Gli Dèi di Montorio Veronese e La Religione dei
Veneti |
Sesta parte
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Strane
e “misteriose” sono le vie che gli Dèi costruiscono per ricordarci la loro
presenza.
Il
Veneto è una regione che ha vissuto un periodo florido nella sua alleanza con
Roma. La Religione dei Veneti si è fusa con quella di Roma in epoca molto
tarda. Se pensiamo alla storia delle relazioni fra il Veneto e Roma possiamo
dire che Roma arrivò nel Veneto perché il Veneto era già Roma. Gli Dèi del
Veneto erano gli stessi Dèi di Roma anche se, spesso, avevano nomi diversi.
L’archeologia
ci permette di rintracciare tracce che gli studiosi analizzano per ricostruire
un quadro sociale e religioso degli Esseri Umani Antichi.
Qualche
volta, però, i ritrovamenti sono “misteriosi”. Non tanto per gli oggetti
ritrovati, ma per la qualità dell’oggetto in relazione al luogo del
ritrovamento. Trovare una statua di una antica divinità dove nelle vicinanze ci
siano rimaste tracce di un tempio antico è normale, ma trovare una serie di
bronzi, sia pur attribuibili ad un altare domestico, in una località in cui non
si trovano tracce di possibili insediamenti dell’epoca alimenta il “mistero”.
Un
mistero tanto più grande se alcuni dei bronzi rappresentano due delle maggiori
divinità dell’Antica Roma, una divinità fondamentale della “religione popolare”
e una strana immagine di “filosofo” o “oratore” che può far sospettare l’esistenza
di una scuola di pensiero in una qualche località del veronese.
Quali
furono gli Dèi ritrovati?
Un
Giove, un Mercurio, due Arcieri (o portatori d’acqua – probabili immagini dei
Lari), un Priapo, un amorino sedente, un amorino e un
“filosofo” non ben identificato.
Dove
furono trovati? In mezzo ai campi, dove la pianura Padana si unisce alla pedemontana veronese. Dove numerose sono le sorgenti di
acque fresche, ma dove nessun insediamento antico fu individuato.
Non è
stato trovato nessun bronzo di una qualche divinità femminile, solo bronzi
maschili
La
vicenda semisconosciuta del ritrovamento dei bronzetti a Montorio
Veronese pone parecchi interrogativi sulla qualità della cultura religiosa in
Veneto nel II secolo d.c. I bronzetti vengono datati, appunto, attorno al II
secolo d.c.
Questi
bronzi furono trovati al di fuori di un complesso archeologico. Si può pensare
che si tratti di un nascondiglio di refurtiva. Nascosto e poi dimenticato.
Anche se si trattasse di refurtiva o di materiale nascosto intenzionalmente,
rimane il problema della provenienza del materiale. L’uso che ne veniva fatto.
Riporto
il primo capitolo de “I bronzetti romani di Montorio
Veronese” di Luigi Beschi del 1962
“Purtroppo il gruppo di bronzetti che
viene qui presentato non proviene da uno scavo regolare, scientificamente
condotto e documentato. E’ il risultato, come la maggior parte delle scoperte
dei secoli scorsi, di un saccheggio del terreno archeologico, sondato, a scopo
di preda, con no scavo, certo originato da un ritrovamento fortuito durante
lavori agricoli, nella zona di Montorio, a 5 km.
Circa ad est di Verona. Le condizioni precise del rinvenimento restano quindi
ignote. Rimane invece la possibilità di documentare la consistenza originaria
del gruppo e le vicende da esso subite posteriormente alla scoperta. Fonti di
informazione sono due documenti manoscritti: l’inventario degli oggetti, del 12
maggio 1830, e il rapporto ella Regia Delegazione di Verona, del 2 giugno 1830
(n. 11680), che portò al sequestro del materiale rinvenuto da parte delle
autorità austriache. Vi si aggiungono alcune pubblicazioni di Girolamo Orti già
presente, come esperto, nella redazione dell’inventario citato.
Diamo pubblicazione di due documenti
scritti, riuniti in un atto del “Venetianisches Gubernium” del 16 luglio 1830 indirizzato alla “Hochkammer” imperiale di Vienna.
