La sentenza della
Grande Camera sul crocifisso
Osservazioni e
commenti
Versione integrale
Diritto Costituzionale
e terrorismo della chiesa cattolica
di Claudio Simeoni
Vai all'indice: La chiesa cattolica e le sue strategie di distruzione della societa'
La sentenza della Grande Camera, che riporto integralmente dopo
il commento, non legittima il crocifisso nelle scuole, ma tende a rilevare che
non è stata dimostrata, davanti alla Corte, la relazione fra l’imposizione del
crocifisso nelle scuole e l’attività di proselitismo e di violenza religiosa
perpetrata dalla religione cristiana.
In sostanza la Corte non ha avuto accesso ai documenti che
provano l’attività di aggressione condotto nei confronti del cittadini italiani
mediante l’esposizione del crocifisso. Non è stato portato, davanti alla Grande
Camera il significato ideologico del crocifisso che legittimando i principi
della monarchia assoluta, del diritto della chiesa cattolica alla pratica della
pedofilia e pederastia, all’incitamento del razzismo simboleggiato dal
crocifisso, all’ideologia del genocidio come metodo di relazione fra i popoli,
di fatto costringe i cittadini, nella fattispecie i più fragili, i ragazzi, a
fagocitare principi propri del crocifisso e non quelli della democrazia propri
della Costituzione Europea.
Dice la Grande Camera:
“Secondo la Corte, se è vero che il crocifisso è prima di
tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie elementi
attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa
natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni. Inoltre,
pur essendo comprensibile che la ricorrente possa vedere nell’esposizione del
crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai suoi figli una
mancanza di rispetto da parte dello Stato del suo diritto di garantire loro
un’educazione e un insegnamento conformi alle sue convinzioni filosofiche, la
sua percezione personale non è sufficiente a integrare une violazione
dell’articolo 2 del Protocollo no 1.”
Manca la definizione del disegno criminoso entro il quale l’esposizione
del crocifisso ha un ruolo di destabilizzazione Istituzionale preciso.
Il simbolo religioso, sulle mura delle aule scolastiche,
viene decontestualizzato da quella che è l’attività di aggressione messa in atto
dagli insegnanti cattolici nei confronti dei ragazzi. In realtà il crocifisso
legittima azioni di costrizione degli insegnati cattolici nei confronti dei
ragazzi. Azioni costrittive che non rientrando, per quanto riguarda magistrati
cattolici che le legittimano, nella fattispecie del reato di imposizione della
religione cattolica, di fatto le violenze, sia fisiche che psichiche, vengono
legittimate ad imporre la fede cattolica. Come per le suore del Sanguinazzi di Feltre la cui violenza aveva lo scopo di
imporre sui bambini dell’asilo l’ideologia propria del crocifisso e che la
magistratura Bellunese ha, di fatto, legittimato con l’aiuto del giornale Il
Gazzettino che minimizzava la violenza subita dai bambini dell’asilo ad opera
delle suore cattoliche per allontanare l’indagine dai fini eversivi degli atti.
Un articolo di Lauredana Marsiglia su Il Gazzettino
tendeva a legittimare la violenza, giustificandola. La stessa Procura della
Repubblica di Belluno parlava evasivamente di “uno schiaffo asseritamente
dato”. Dovette intervenire la Corte di Cassazione per imporre il processo per
maltrattamenti nei confronti dei bambini. Maltrattamenti che erano, fin da
subito, evidenti e conclamati. Maltrattamenti per fini religiosi che la Procura
di Belluno fingeva di non vedere o, quanto meno, tendeva a minimizzare.
Quando l’AGCom, per legittimare la
pedofilia e la pederastia rappresentata dal crocifisso e impedire la nascita
della giustizia nel paese attraverso il meccanismo imposto dall’articolo 19 e
21 della Costituzione, afferma che è “reato” affermare: “non può sui muri
esserci il crocifisso”; “non si può mettere in ginocchio un bambino e
costringerlo a pregare davanti ad un assassino criminale”; appare del tutto
evidente che il crocifisso è usato per aggredire la Costituzione della
Repubblica e non è un simbolo statico, ma un simbolo con cui si legittima l’impedimento
alla libertà sociale e religiosa delle persone. Solo che la Grande Camera non
era a conoscenza dell’episodio di eversione Costituzionale messo in atto dall’AGCom per imporre il crocifisso e con esso l’odio religioso
cristiano contro la Costituzione della Repubblica.
