I conflitti sociali imposti da Gesù
Come si pensa il corpo, così si costruisce il sistema sociale e si scrivono le leggi.
Pensare il corpo delle persone è il fondamento di ogni ideologia e di ogni forma filosofica. Dallo sviluppo del suo pensiero filosofico fatto dal singolo filosofo si deduce come lui pensa il corpo delle persone. La relazione fra pensiero e corpo è, in ultima analisi, la relazione fra il cogito e l'essere in cui il filosofo colloca i suoi interlocutori. Filosofo, profeta, stregone; sono solo parole vuote se non si riesce a definire la collocazione dei corpi nella società pensata da quel singolo individuo.
Il corpo, ogni corpo vivente, manifesta delle emozioni. Sono le emozioni manifestate dal corpo che ci consentono di dire "è un corpo vivente". Senza le sue azioni che rivelano le sue emozioni dalle quali derivano i suoi intenti, i suoi scopi, i suoi progetti e i suoi desideri, noi non potremmo mai sapere, nell'ambito della ragione, che quello è un corpo vivente.
Da come percepiamo quel corpo vivente e da come lo collochiamo nella nostra stimolazione emotiva che, mediante la nostra percezione, inseriamo nel mondo dei fenomeni con cui costruiamo le nostre relazioni, pensiamo quel corpo.
Però, noi, dobbiamo chiederci come, una volta pensati i corpi del mondo in cui viviamo, e delle società umane in particolare, collochiamo il nostro corpo aprendolo alle relazioni con essi. Cosa siamo disposti a riconoscere nei corpi che incontriamo e quali barriere alziamo affinché le voci delle emozioni dei corpi, che noi non vogliamo riconoscere, non giungano alle nostre emozioni.
Dobbiamo chiederci NON COME NOI PENSIAMO LA VITA DEGLI ALTRI, ma come pensiamo la nostra vita e le condizioni in cui vorremmo che la nostra vita si svolgesse.
Pertanto, l'oggetto del discutere non è CIO' CHE NOI SIAMO. Perché, ciò che noi siamo è ciò che noi esprimiamo, al di là che lo pensiamo o meno. L'oggetto del discutere è ciò che ci accomuna, cioè l'oggettività nella quale noi esprimiamo noi stessi e le condizioni fisiche, sociali, giuridiche e morali, che tale oggettività manifesta e che si traducono in fenomeni che agendo sui corpi intrauterini, neonatali, infantili e adolescenziali, ne condizionano lo sviluppo, la formazione delle idee sul mondo e la loro capacità di veicolare le loro emozioni.
Così è per la società civile. Pensare ad una separazione fra le nostre emozioni, chiamandole "anima" e il corpo che le manifesta stabilendo in maniera arbitraria e assolutamente soggettiva quali di queste emozioni appartengono all'"anima" e quali al corpo costruendo, di fatto, una contrapposizione fra tale "anima" e il corpo implica un sistema giuridico preciso. Un sistema giuridico che può essere più o meno gravoso, ma che tenderà sempre a condannare il corpo (mortale per sua natura) al fine di produrre una "salvezza" di quest'"anima". Ne consegue che tale sistema giuridico spazia, indifferentemente, dal sistema giuridico monarchico costituzionale, al sistema giuridico nazista al cui centro c'è il diritto di sterminare ogni corpo mediante i campi di sterminio. I due sistemi "giuridici" appaiono diversi, ma sono il prodotto della stessa struttura di pensiero veicolata in condizioni sociali più favorevoli all'integralismo assolutista, fondamentalista, del concetto di relazione "anima" e corpo.
Per contro, una società che pensa ai corpi come agli "oggetti" che manifestano emozioni, tensioni, intelligenza, si organizzerà per il benessere dei corpi in quanto, i corpi, sono l'entità fisico-psichica che sta a fondamento della società stessa. Sono i corpi che manifestano, mediante i loro desideri e le loro passioni, la loro "anima". Il loro essere nella Natura.