“Nel Commune di Montorio nella Provincia i Verona certi fratelli Martinelli in fondo di loro proprietà escavando,
rinvennero gli oggetti dettagliatamente descritti nell’inventario annesso in
posizione, i quali a parere della regia Delegazione di Verona, come dal suo
rapporto 2 giugno 1830, n. 11680, interessare possono lo studio
dell’antiquaria”.
“Inventario degli oggetti di antichità
rinvenuti in un fondo di ragione dei Sig.ri
Michelangelo, Giuseppe e Gaetano fratelli Martinelli
i Verona situato nella frazione di Olivé sopra il commune di Montorio dist.o 1, Provincia di Verona, redatto alla presenza del:
Sing. Cav. B.ne
Paolo di Lederer 1 R. Delegato
Francesco D. Uhrer
1. R. Comm.o Sup. di
Polizia
E degli esperti:
Abbate Giuseppe Venturi
Nob. Girolamo Orti
Gaetano Biadego
Con il concorso dei predetti SS. Michel Angelo, Giuseppe e Gaetano fratelli Martinelli.
Verona 12 maggio 1830
I pezzi ritrovati uniti e probabilmente
appartenenti allo stesso piccolo sacrario domestico sono:
1 Un Giove col fulmine nella sinistra, con la
destra tesa in alto in atto di ritenere qualche cosa che manca. Gli cadono
graziosamente i lembi del vestito comune a tal nume dalle spalle e laureato,
della miglior forma, da potersi giudicare uno dei migliori pezzi dell’antichità
romana. Se ne sta sopra la sua base nr.2 tutto in
bronzo fuso.
2 La
suddetta base si compone di quattro pezzi A.B.C.D.
3 Un Mercurio seduto sopra una rupe staccata,
con la mano sinistra appoggiata ad un piccolo sacco di denaro. La destra
appoggiata sulla coscia. Tiene in capo il calato con i due petassi
indossando sulle spalle una specie di nebride. A suoi
piedi una salamandra e una tartaruga. Appartengono al medesimo gruppo una capra
segnata al n. 4 ed un Montone al n. 5 con un Amorino al n. 6.
4 Un capro al quale manca un corno sinistro
5 Un Montone.
6 Un Amorino sedente, e che pare possa stare
egualmente l’uno sopra l’altro dei detti animali tutto in bronzo.
7 Un pezzo di ringhiera parimenti in bronzo
di lavoro perforato con la figura di qualche serpente.
8-9 Due lucerne di bronzo che dimostrano di
essere state infisse nella parete, e colle quali naturalmente davasi il lume a questo piccolo sacrario.
10 Nume domestico di forma Etrusca a cui
manca la mano destra e porzione del braccio e della mano sinistra, e porzione
del braccio vi è fragmento a parte, che par
certamente gli abbia appartenuto.
11 Una colona piccola di bronzo scanellata, della forma precisa con cui le colone sono ai
lati delle urne etrusche.
12-13 Due arcieri sortiti della stessa
matrice con un pezzo di arco tenuto con la sinistra tutto in bronzo. Uno di
questi la porzione dell’arco sinistro è staccata.
14-15 Due basi di bronzo di dimensioni
differente che mostrano precisamente avere sostenuto i due arcieri sopraddetti
.
16 Piedistallo che dimostra aver appartenuto
a Giove segnato n. 1 pure di bronzo e alla base superiormente indicata al n.
1.2.
17 Una foglia graziosa di bronzo, che pare
abbia servito di sostegno ad una delle lucerne.
18 Un pezzo di bronzo a forma di pilone
incavato ad un terzo della sua altezza forse ad uso di Goure
(?) o di ferculo per infumarsi
davanti alla Deità.
19 Una bellissima corona fogliata
lanceolata di quella natura di tante che si vedono sul capo di Flamini con 4 chiodetti, che s’internavano nella statua che manca.
20 Una statuetta sedente colla mano destra
rivolta al cielo.
21 Altra statuetta coperta di clamide con un
piccolo vaso nella destra e con una cornucopia nella sinistra.
22 Frammento d’una coda di animale in forma
spirale.
“K. Delegazion zu Verona an das
Gubernium zu Venedig 2 Juni 1830.