Dopo di che il ricorrente alla Corte Europea per i Diritti
dell’Uomo ha due livelli di percezione soggettiva: il suo essere individuo
sociale in cui attiva la sua sensibilità mediante i legami empatici che si
muovono nella società e il suo essere individuo in cui, la presenza del
crocifisso nell’aula scolastica dei suoi figli, attiva, portando alla
coscienza, il dolore sociale che percepisce e che la presenza del crocifisso
attiva in lui. La realtà percepita, se non è sorretta dai fatti, non è
sufficiente per chiedere giustizia.
Le farneticazioni del Governo Italiano sono degli insulti
per i cittadini italiani. Dice il Governo Italiano:
“Il Governo italiano sosteneva che la presenza del crocifisso
nelle aule delle scuole pubbliche rispecchia ancora oggi un’importante
tradizione da perpetuare. Aggiungeva poi
3
7 v. i §§
26 à 28 della sentenza.
8 Folgerø e altri c. Norvegia
(sentenza della Grande camera del 29 juin 2007), Hasan et Eylem
Zengin c. Turchia (sentenza dell’8 ottobre 2007)
che, oltre ad avere un significato religioso, il
crocifisso simboleggia i principî e i valori che fondano la democrazia e la
civilizzazione occidentale, e ciò ne giustificherebbe la presenza nelle aule
scolastiche.”
Che è come dire che la democrazia italiana si fonda sull’odio
religioso, il genocidio, il razzismo, la pedofilia e la pederastia. Tali,
infatti, sono i principi deliranti di un individuo crocifisso che fu arrestato
con un bambino nudo e che si piccava di essere il padrone di persone ridotte a
pecore obbedienti e privi di diritti in quanto figlio del delirante dio padrone
e creatore del mondo. Secondo il farneticante “governo italiano” sarebbero
questi i principi fondanti la democrazia. Si tratta di un’ingiuria che il “governo
italiano” ha fatto all’Italia e a tutti coloro che hanno fondato questa
democrazia.
A queste affermazioni deliranti del governo italiano,
risponde la Grande Camera:
“Quanto al primo punto, la Corte sottolinea che,
se da una parte la decisione di perpetuare o meno una tradizione dipende dal
margine di discrezionalità degli Stati convenuti, l’evocare tale tradizione non
li esonera tuttavia dall’obbligo di rispettare i diritti e le libertà
consacrati dalla Convenzione e dai suoi Protocolli. In relazione al secondo
punto, rilevando che il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione hanno delle
posizioni divergenti sul significato del crocifisso e che la Corte
Costituzionale non si è pronunciata sulla questione, la Corte considera che non
è suo compito prendere posizione in un dibattito tra giurisdizioni interne.”
Lo Stato non rispetta i diritti religiosi dei cittadini. Basta
ricordare tutti i fatti di cronaca negli ultimi dieci anni in cui la Polizia di
Stato del veneto, i Vigili Urbani del Veneto, le Amministrazioni Comunali del
Veneto hanno aggredito le comunità di musulmani per impedire loro di pregare. Basta
ricordare le violenze amministrative subite dai cittadini di altre religioni. Basta
ricordare l’attività di ingiuria e diffamazione messa in atto dalla Polizia di
Stato di Venezia, dal Questore di Venezia e dalla Procura della Repubblica di
Venezia, per impedire ai cittadini di aver giustizia contro le aggressioni alla
libertà religiosa e al loro diritto di diffondere le loro idee religiose. Sono
tutti atti criminali che hanno nel crocifisso esposto nei Tribunali e nelle Scuola
la loro legittimazione.
La Grande Camera rileva come ci sia una visione diversa fra
un Consiglio di Stato il cui fine è imporre l’odio religioso ai cittadini e
principi sociali estranei alla Costituzione, ma propri dell’ideologia
cattolica, e la Corte di Cassazione che mette al primo posto il diritto del
cittadino quale soggetto del diritto Costituzionale.
Vale osservare che la Corte Costituzionale non si è
pronunciata perché nessuna legge legittima la presenza del crocifisso che
risulta essere un’aggressione fatta ai cittadini ad opera di un governo
confessionale cattolico. Se ci fosse stata una legge, la Corte Costituzionale
sarebbe intervenuta.