In questo sta la contrapposizione fra una società che si fonda sulla sofferenza, la città di dio dei cristiani, e una società che si fonda sulla felicità. L'eterna lotta fra il bene della vita e il male che impone condizioni morali affinché gli individui vivano nella sofferenza. Il male diventa il Gesù di Nazareth il modello della sofferenza che viene imposto alle società civili.
Diventa interessante, a questo proposito, confrontare alcune affermazioni di Salvatore Natoli ne "L'esperienza del dolore" con alcune affermazioni di Umberto Galimberti ne "Il corpo". Ogni autore si compiace delle sue "affermazioni". Ma ogni affermazione apre una diversa prospettiva sociale in cui si collocano i corpi umani e le loro condizioni di vita nella società.
Scrive Salvatore Natoli ne "L'esperienza del dolore" ed. Feltrinelli:
"Questa doppia esegesi segna una differenza fra l'incarnatus ed il crucifixus, ma l'una cosa non avrebbe senso senza l'altra, poiché il significato profondo dell'incarnazione si fa manifesto nella gloria della croce secondo le parole che Giovanni pone sulla bocca di Gesù: "Quando a me, allorché sarò innalzato da terra tutti attirerò a me" (Gv., 12, 32). Nella morte lo svuotamento, ma nella croce la gloria. Al fondo dell'annientamento si attinge il punto d'inversione e Dio riappare nella sua potenza. L'inno cristologico di Paolo esprime con chiarezza e trionfo questa convinzione: "Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e all'inferno e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è Signore e gloria di Dio Padre." (Fil., 2, 9-11)."
E perché questo? Ce lo dice Salvatore Natoli continuando ne "L'esperienza del dolore" quando continua il discorso affermando:
"Cosa deve fare dunque il cristiano? Imitare Cristo. Così Paolo: "Estote ergo imitatores Dei: siate imitatori di Dio" (Ef., 5,2). Ma come e in chi si può essere imitatori di Dio? Evidentemente in Gesù Cristo: "Camminate nella carità come anche Cristo ha amato voi e ha dato sé stesso per noi quale offerta e sacrificio di buon odore a dio: oblationem et Hostiam Deo in odorem suavitatis" (Ef., 5,2). Offerta e sacrificio: in questo orizzonte espiatorio e sacrificale l'uccisione, che pure resta un delitto, diviene pegno d'amore, la vittima dono gradito."
In pratica il cristiano costringe gli Esseri Umani a sacrificarsi perché questo fa piacere al suo dio. Imporre il sacrificio dei corpi negando il corpo come soggetto che manifesta le pulsioni di vita al fine di esaltare il dio padrone negando la vita stessa. L'inciso, usato da Natoli sull' "uccisione, che pure resta un delitto...", è solo una presa per i fondelli, in quanto, il dio padrone dei cristiani, si nutre di uccisioni che non ritiene assolutamente dei delitti (come ribadito dalla chiesa cattolica che fa del suo diritto a macellare gli Esseri Umani dottrina fondamentale). Il delitto è quanto viene imputato all'individuo che chiede giustizia in quanto, con la sua richiesta, viola l'arbitrarietà del suo dio padrone e della chiesa cattolica.
Affinché l'India riconosca che Gesù Cristo è Signore, i missionari cristiani possono stuprare i bambini; affinché gli extracomunitari confessino che Gesù Cristo è Signore gli extracomunitari possono essere picchiati e vessati da vigili urbani e da sindaci per mandato di chi mette Gesù Cristo al posto della Costituzione sputando sui principi Costituzionali.
La citazione di Natoli, che parla di "inno cristologico di Paolo" è una vera e propria esaltazione del genocidio al fine di "piegare al padrone ogni ginocchio".
