possibile in quanto figlio del dio padrone. Cosa vuoi che gli interessino gli Dèi a chi si pensa il padrone degli uomini? A Gesù interessano solo le pecore che ascoltano la sua parola. A lui interessa soltanto sottomettere gli Esseri Umani che ascoltano quanto ha da dire. Peccato che non dica nulla, ma che continui ad imporre sottomissione a quanto ha da dire. Dicesse almeno qualche cosa! Si potrebbe discutere sui contenuti. Invece, come il sofista Socrate, non offre nessun contenuto nelle sue affermazioni impedendo ad ogni individuo di mettere in atto una qualche osservazione critica. A chi chiede sottomissione, ci si oppone dandogli del delinquente. A chi chiede sottomissione per una serie di ragioni, ci si oppone o si conviene ragionando sulle ragioni che espone. Questo non avviene in Giovanni. La sottomissione a sé stesso come persona viene premiata da Gesù con la promessa della vita eterna. Solo che gli Esseri Umani che si sottomettono perdono la loro possibilità di eternità in quanto, attraverso la sottomissione, distruggono le loro possibilità nell'infinito dei mutamenti.
"Io sono il figlio di dio" dice il Gesù di Giovanni! Infatti pretendo sottomissione da voi e, chiedendo sottomissione, faccio le opere del dio mio padre. In quest'opera di richiesta di sottomissione mi identifico col dio mio padre e perciò sono dio pur io. "Il padre è in me e io nel padre"!
Il tentativo di Giovanni di sminuire il suo avversario che stava attraendo i cristiani consapevoli che la promessa della fine dei tempi, della resurrezione della carne e della venuta del pazzo sopra le nuvole era fallita; viene consacrata e diventa vincente solo attraverso i ferri roventi e le stragi della chiesa cattolica.
La terza parte è la consolazione della sconfitta nella descrizione di Giovanni presso i Giudei. Certo, per Giovanni, i Giudei lo hanno scacciato. Non erano però i Giudei l'obiettivo della denigrazione in questo racconto. Erano i Pagani e la loro ricerca attraverso sui costruirsi per farsi dio. Quella ricerca della costruzione soggettiva ossessiona Giovanni. E' il suo nemico. Se gli Esseri Umani si costruiscono non hanno più bisogno di un dio padrone. Non hanno più bisogno del pastore che li conduca al macello. Possono costruirsi e mandare a quel paese i suoi tentativi, e del pazzo di cui parla, di ridurli in schiavi pronti ad essere sacrificati.
Questo è l'obiettivo di Giovanni: distruggere il farsi dio dei Pagani Politeisti riducendolo alla stessa merda del suo pazzo profeta.
La conclusione del capitolo è il sollievo del lettore del vangelo di Giovanni. Il lettore non immagina nemmeno quale sia la posta in gioco. Il lettore del vangelo di Giovanni non immagina che il vero soggetto che sta finendo al macello è egli stesso. Ecco, si rallegra. Altre persone, altri Giudei, riconoscono nell'individuo descritto in Giovanni il figlio del dio padrone e padrone egli stesso. Altre persone gli riconoscono il diritto a sottomettere Esseri Umani. Altre persone gli riconoscono il diritto di guidare il proprio gregge per condurlo al macello della vita mentre speranzoso, il gregge, anela alla vita eterna.
Il testimone, Giovanni Battista, non ha fatto miracoli. Non era come lui il figlio del dio padrone e padrone degli Esseri Umani. Però ha detto il vero. Ecco, con quest'ultima frase, il lettore annuire. Ecco, con quell'annuire, il lettore che ha rinunciato alla propria capacità critica avviarsi, con tutto il gregge di cui è parte, lungo la via del macello.
Non abbia timori quel lettore. Tanto più fedelmente saprà seguire la via che lo conduce al macello tanto più amorevolmente sarà trattato dal suo padrone. Tanto più si allontanerà dalla strada che conduce al macello, pretendendo di prendere nelle proprie mani la propria vita, chiamare le cose col loro vero nome, usare la propria volontà e le proprie determinazioni e tanto più i conduttori di greggi sapranno bastonarlo e storpiarlo con i ferri roventi.
"E lì molti credettero in lui." Molte uova di storione anelavano a proseguire nella loro sequenza dei mutamenti diventando storione e invece furono soltanto pasto di pesci e situazioni rapaci!
Non esiste futuro quando si distrugge la propria esistenza.
Marghera 30 agosto 1999
(Revisione 05 dicembre 2014)
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