Dice la Grande Camera:
“Di fatto gli Stati contraenti godono di un certo margine di
discrezionalità nel conciliare l’esercizio delle funzioni che competono loro in
materia di educazione e d’insegnamento con il rispetto del diritto dei genitori
di garantire tale educazione e insegnamento secondo le loro convinzioni
religiose e filosofiche. La Corte deve quindi di regola rispettare le scelte
degli Stati contraenti in questo campo, compreso lo spazio che questi intendono
consacrare alla religione, sempre che tali scelte non conducano a una qualche
forma d’indottrinamento. In quest’ottica, la scelta di apporre il crocifisso
nelle aule delle scuole pubbliche rientra in principio nell’ambito del margine
di discrezionalità dello Stato, a maggior ragione in assenza di un consenso
europeo. Tuttavia questo margine di discrezionalità si accompagna a un
controllo della Corte, la quale deve garantire che questa scelta non conduca a
una qualche forma di indottrinamento.”
La parola chiave è “qualche forma di indottrinamento” cosa
che chi ha fatto ricorso alla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo ha
ignorato. Ha separato la propria forma di rivendicazione da chi ha subito la
violenza mediante l’esposizione del crocifisso. Percepire che esiste la
violenza determinata dall’esposizione del crocifisso, non dimostra che l’esposizione
del crocifisso certifichi e legittimi la violenza. Per farlo servono episodi
che dimostrino l’uso del crocifisso per legittimare la violenza contro i non
cattolici. Per esempio, c’è l’alpino Miotto che sventolava
la bandiera sabauda col crocifisso e che, con tale bandiera, legittimava la sua
presenza in Afganistan. Il fatto è la sua presenza in Afganistan, gli intenti
della sua presenza era la bandiera che sventolava e che manifestava il suo
fanatismo religioso. Se distingui o disgiungi i due fatti hai due giudizi
diversi. Sulla bandiera dici che Miotto ha una fede
politico-religiosa. Sul secondo fatto affermi che è andato in Afganistan per
una “missione di pace”. Se unisci i due fatti e lo sventolio della bandiera
sabauda col crocifisso sul carro armato, allora il giudizio cambia e il simbolo
della croce è funzionale all’aggressione che l’esercito italiano sta portando
al popolo afgano, alla sua religione, alla sua cultura, al di là che combatta o
meno una qualche forma, più o meno ventilata, di terrorismo. Se si separa il simbolo
del crocifisso dalle azioni che chi usa il crocifisso fa ai cittadini, allora
il crocifisso in sé non indottrina nessuno. E’ un simbolo statico, ma se lo si
accompagna alle migliaia di insegnanti cattolici imposti alla scuola pubblica
dallo Stato, allora esiste un’aggressione fattiva alla libertà religiosa. Fintanto
che lo Stato continua ad ignorare la violenza, spesso fatta di ricatti, messa
in atto dalle scuole pubbliche per costringere i ragazzi a frequentare l’ora di
religione, ufficialmente tale violenza non esiste. Se chi deve garantire un
diritto si gira dall’altra parte per complicità col delinquente è ovvio che non
c’è giustizia né diritti.
Afferma a tal proposito la Grande Camera:
“A tal proposito la Corte constata che nel rendere
obbligatoria la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche, la
normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria del Paese una
visibilità preponderante nell’ambiente scolastico. La Corte ritiene tuttavia
che ciò non basta a integrare un’opera d’indottrinamento da parte dello Stato
convenuto e a dimostrare una violazione degli obblighi previsti dall’articolo 2
del Protocollo no 18. Quanto a quest’ultimo punto, la Corte ricorda che ha già
stabilito che, in merito al ruolo preponderante di una religione nella storia
di un Paese, il fatto che, nel programma scolastico le sia accordato uno spazio
maggiore rispetto alle altre religioni non costituisce di per sé un’opera
d’indottrinamento. La Corte sottolinea altresì che un crocifisso apposto su un
muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può
essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività
religiose.”
La Grande Corte prende un abbaglio in quanto la sua
decisione è ferma alla ricerca scientifica dell’800. In realtà il crocifisso
funziona da stimolo neuronale. Richiama l’ideologia del possesso in antitesi
all’ideologia del diritto Costituzionale. Un potente richiamo come la ricerca
neurologica ha dimostrato nella funzione dei “neuroni specchio”. Il fatto
stesso che esista un impegno così grande da parte dello Stato Italiano per
imporre il crocifisso dimostra il ruolo chiave che ha la sua esposizione per
impedire ai cittadini la fruizione dei diritti Costituzionali. Se fosse un
semplice oggetto d’arredamento non assisteremmo alle aggressioni che l’Ordine
dei Giornalisti ha messo in atto, mediante i suoi iscritti, nei confronti di
tutti i cittadini che hanno proposto, in un modo o nell’altro, di togliere i
crocifissi in quanto costituivano offesa ed ingiuria alla Costituzione della
Repubblica.