Il crocifisso è il simbolo dell'odio che negando il corpo e i suoi diritti all'esistenza e al piacere fa della sofferenza, imposta agli Esseri Umani, l'imitazione di cristo nella sofferenza. Dove c'è la ricerca del piacere e del benessere c'è la vita; dove c'è il piacere della sofferenza che il Gesù dei cristiani impone agli Esseri Umani, c'è solo odio, distruzione e strage.
L'ideologia che i cristiani nascondono è socialmente grave: IL CRISTIANO NON IMPONE LA SOFFERENZA A SE' STESSO, ma la impone alle persone. Tanto più le persone sono socialmente indifese e tanto più si compiace nell'imporre loro la sofferenza.
L'odio di Gesù per l'umanità è quanto di più inumano e criminale l'umanità abbia assistito!
Rileva ancora Natoli:
"La figura di Gesù agonizzante disegna in modo definitivo il modello del sofferente con cui avrà a che fare la civiltà cristiana e, in particolare, il cristianesimo occidentale. Gesù ha interpretato un modo di soffrire concepibile solo all'interno della tradizione ebraica e ne ha universalizzato il senso all'interno della cultura d'Occidente. L'iconografia cristologica è quella del Christus patiens, è l'ideologia della croce. Nella croce la gloria. L'iconografia del Cristo sofferente è un'immagine stampata nelle anime, impressa nei cuori: si tratta di un calco indelebile che ha forgiato un'intera civiltà, ha raccolto dentro di sé un'umanità dolente che certo aveva bisogno di consolazione, ma a cui era sconosciuta, in senso forte e pieno, l'idea di salvezza." pag. 216-217 Natoli
Il Gesù agonizzante non disegna il modello di sofferente, come afferma Natoli, ma il modello della società umana e delle condizioni in cui gli Esseri Umani debbono essere costretti. La tradizione ebraica non concepiva la sofferenza per la sofferenza; semmai subiva rassegnata la sofferenza imposta. Come subiva la gloria del terrore che il suo dio padrone imponeva al popolo eletto. Ma gli ebrei non cercavano la sofferenza.
La gloria non sta nella sofferenza della croce, ma nel piacere di imporre la sofferenza agli uomini mediante la croce.
Gesù e i cristiani negano il corpo. Negano alle persone l'uso del proprio corpo per il piacere tenendole immerse nella sofferenza che, secondo loro, rendendo uguali al loro Gesù le condurrebbero alla salvezza. Una salvezza non desiderata, in una sofferenza imposta e tollerata soltanto nella misura in cui la violenza ne rinnova l'imposizione. Sofferenza che si rappresenta in vari modi. Dall'ignoranza che impedisce all'individuo di conoscere le possibilità nella propria esistenza, allo schiavismo che impedisce all'individuo di migliorare le proprie condizioni di vita diventando un soggetto di diritto sociale. Dalla miseria fisica come privazione dei mezzi di sostentamento sociale (sequestro di ogni oggetto che, accumulato col lavoro, permetta all'individuo di migliorare la propria condizione sociale) all'incitamento all'odio e alla guerra sociale (come stanno facendo oggi i missionari cristiani in Cina e India) al fine di garantirsi il controllo sociale in una società devastata economicamente. Alla miseria psico-emotiva delle perone attraverso la violenza che impone alle persone la rinuncia all'uso del proprio corpo all'imposizione di fobie, sensi di colpa, depressione, delirio di onnipotenza, nevrosi e infantilismo da dipendenza. Allo spaccio di sostanze stupefacenti allo scopo di impedire alle persone di veicolare i propri desideri nella società e nella vita.
Sofferenza!
Sofferenza diffusa in tutti gli ambiti sociali e personali degli individui con particolare riguardo allo stupro dei bambini emotivamente più vulnerabili e manipolabili; loro devono soffrire.
E prima del cristianesimo?
Cosa ci dice Umberto Galimberti ne "Il corpo" della tradizione che precede l'avvento del monoteismo?