Nei primi giorni di maggio pp. Furono fatti
dei scavi sotto il tenere del Comune di Montorio, e
precisamente in un campo di proprietà delli SS.ri Giuseppe e
Gaetano Martinelli, che condussero alla scoperta di
vari pezzi di bronzo di somma antichità. Avendo questi SS.ri
proprietari, celato questa scoperta dimentichi delle leggi in tal proposito
vigenti, e forse avendo mal compensato le fatiche dei braccii
che commissionarono a tale scavo furono essi dai medesimi villani adoperati a
tal scopo denunciati all’Uff.o di polizia, il quale
procedette immediatamente alle pratiche regolari per il ricupero di questi
oggetti, che si volevano trafugare alle viste politiche.
I fatti introdotti dai villici, che
denunciarono l’escavo dimostrano che molti oggetti
furono già ritrovati in quei luoghi, ma disgraziatamente trafugati per
arricchire Musei di antichità d’esteri stati, e che molto opportuno sarebbe di
autorizzarne la continuazione di questi escavi sotto
la sorveglianza politica e colle prescritte leggi”.
Dalle pubblicazioni di Girolamo Orti
vengono confermati i dati che si ricavano dai due documenti presentati e in più
si precisano due fatti molto importanti: una più esatta indicazione del luogo
di ritrovamento e la provenienza dal medesimo di una <<statuetta di
oratore>> trovata nove anni prima. Di questa, pubblicati con una incisine
nel 1830, l’Orti non ricorda il luogo di conservazione. Era stata trovata nella
primavera del 1821, priva del braccio destro, recuperato nel terreno nella
primavera successiva, e doveva certo essere già sfuggita al controllo delle
autorità politiche se il rapporto della R. Delegazione non la ricorda
espressamente. Forse la sottintende col riferimento a “molti oggetti....
trafugati per arricchire Musei di antichità d’esteri stati”. Se l’espressione celi solo questa statuetta, esagerando
burocraticamente la realtà sulla base di informazioni imprecise onde richiamare
l’attenzione delle autorità superiori, o sia invece da prendere alla lettera
non è possibile affermare. Ricordo tuttavia che l’Orti, presente come esperto
alla redazione dell’inventario, conosceva molto bene la “statuetta
dell’oratore”, ma di questa sua conoscenza precisa non trapela nulla dai
documenti riferiti. Mancano inoltre nei suoi scritti accenni, anche vaghi, ad
altri bronzetti che potrebbero giustificare l’espressione del rapporto. Ma è un
argomentum ex silentio
che non può provare che la ricca scoperta del 1830 sia stata preceduta solo dall’isolato ritrovamento dell’
“oratore” nel 1821.
Partendo dalla descrizione e al disegno
dell’Orti siamo riusciti ad individuare l’ “oratore” di Montorio
in un bronzetto della Bibliothèque Nationale di Parigi che presenta anche il particolare
decisivo del braccio destro riconnesso. Salendo a ritroso nella storia collezionistica
del pezzo, di cui i cataloghi ignorano sempre la provenienza veronese, troviamo
che esso entrò nella collezione attuale nel 1865. Prima faceva parte della
raccolta privata del Visconte De Janzé nella quale
era giunto nel 1841, dalla collezione di M. Revil.
Oltre quest’ultima data, uno iato copre le vicende
del passaggio da Verona all’estero ed è in questo periodo che il dato di
provenienza si smarrisce, crediamo, intenzionalmente.
Le vicende del gruppo si possono
pertanto così riassumere. Nella primavera del 1821, forse casualmente, viene
ritrovata la statuetta di filosofo oggi a Parigi (l’“Oratore” dell’Orti), priva
del braccio destro. La curiosità e l’avidità porta a ricerche ulteriori e un
anno dopo viene ritrovato il braccio mancante. Intorno al 1830 la probabile
vendita di essa dovette spingere i proprietari del terreno alla scoperta di
nuovi sondaggi. Il risultato della primavera di quell’anno
fu cospicuo; si recupera un gruppo di bronzi che, per denuncia degli stessi
scavatori, viene inventariato, sequestrato e inviato a Vienna dove è oggi
conservato. L’Orti pubblicherà, a breve distanza l’una dall’altra, piccole
monografie relative al filosofo, al Mercurio e al Giove. Il von
Sacken illustrerà catalogicamente i singoli pezzi viennesi “Antike
Bronzen”, ma una pubblicazione d’insieme non sarà mai
fatta. Del filosofo si perderà il ricordo. Intorno al 1841 passerà, senza dato
di provenienza, dalle mani di Revil a quelle di De Janzé. Alla morte di quest’ultimo
entrerà, per legato testamentario, nella collezione attuale. Vari studiosi se
ne occuperanno ignorando la sua pertinenza al gruppo viennese.