Qui non si tratta di “un discorso” che lascia il tempo che
trova, ma una vera e propria interferenza nell’apparato emotivo dei ragazzi al
fine di costruirli come cittadini menomati, paurosi e inconsapevoli dei loro
diritti istituzionali e Costituzionali. Sempre paurosi nel timore di violare
qualche legge e sempre timorosi davanti a poliziotti e magistrati che del
crocifisso si fanno forza fino a legittimare la tortura dei cittadini italiani
( Vedi Consiglio Superiore della Magistratura).
Non si tratta di un simbolo passivo, ma di un elemento
essenziale di una strategia complessiva di destabilizzazione dei cittadini
fragili come i ragazzi delle scuole o i bambini degli asili. Il bambino non
nasce cristiano, ma viene costretto ad essere cristiano mediante la violenza. La
violenza per costringerlo ad essere cristiano è una costante sociale, non
sempre tale violenza è sufficiente per raggiungere l’obbiettivo.
Infine, la Grande Camera fa propria la menzogna dello Stato
Italiano al fine di consentirgli la violenza sui bambini da parte del
crocifisso:
“La Corte ritiene inoltre che gli effetti della grande
visibilità che la presenza del crocifisso attribuisce al cristianesimo
nell’ambiente scolastico debbono essere ridimensionati alla luce di quanto segue:
tale presenza non è associata a un insegnamento obbligatorio del cristianesimo;
secondo il Governo lo spazio scolastico è aperto ad altre religioni (il fatto
di portare simboli e di indossare tenute a connotazione religiosa non è
proibito agli alunni, le pratiche relative alle religioni non maggioritarie
sono prese in considerazione, è possibile organizzare l’insegnamento religioso
facoltativo per tutte le religioni riconosciute, la fine del Ramadan è spesso
festeggiata nelle scuole...); non sussistono elementi tali da indicare che le
autorità siano intolleranti rispetto ad alunni appartenenti ad altre religioni,
non credenti o detentori di convinzioni filosofiche che non si riferiscano a
una religione. La Corte nota inoltre che i ricorrenti non si lamentano del
fatto che la presenza del crocifisso in classe abbia implicato delle pratiche
di insegnamento volte al proselitismo o che i figli della ricorrente siano
stati confrontati a un insegnamento condizionato da tale presenza. Infine la
Corte osserva che il diritto della ricorrente, in quanto genitrice, di spiegare
e consigliare i suoi figli e di orientarli verso una direzione conforme alle
proprie convinzioni filosofiche è rimasto intatto.”
Che formalmente lo spazio scolastico sia aperto ad altre
religioni, non c’è dubbio, salvo l’intervento e l’intimidazione da parte della
forza pubblica quando qualcuno lo rivendica o rivendica giustizia per le azioni
di proselitismo violento ad opera della chiesa cattolica (troppo spesso
poliziotti e carabinieri ridicolizzano chi si ritiene offeso dalla chiesa
cattolica: sono più in ginocchio al crocifisso che espongono che non alla
Costituzione della Repubblica).
I ricorrenti, facenti parte dell’UAAR, alimentano un
disprezzo per i sentimenti religiosi e hanno agito partendo dal presupposto di
disprezzo di ogni forma religiosa. Solo che le violenze ad opera del crocifisso
e di chi lo usa per scopi criminali, sono spesso rivolte ad altre religioni o
gruppi religiosi. Sono i Pagani, i Satanisti, i Musulmani, che vivono la
sofferenza della violenza religiosa cattolica e se alla Grande Camera, o ai
magistrati in genere, non porti i fatti per la violenza subita, la violenza sta
solo nel tuo immaginario. E nessuna sentenza può essere fatta legittimando l’immaginario
anche se a questo immaginario corrispondono dei fatti che però non vengono
presentati, descritti e nei quali si rivendica effettivamente i propri diritti
violati.