Qual è il rapporto fra corpo e le sue manifestazioni psichiche?
Omero non separa il corpo dalle sue manifestazioni psichiche. Rileva Umberto Galimberti:
"Al contrario di Platone, Omero può mantenere la differenza fra corpo e cadavere perché non concepisce un'anima dietro ad un corpo. Per Omero, infatti, l'anima è l'occhio che vede, l'orecchio che sente, il cuore che batte. La parola psyché, quando ricorre, ricorre, come già soma, solo in riferimento al cadavere o al corpo che sta per diventare cadavere. Si dice allora che la psyché abbandona l'uomo quando sviene, quando muore, uscendo con l'ultimo respiro dalla bocca, o anche dalle ferite del corpo, per andarsene nell'Ade dove è ospitata come vana ombra...." pag. 47 Galimberti
Il corpo che vive il mondo è un corpo che vive sé stesso. Proprio perché il corpo abita e percorre il mondo può riconoscere le proprie sensazioni anche quando sono manifestate dagli oggetti del mondo che incontra. Solo il corpo morto, il cadavere, cessa di desiderare, di esistere e di proiettarsi verso gli oggetti del mondo attratto dalla loro presenza e dalla loro manifestazione. Così il corpo cerca il piacere nelle relazioni. Il piacere di penetrare il mondo in cui vive e attraverso queste relazioni dilatarsi nel mondo.
Il cristiano trasforma il corpo in un cadavere dedito alla sofferenza, le popolazioni antiche manifestavano un corpo che desiderava gli incontri con il mondo.
Separare il corpo che desidera dall'anima posseduta dal dio padrone significa trasformare il corpo delle persone in oggetti di possesso attraverso la fustigazione dei loro desideri e del loro desiderare.
E così anche nello sciamanesimo.
Nonostante i monoteisti, i cristiani in particolare, continuano ad agire attribuendo le categorie di pensiero monoteiste a chi pratica religioni diverse, Galimberti rileva:
"A proposito della tradizione sciamanica e del nuovo schema da essa introdotto e fondato sulla distinzione anima e corpo, non dobbiamo lasciarci trarre in inganno dalla terminologia. L'"anima" sciamanica non è la facoltà razionale di Platone, ma la vita dell'inconscio a cui alludevano Pindaro e, sia pure grossolanamente, Senofonte. Per lo sciamano, infatti l'anima è la dimensione irrazionale dell'uomo che cerca di staccarsi dal corpo, perché questo, come corpo vivente impegnato in un mondo, non gli consente di "liberarsi a suo piacimento e di viaggiare in regioni lontane". Rispetto a Platone siamo dunque agli antipodi: lo sciamano rifiuta il corpo per quel tanto che il corpo ha un suo modo codificato di condurre la vita, condizionato com'è dall'ordine costituito. Il rifiuto si esprime, come ci informa Erodoto: "nel digiuno e nell'isolamento", che sono le condizioni più idonee per produrre quella dissociazione mentale necessaria per percorrere le regioni dell'incodificabile, da cui solamente può scaturire, per dono degli Dèi, il nuovo senso." pag. 52 Galimberti
Da qui la rivalutazione delle libido come manifestazione di vita e di desiderio del corpo nella sua ricerca di equilibrio nella vita che altro non è che ricerca di felicità. Una ricerca continua che consiste nel poter veicolare le proprie pulsioni nella sua attività di abitare il mondo. Il corpo che nega il mondo separando le sue pulsioni dalle sensazioni emotive negando loro il diritto di cittadinanza, di fatto, rinuncia alla vita. Diventa un cadavere. Un cadavere senza passioni né desiderio in quanto privato della libido.
Negli sciamani la percezione alterata NON è un'uscita dal corpo, ma è un diverso modo attraverso il quale il corpo percepisce il mondo in maniera diversa. Un diverso abitare il mondo la cui esperienza arricchisce l'abitare quotidiano del mondo.