Un ultimo contributo alla
ricomposizione del ripostiglio di Montorio e alla
ricostruzione delle vicende sfortunate della sua graduale scoperta ci viene
offerto da una lettera, datata 14 aprile 1865, conservata nell’archivio di Castelvecchio di Verona. Carlo Martinelli,
erede dei fratelli citati nei documenti da noi pubblicati, accompagna con essa
la cessione di alcuni oggetti (“quanto restò alla mia famiglia di tutti i
pezzi... rinvenuti dalla stessa circa l’anno 1830”) fatta al Conservatore del Museo
Civico di Verona, Cesare Bernasconi. Tali oggetti
sono elencati come segue: 1 Priapo; 1 capra amaltea; 1 pezzo di cornice (con la postilla: “questi
oggetti vennero rinvenuti per certo in
unione agli idoli che vennero
trasportati a Vienna”) e continua: 1 piccola moneta in argento illustrata dal
fu ab.te Venturi; 25 monete diverse (con la postilla:
“non sui può asserire se queste tutte venissero trovate in detta circostanza
ovvero se alcune di esse venissero acquistate altrimenti”).
Di tutto questo materiale solo il Priapo, per i motivi cui accenneremo più aventi del
capitolo che lo riguarda, può essere identificato. Gli altri oggetti sono
indicati troppe genericamente perché, almeno per ora, si possa sperare di
individuarli nella ricca collezione civica veronese, priva di inventari
circostanziati del tempo della cessione. Si tratta comunque di oggetti di relativo interesse e significato. Quello
che maggiormente dispiace è che si sia perduta memoria (già da parte del
donatore) di quelle monete che certamente furono trovate nel contesto della
scoperta. Esse (specialmente se presenti in copia notevole) avrebbero offerto
un significativo spunto per la datazione del ripostiglio.
Circa il luogo del ritrovamento, l’Orti
osserva, nel 1830, che l’ “oratore” è stato trovato a “Pezza sotto Olivé” nello stesso punto in cui, nella primavera di quell’anno erano usciti il Giove, il Mercurio, i due
“arcieri”, la figura nuda (l’Amorino) e altri pezzi. La precisazione dell’Orti
dà quindi un nome al fondo di proprietà Martinelli,
già Albertini, situato nella frazione di Olivé, come ricordano i manoscritti. Ma la “Pezza”, almeno
nell’estensione toponomastica attuale, non risulta essere appartenuta ai Marinelli nel 1830. essi allora possedevano un terreno
contiguo (a Sud del precedente) che porta oggi il nome di “Monte Martinelli”. E’ quindi assai probabile che la scoperta sia
avvenuta qui quando, prima che dal nome dei proprietari si affermasse il nuovo
toponimo, l’area dei terreni denominati “la Pezza” doveva avere un’estensione
maggiore di quella attuale. Una conferma della bontà dell’ipotesi è data dal
fatto che nell’area di Monte Martinelli esistono le
sorgenti del rio Fontanelle, una fonte copiosa i acque che è la stessa
ricordata dall’Orti in prossimità del luogo del ritrovamento.
La scoperta fu quindi fatta nell’area
fra “la Pezza” attuale e “Villa Martinelli” attorno a
quota 235 (tavoletta III N. E. del F.o 49 della Carta
d’Italia dell’I.G.M.: longitudine O. 1° 21’ 45” da M.
Mario; latitudine N. 45° 27’ 50”).
Resta da spiegare l’espressione “sotto Olivé” che ci appare molto strana perché la frazione di Montorio che porta tale nome è situata ai piedi della
collina, tra i 70 e i 100 m. di altitudine. Evidentemente si tratta di una
forma dialettale, molto diffusa ancor oggi, per indicare che il territorio
della scoperta era compreso entro i limiti di quella frazione.