“I ricorrenti non si lamentano che la presenza del
crocifisso in classe abbia implicato delle pratiche di insegnamento volte al
proselitismo...” e questo perché non hanno costruito alleanza con chi ha
subito le pratiche violente dei cattolici per costringerli a mettersi in
ginocchio davanti al crocifisso. Un milione di delitti, fatti a cittadini
indifesi, vengono trattati dalle Istituzioni come delle stupidaggini e spesso,
nei confronti di quei cittadini, la Polizia di Stato e la Magistratura mettono
in atto ritorsioni che qualche volta sfociano in reati veri e propri. Come nel
caso della Procura della Repubblica di Belluno e i suoi tentativi di
legittimare la violenza cristiana contro i bambini dell’asilo
Un conto è chiedere giustizia per l’ingiustizia subita e un
altro conto è organizzarsi socialmente per modificare la società in cui si vive
e aprirla ad un futuro in cui alla chiesa cattolica non sia consentito (come ha
fatto la polizia di Stato di Verona, i Carabinieri e la Procura della Repubblica
di Verona consentendo le violenze al Provolo fingendo
di non sapere che cosa succedeva) di violentare bambini o di aggredire i principi
della Costituzione della Repubblica nella direzione in cui tali principi vanno
applicati.
Fra poco Ratzinger verrà in Veneto e la Polizia di Stato di
Venezia agirà affinché i cittadini non possano esprimere il loro dissenso e
assicurare a Ratzinger impunità e legittimità nello stupro dei bambini e nell’ideologia
del genocidio di cui il crocifisso è portatore. Le persone saranno aggredite
perché non si mettono in ginocchio davanti al crocifisso di Ratzinger.
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Marghera, 19 marzo 2011
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell’Anticristo
P.le Parmesan, 8
30175 – Marghera Venezia
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Crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche
italiane:
la Corte non constata violazioni
Nella sentenza definitiva1 di Grande Camera, pronunciata oggi nel caso Lautsi e altri c. Italia (ricorso no 30814/06), la Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo ha concluso a maggioranza (quindici voti contro
due) alla:
Non violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1 (diritto
all’istruzione) alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il caso riguardava la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole
pubbliche in Italia, incompatibile, secondo i ricorrenti, con l’obbligo dello
Stato di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di
educazione e insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli
un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e
filosofiche.
Il presente comunicato esiste in inglese, francese e
tedesco.
I fatti principali
I ricorrenti sono cittadini italiani, nati rispettivamente nel 1957,
1988 e 1990. La ricorrente, Sig.ra Soile Lautsi e i suoi due figli, Dataico
e Sami Albertin, (“il
secondo e terzo ricorrente”)2 , sono residenti in Italia. Questi due ultimi
ricorrenti erano iscritti nel 2001-2002 presso la scuola pubblica “Istituto
comprensivo statale Vittorino da Feltre”, ad Abano Terme. Il crocifisso era
affisso nelle aule dell’istituto.
Il 22 aprile 2002, durante una riunione del consiglio d’istituto, il
marito della ricorrente sollevò la questione della presenza di simboli
religiosi, e del crocifisso in particolare, nelle aule chiedendone la
rimozione. In seguito alla decisione del consiglio d’istituto di mantenere i
simboli religiosi nelle aule, il 23 luglio 2002 la ricorrente adì il Tribunale
amministrativo regionale del Veneto (T.A.R.) denunciando in particolare la
violazione del principio di laicità.
Il 30 ottobre 2003, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca – che nell’ottobre 2002 aveva adottato una direttiva secondo cui i
dirigenti scolastici dovevano garantire la presenza del crocifisso nelle aule
scolastiche – si costituì parte civile nella procedura avviata dalla ricorrente
il cui ricorso era, a suo avviso, infondato poiché la presenza del crocifisso
nelle aule delle scuole pubbliche era prevista da due regi decreti del 1924 e
19283.
Nel 2004, la Corte Costituzionale dichiarò l’inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale di cui era stata investita dal T.A.R.
in quanto le disposizioni impugnate –
1 Le sentenze della Grande Camera sono definitive (articolo 44 della
Convenzione).
Tutte le sentenze definitive sono trasmesse al Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa, che ne controlla l’esecuzione. Per maggiori informazioni
sulla procedura d’esecuzione, consultare il sito Internet:
http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/execution
2 Nel suo ricorso, la ricorrente indica agire a suo nome e per conto dei
suoi figli allora minori, Dataico e Sami Albertin. Divenuti nel
frattempo maggiorenni, questi ultimi hanno confermato la loro volontà di
proseguire il ricorso.
3 Articolo 118 del regio decreto n° 965 del 30
aprile 1924 (Ordinamento interno delle giunte e dei regi istituti di istruzione
media) e articolo 119 del regio decreto n° 1297 del
26 aprile 1928 (Regolamento generale sui servizi dell'istruzione elementare).
cioè, gli articoli rilevanti dei due regi
decreti -, di rango regolamentare e non legislativo, non potevano essere
sottoposte ad alcun esame di conformità costituzionale.