Mentre Platone faceva uscire l'anima dal corpo, gli sciamani non fanno uscire nulla dal corpo perché nulla è separato dal corpo. Gli sciamani abitano il mondo quotidiano con strumenti che la percezione usuale ignora costruendo relazioni con aspetti inusuali e ignorati del mondo. Lo sciamano non rifiuta il corpo come prigione della sua percezione, della sua anima, ma lo usa in percezione alterata distaccandosi dalla descrizione vissuta nel quotidiano. La ricerca della felicità e del benessere dello sciamano non termina nel benessere e nella quotidianità del quotidiano, ma si immerge là dove gli oggetti del mondo hanno coscienza, consapevolezza, intelligenza, scopo e progetto costruendo con essi delle relazioni emotive.
"La sessualità non è carne, è desiderio. Ciò a cui tende non è l'eiaculazione, ma è l'incontro con l'altro, perché solo desiderando l'altro o sentendomi oggetto di desiderio altrui, io mi scopro di essere sessuato. La distinzione tra amore e perversione è contenuta nel modo di vivere il proprio desiderio come apertura o come chiusura verso l'altro. Perverso è quel desiderio che non desidera l'altro, ma sé stesso, che non diventa veicolo di trascendenza, ma oggetto della propria immanenza, giocata in quel breve spazio che separa la tensione dalla soddisfazione che la estingue. Quando il desiderio diventa l'oggetto desiderabile, lo si eccita, lo si tiene in sospeso, se ne rimanda la soddisfazione finché non sopraggiunge l'atto sessuale che lo spegne, come un soffio di vento che spegne un fuoco che non ha trovato ove propagarsi. E' al desiderio perverso e alla sua incapacità di trascendenza ciò a cui pensa la scienza medica e la morale diffusa quando definiscono il desiderio come un "istinto" la cui origine e il cui fine sono strettamente fisiologici. In realtà il desiderio non implica necessariamente un'attività sessuale, perché, come dice Sartre: "il desiderio non è desiderio di fare", ma è desiderio di un oggetto trascendente che consenta di uscire dalla propria clausura.
Si può obbiettare che il desiderio non desidera un oggetto, ma un corpo con cui "fare" l'amore, perché è il corpo che trapelando dalle vesti, scatena il desiderio. Questo è vero, ma solo perché il corpo, lasciandosi intravedere, fa la sua apparizione sullo sfondo di una situazione in cui si allude alla seduzione e al turbamento. Allora il corpo è pro-vocante, non perché lascia intravedere la sua nudità, ma perché chiama in gioco quella situazione, perché in un certo senso si assenta come somma di elementi somatici capaci di produrre sollecitazioni fisiologiche, per offrirsi come atteggiamento che dice la tensione di un amore incipiente. In questo modo il corpo è desiderabile non per la sua carne immediatamente presente, ma perché nella sua carne si manifesta una vita e un'offerta a parteciparvi. Basta infatti che la carne neghi questo sfondo e si raccolga nell'immobilità del rifiuto che il desiderio si estingue, raggelato dall'impossibilità di trascendersi." Galimberti "Il corpo" pag. 245
Non il dolore e la sofferenza, ma il piacere e la partecipazione stanno alla base della vita. Stanno alla base dello sviluppo e dell'affermazione del presente in funzione del futuro.
Il corpo come soggetto di manifestazioni emotive e non oggetto abitato da manifestazioni emotive come i cristiani vogliono far credere.
Non è solo un errore di prospettiva, ma come si fonda il proprio futuro. Un presente di ricerca del piacere o di imposizione di sofferenza. Sì, perché il corpo che impone sofferenza non la impone a sé stesso con la medesima violenza con cui la impone ad altri corpi. Così l'adulto cristiano non impone al suo corpo la medesima sofferenza che impone ai corpi dei bambini mentre crescono e manifestano l'impellenza delle loro tensioni espansive. Al contrario. Un corpo che cerca il piacere coinvolge la società in quel piacere perché c'è la condivisione del piacere.