Andare al di là di questi risultati è
per ora cosa vana. La regione di Montorio non ha
mancato di dare reperti archeologici ed epigrafici. Ma sul terreno della scoperta
nessuna traccia può segnalare insediamenti o costruzioni. Nessun accenno a
queste nemmeno nelle fonti di cui ci siamo serviti. Come va considerato
pertanto il gruppo di bronzi di Montorio? Un
ripostiglio di materiali promiscui deposto nel terreno per sicurezza, nel
percolo di una imminente incursione? Una piccola collezione d’arte? Il corredo
omogeneo di un larario domestico? Solo l’esame diretto del materiale potrà
suggerire una risposta a questi quesiti.
Come
si può constatare, la vicenda è molto strana, ma ci dice come gli Dèi avessero
un ruolo centrale nella vita delle persone. Secondo Luigi Beschi,
il complesso di statuette (il Mercurio è alto circa 25 cm.) fa parte di un
Larario domestico. I due arcieri o i due portatori d’acqua, potrebbero essere
la rappresentazione dei Lari domestici. Solo l’amorino nudo appare come
forgiato in modo rozzo, le divinità, invece, sono di foggia piuttosto
raffinata.
Luigi
Beschi fa un’analisi delle statue e formula parecchie
ipotesi di natura archeologica e culturale.
A noi
Pagani interessa un’altra cosa: la rappresentazione religiosa del complesso. Sia
che questo insieme di statuette fu rubato, sia che fosse stato nascosto, appare
evidente che apparteneva ad una collezione vissuta. Era la rappresentazione di
un divino presente in una casa, in una villa o in un tempio pubblico. Una
rappresentazione che ci racconta degli Dèi antichi del Veneto. Della diffusione
del loro culto e della presenza del loro divino in tutti i Veneti.
Troppo
spesso i veneti dimenticano di vivere da cittadini per accettare la sofferenza
che viene loro imposta dai cristiani. Solo che, qualche volta, come da qualche
mese sul monte Summano, ci viene detto che gli Dèi
hanno abitato fra noi e che tutt’ora vi abitano anche
se noi dobbiamo imparare a guardarci attorno, ma, soprattutto, progettare il
nostro futuro: a questo ci induce Mercurio. Il messaggero di tutti gli Dèi è
anche il messaggero degli Dèi presso gli Esseri Umani. E gli Esseri Umani lo
invocano per riuscire a ricostruire le relazioni con gli Dèi.
Queste
piccole statue, questo presepio pagano, sorte dalla terra; che cosa ci dicono?
Ci
dicono forse qual era la religione degli Antichi Veneti? Ci chiedono di “adorare”
le Antiche divinità? Ci chiedono di guardarci attorno. Sopra e sotto la terra. Davanti
e indietro fra passato e un futuro possibile. Questi bronzi ci dicono che viviamo
in uno sconosciuto che dobbiamo esplorare con coraggio e con passione. Non dare
nulla per scontato perché nulla è come la nostra ragione vorrebbe che sia. Là
dove sembra che non ci sia un passato, il passato ci attende e con Mercurio, ci
indica il futuro possibile.
Può
accadere di scavare nei ricordi ed un giorno illuminarci alle parole di Friedrich Holderlin comprendendo
che “Il mito non è mai accaduto, ma è sempre”. Così Holderlin
in Sallustio racconta a chi ha perso la memoria:
Quand’ero fanciullo, Spesso un dio mi scampava Dagli sgridi degli uomini. Giocavo sicuro e buono Con i fiori del bosco, E le Aure del cielo Giocavano con me. E come tu il cuore Delle piante consoli, Quando esse d’incontro Le tenere braccia ti
tendono, Così hai il mio cuore
consolato, Padre Elio! E come Endimione, Io ero il tuo vago, Sacra Luna. O tutti voi fidi, Amorevoli Dèi! Se poteste sapere Quanto vi ha la mia anima
amato! Certo allora io non vi
invocavo ancora Con nomi, e neanche voi Mi chiamavate mai a nome,
come uomini si chiamano Quasi si conoscessero. Pure conosciuto vi ho
meglio Che mai abbia conosciuto
gli uomini: Compresi il silenzio dell’etere, Le parole degli uomini non
le ho comprese mai. M’educò il concerto Del bosco pieno di murmuri, E amare appresi In mezzo ai fiori. In braccio agli Dèi sono
cresciuto. |
Marghera 18.03.2009
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