4 Osservazioni dei terzi intervenuti : v. §§
47 a 56 della sentenza
5 Già terzo intervenuto davanti alla Camera
Il 17 marzo 2005, il T.A.R. rigettò il ricorso della ricorrente,
ritenendo che le disposizioni dei regi decreti in questione erano ancora in
vigore e che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche non confliggeva con il principio di laicità dello Stato, che
faceva “parte del patrimonio giuridico europeo e delle democrazie occidentali”.
Più che un simbolo del solo cattolicesimo, il crocifisso fu considerato come
simbolo del cristianesimo in generale e come tale rinviava anche ad altre
confessioni. Il T.A.R. considerò inoltre che si trattava di un simbolo
storico-culturale, dotato di una “valenza identitaria”
per il popolo italiano, oltre che un simbolo del sistema di valori che
innervano la Carta costituzionale.
Con sentenza del 13 aprile 2006, il Consiglio di Stato, adito dalla
ricorrente, confermò che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole
pubbliche trovava la sua base legale nei regi decreti del 1924 e 1928 e che,
tenuto conto del significato che bisognava attribuirgli, era compatibile con il
principio di laicità. In quanto veicolo di valori civili che caratterizzano la
civilizzazione italiana – tolleranza, tutela dei diritti della persona,
autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, solidarietà,
rigetto di ogni discriminazione – il crocifisso nelle aule poteva, in una
prospettiva “laica”, avere una funzione altamente educativa.
Doglianze, procedura e composizione della Corte
Invocando gli articoli 2 del Protocollo no 1 (Diritto all’istruzione) e
9 della Convenzione (libertà di pensiero, di coscienza e di religione), i
ricorrenti si lamentavano della presenza del crocifisso nelle aule della scuola
pubblica frequentata dal secondo e terzo ricorrente.
Invocando l’articolo 14 (divieto di discriminazione), i ricorrenti
ritenevano che, per il fatto di non essere cattolici, avevano subito un
trattamento discriminatorio rispetto ai genitori cattolici e ai loro figli.
Il ricorso è stato introdotto davanti alla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo il 27 luglio 2006. Nella sentenza di Camera del 3 novembre 2009, la
Corte ha concluso che c’è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1
(diritto all’istruzione) esaminato congiuntamente all’articolo 9 (libertà di
pensiero, di coscienza e di religione). Il 28 gennaio 2010, il Governo italiano
ha chiesto il rinvio del caso davanti alla Grande Camera, secondo l’articolo 43
della Convenzione (rinvio dinnanzi alla Grande Camera) e il 1o marzo 2010, il
collegio della Grande Camera ha accettato questa richiesta. Un’udienza di
Grande Camera si è tenuta il 30 giugno 2010 a Strasburgo.
A norma dell’articolo 36 § 2 della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo e dell’articolo 44 § 2 del Regolamento della Corte Europea dei
Diritto dell’Uomo, sono stati autorizzati a intervenire nella procedura scritta4:
- trentatré membri del Parlamento europeo intervenuti congiuntamente.
- le organizzazioni seguenti non-governative: Greek
Helsinki Monitor5; Associazione nazionale del libero Pensiero; European Centre for Law and Justice;
Eurojuris; intervenuti congiuntamente: Commission internationale
de juristes, Interights e
Human Rights Watch; intervenuti congiuntamente: Zentralkomitee
der deutschen Katholiken, Semaines sociales de France e Associazioni cristiane Lavoratori
italiani.
- i Governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Federazione russa, Grecia,
Lituania, Malta, Monaco, Romania e della Repubblica di San Marino.
2
6 Sentenze Kjeldsen, Busk
Madsen et Pedersen c. Danemark del 7
dicembre 1976 (§ 50), Valsamis c. Grecia del 18
dicembre 1996 (§ 27), Hasan et
Eylem Zengin c. Turchia
dell’8 ottobre 2007 (§ 49) e Folgerø e altri c.
Norvegia, sentenza della Grande camera del 29 juin
2007 (§ 84).
I Governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Federazione
russa, Grecia, Lituania, Malta e Repubblica di San Marino sono stati inoltre
autorizzati a intervenire congiuntamente nella procedura orale.