Imporre il crocifisso significa imporre la sofferenza alla società.
Ed è l'imposizione del crocifisso, del desiderio di imporre la sofferenza, che porta le società a costruire i campi di concentramento e di sterminio. Sia quando questi si chiamano campi di sterminio nazista, sia quando si chiamano Centri di Permanenza Temporanea o Centri di Identificazione e Espulsione. Obbediscono sempre alla stessa e medesima logica: distruggere l'uomo. Un uomo emarginato. Un uomo che viene spinto ai margini della società e che viene considerato come merce: un corpo che non manifesta tensioni emotive!
Il cristianesimo è ideologia della schiavitù umana.
Nessuna ideologia ha mai messo al suo centro ideologico e religioso la schiavitù dell'uomo come il cristianesimo. L'uomo è schiavo del dio padrone in quanto oggetto creato e di proprietà del dio padrone. Una proprietà che viene gestita da tanti capi e capetti, caporali e sergenti, che usano corpi come merci a maggior gloria del loro dio padrone. Quando una società mette la sofferenza al centro delle sue scelte, la sofferenza di altri, per il piacere del dio padrone o dei padroncini che ne gestiscono le attività, alimenta un cancro che ammala la società privandola dell'apertura verso il futuro. Così ogni generazione deve faticare per aprirsi uno spazio di esistenza; ogni generazione attuale condanna la generazione in formazione; ogni generazione attuale, in ogni momento di sopravvivenza, ferma le sue trasformazioni verso un futuro possibile che vede negato. Un corpo che non si dispiega nella società è una psiche-anima-emozioni prigioniera in un presente che si piega su sé stesso.
In ogni società cristiana i diritti dell'uomo non esistono: l'uomo è un oggetto di proprietà del dio padrone. Se oggi esiste un "diritto del lavoro", domani il "diritto del lavoro" potrà essere rimosso a piacimento in quanto, tale diritto, è sottoposto al diritto del dio padrone e di chi lo gestisce. Se oggi esiste un diritto al salario; domani tale "diritto" potrà essere rimosso a piacimento in quanto il diritto del dio padrone e di chi lo gestisce è superiore al diritto allo stipendio della persona. Se oggi esiste un diritto alla sicurezza sul lavoro; domani tale diritto potrà essere rimosso in funzione dei diritti del dio padrone e di chi lo gestisce.
In una società sottoposta alla sofferenza del crocifisso non esistono diritti dell'uomo che siano sacri. Questi vengono rimossi a piacimento di chi gestisce il diritto del dio padrone. Poco importa se la rimozione di tali diritti avviene con un esercito di poliziotti che bastonano chi protesta o se avviene mediante un martellamento pubblicitario che ne distorce i valori nel pensiero delle persone: i risultati non cambiano; le persone sono solo puri oggetti di possesso. Schiavi che non sono riusciti a diventare soggetti il cui corpo abbia dei valori che la società assuma come SACRI a fondamento del suo esistere.
Marghera, 30 settembre 2008
I conflitti sociali imposti da Gesù
Claudio Simeoni Meccanico Apprendista Stregone Guardiano dell'Anticristo Tel. 3277862784 e-mail: claudiosimeoni@libero.it |
La Stregoneria è un cammino. Questo perché la Stregoneria è trasformazione del soggetto che percorre il sentiero. Il sentiero è mutamento dopo mutamento, trasformazione dopo trasformazione. La sequenza delle trasformazioni del soggetto, in ogni istante che si trasforma, forma il cammino dello Stregone. In ogni attimo lo Stregone, come ogni persona, presenta il proprio Potere di Essere che altro non è che quanto ha costruito mediante le sue trasformazioni.