La sentenza è stata resa dalla Grande Camera di 17
giudici, composta da:
Jean-Paul Costa
(Francia), presidente,
Christos Rozakis (Grecia),
Nicolas Bratza (Regno
Unito),
Peer Lorenzen (Danimarca),
Josep Casadevall (Andorra),
Giovanni Bonello (Malta),
Nina Vajić (Croazia),
Rait Maruste (Estonia),
Anatoly Kovler (Russia),
Sverre
Erik Jebens (Norvegia),
Päivi Hirvelä (Finlandia),
Giorgio Malinverni (Svizzera),
George Nicolaou (Cipro),
Ann Power (Irlanda),
Zdravka Kalaydjieva (Bulgaria),
Mihai Poalelungi (Moldavia),
Guido Raimondi (Italia), giudici,
Oltre che da Erik Fribergh,
cancelliere.
Decisione della Corte
Articolo 2 del Protocollo no 1
Dalla giurisprudenza della Corte emerge che l’obbligo
degli Stati membri del Consiglio d’Europa di rispettare le convinzioni
religiose e filosofiche dei genitori non riguarda solo il contenuto
dell’istruzione e le modalità in cui viene essa dispensata: tale obbligo
compete loro nell’“esercizio” dell’insieme delle “funzioni” che gli Stati si
assumono in materia di educazione e d’insegnamento. Ciò comprende
l’allestimento degli ambienti scolastici qualora il diritto interno preveda che
questa funzione incomba alle autorità pubbliche. Poiché la decisione
riguardante la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche attiene alle
funzioni assunte dallo Stato italiano, essa rientra nell’ambito di applicazione
dell’articolo 2 del Protocollo no 1. Questa disposizione attribuisce allo Stato
l’obbligo di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di
educazione e d’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri
figli un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose
e filosofiche.
Secondo la Corte, se è vero che il crocifisso è prima
di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie
elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di
questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni.
Inoltre, pur essendo comprensibile che la ricorrente possa vedere
nell’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate
dai suoi figli una mancanza di rispetto da parte dello Stato del suo diritto di
garantire loro un’educazione e un insegnamento conformi alle sue convinzioni
filosofiche, la sua percezione personale non è sufficiente a integrare une
violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1.
Il Governo italiano sosteneva che la presenza del
crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche rispecchia ancora oggi
un’importante tradizione da perpetuare. Aggiungeva poi
3
7 v. i §§ 26 à 28
della sentenza.
8 Folgerø e altri c. Norvegia (sentenza della
Grande camera del 29 juin 2007), Hasan
et Eylem Zengin c. Turchia (sentenza dell’8 ottobre 2007)
che, oltre ad avere un significato religioso, il
crocifisso simboleggia i principî e i valori che fondano la democrazia e la
civilizzazione occidentale, e ciò ne giustificherebbe la presenza nelle aule
scolastiche. Quanto al primo punto, la Corte sottolinea che, se da una parte la
decisione di perpetuare o meno una tradizione dipende dal margine di
discrezionalità degli Stati convenuti, l’evocare tale tradizione non li esonera
tuttavia dall’obbligo di rispettare i diritti e le libertà consacrati dalla
Convenzione e dai suoi Protocolli. In relazione al secondo punto, rilevando che
il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione hanno delle posizioni divergenti
sul significato del crocifisso e che la Corte Costituzionale non si è
pronunciata sulla questione, la Corte considera che non è suo compito prendere
posizione in un dibattito tra giurisdizioni interne.
Di fatto gli Stati contraenti godono di un certo
margine di discrezionalità nel conciliare l’esercizio delle funzioni che
competono loro in materia di educazione e d’insegnamento con il rispetto del
diritto dei genitori di garantire tale educazione e insegnamento secondo le
loro convinzioni religiose e filosofiche. La Corte deve quindi di regola rispettare
le scelte degli Stati contraenti in questo campo, compreso lo spazio che questi
intendono consacrare alla religione, sempre che tali scelte non conducano a una
qualche forma d’indottrinamento. In quest’ottica, la scelta di apporre il
crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche rientra in principio nell’ambito
del margine di discrezionalità dello Stato, a maggior ragione in assenza di un
consenso europeo7. Tuttavia questo margine di discrezionalità si accompagna a
un controllo della Corte, la quale deve garantire che questa scelta non conduca
a una qualche forma di indottrinamento.
A tal proposito la Corte constata che nel rendere
obbligatoria la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche, la
normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria del Paese una
visibilità preponderante nell’ambiente scolastico. La Corte ritiene tuttavia
che ciò non basta a integrare un’opera d’indottrinamento da parte dello Stato
convenuto e a dimostrare una violazione degli obblighi previsti dall’articolo 2
del Protocollo no 18. Quanto a quest’ultimo punto, la Corte ricorda che ha già
stabilito che, in merito al ruolo preponderante di una religione nella storia
di un Paese, il fatto che, nel programma scolastico le sia accordato uno spazio
maggiore rispetto alle altre religioni non costituisce di per sé un’opera
d’indottrinamento. La Corte sottolinea altresì che un crocifisso apposto su un
muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può
essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività
religiose.
La Corte ritiene inoltre che gli effetti della grande
visibilità che la presenza del crocifisso attribuisce al cristianesimo
nell’ambiente scolastico debbono essere ridimensionati alla luce di quanto segue:
tale presenza non è associata a un insegnamento obbligatorio del cristianesimo;
secondo il Governo lo spazio scolastico è aperto ad altre religioni (il fatto
di portare simboli e di indossare tenute a connotazione religiosa non è
proibito agli alunni, le pratiche relative alle religioni non maggioritarie
sono prese in considerazione, è possibile organizzare l’insegnamento religioso
facoltativo per tutte le religioni riconosciute, la fine del Ramadan è spesso
festeggiata nelle scuole...); non sussistono elementi tali da indicare che le
autorità siano intolleranti rispetto ad alunni appartenenti ad altre religioni,
non credenti o detentori di convinzioni filosofiche che non si riferiscano a
una religione. La Corte nota inoltre che i ricorrenti non si lamentano del
fatto che la presenza del crocifisso in classe abbia implicato delle pratiche
di insegnamento volte al proselitismo o che i figli della ricorrente siano
stati confrontati a un insegnamento condizionato da tale presenza. Infine la
Corte osserva che il diritto della ricorrente, in quanto genitrice, di spiegare
e consigliare i suoi figli e di orientarli verso una direzione conforme alle
proprie convinzioni filosofiche è rimasto intatto.
La Corte conclude dunque che, decidendo di mantenere il
crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai figli della
ricorrente, le autorità hanno agito entro i limiti
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dei poteri di cui dispone
l’Italia nel quadro del suo obbligo di rispettare, nell’esercizio delle proprie
funzioni in materia di educazione e d’insegnamento, il diritto dei genitori di
garantire tale istruzione secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche;
di conseguenza, non c’è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1
quanto alla ricorrente. La Corte considera inoltre che nessuna questione
distinta sussiste per quanto riguarda l’articolo 9.
La Corte addiviene alla stessa conclusione per quanto
concerne il secondo e terzo ricorrente.
Articolo 14
Nella sua sentenza di Camera la Corte ha ritenuto che,
tenuto conto delle sue conclusioni in merito alla violazione dell’articolo 2
del Protocollo no 1, non c’era motivo di esaminare il caso dal punto di vista
dell’articolo 14.
Dopo aver ricordato che l’articolo 14 non ha esistenza
propria ma ha valenza esclusivamente in relazione al il godimento dei diritti e
alle libertà garantiti dalle altre disposizioni della Convenzione e dei suoi
Protocolli, la Grande Camera stabilisce che, anche ad ammettere che i ricorrenti
vogliano lamentarsi di una discriminazione nel godimento dei diritti garantiti
dagli articoli 9 della Convenzione e 2 del Protocollo no 1, non si pone nessuna
questione separata da quelle già decise nell’ambito dell’articolo 2 del
Protocollo no 1. Non vi è dunque motivo di esaminare questa parte del ricorso.
Opinioni separate
I Giudici Bonello, Power e Rozakis hanno espresso
ognuno un’opinione concordante. Il Giudice Malinverni ha espresso un’opinione
dissenziente, condivisa dalla Giudice Kalaydjieva.
Il testo di queste opinioni è allegato alla sentenza.
La sentenza esiste in inglese e francese.
Il presente comunicato, redatto dalla Cancelleria non
impegna la Corte. Le decisioni e le sentenze rese dalla Corte, oltre che a
delle informazioni supplementari relative ad essa, possono essere ottenute sul
sito Internet. Per abbonarsi ai comunicati stampa della Corte, vogliate
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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è
stata istituita a Strasburgo nel 1959 dagli Stati membri del Consiglio d’Europa
per esprimersi sulle presunte violazioni della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo del 1950.
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Commento e presentazione a cura di:
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell'Anticristo
P.le Parmesan, 8
30175 Marghera - Venezia
tel. 3277862784
e-mail: claudiosimeoni@libero.it
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