Cod. ISBN 9788891185785
Teoria della Filosofia Aperta - Volume due
Bergson reagisce religiosamente al materialismo positivista e riscrive la Genesi della bibbia in chiave evoluzionista. Mentre il materialismo, con tutti i limiti dell'educazione cristiana imposta ai futuri materialisti, annullava l'intervento del dio della bibbia dalle trasformazioni consapevoli della materia vivente, Bergson riportava la materia vivente sotto l'imperio del dio padrone.
L'evoluzione creatrice di Bergson non è altro che la riscrittura delle Genesi. Entrando in sintonia con la manipolazione della struttura emotiva che il cristianesimo opera sui bambini, suscitò quell'entusiasmo di rivincita nei confronti dei materialisti positivisti che, negando il dio padrone e la dipendenza della materia vivente da un padrone, avevano umiliato il suo dio dimostrando come la manipolazione emotiva fosse una violenza e non un modo naturale di pensare la vita.
Le conclusioni tratte da Bergson sono chiarificatrici dei fini ai quali tende "l'evoluzione" di Bergson che rientrano, in tutto e per tutto, nella categoria dell'evoluzione della creazione propria della bibbia cristiana.
Scrive Henri Bergson in "L'evoluzione creatrice" a pag 127:
è in tal senso peculiare che l'uomo è "termine" e "scopo" dell'evoluzione; dicemmo che la vita trascende la finalità, come ogni altra categoria, essendo essenzialmente una corrente lanciata attraverso la materia, che ne trae tutto quanto può. Non ci fu quindi, propriamente, alcun progetto nè piano, e d'altra parte è sin troppo chiaro che il resto della natura non è stato riferito all'uomo: lottiamo come le altre specie, abbiamo lottato contro di esse. Inoltre se l'evoluzione della vita nel suo cammino avesse urtato contro ostacoli diversi, noi saremmo risultati, fisicamente e moralmente, alquanto differenti da come siamo. Per tali ragioni si errerebbe nel considerare l'umanità, quale attualmente la constatiamo, come predeterminata nel movimento evolutivo, anzi non si può neppure dire ch'essa sia il punto d'arrivo dell'intera evoluzione, perchè questa si è compiuta su parecchie linee divergenti, e se la specie umana è all'estremità di una di tali linee, altre, con altre specie ai loro estremi, sono pure state sviluppate. Noi riteniamo quindi che l'umanità sia la ragion d'essere dell'evoluzione in un senso ben differente.
L'uomo come termine e scopo dell'evoluzione non è altro che la riproposizione della Genesi secondo cui la vita trascende la materia, una "corrente lanciata attraverso la materia":
"Allora il dio padrone formò l'uomo dalla polvere della terra e alitò nelle sue narici un soffio vitale, e l'uomo divenne un essere vivente." Genesi 2, 7
Bergson rileva come nella bibbia non ci sia stato "nessun piano" e nessun "progetto del dio padrone" e che la Natura, come scritto nella Genesi, è oggetto diverso dall'uomo. Non ne ha nessun riferimento se non in una situazione conflittuale per cui "lottiamo contro le altre specie". Siamo i "nemici delle altre specie", come descritto nella Genesi:
"Il dio padrone creò l'uomo a sua immagine, ad immagine del padrone creò il suo schiavo; lo creò maschio e femmina E il padrone disse loro: "Prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo, assoggettatelo e dominate sopra i pesci del mare e su tutti gli uccelli del cielo e su tutti gli animali che si muovono sopra la terra." Genesi 1, 28
Nessun progetto o destino per l'uomo se non quello di dominare: ad immagine e somiglianza del dominio del suo dio padrone. Non essendoci un progetto di forma, descritto nella bibbia, Bergson trae la considerazione secondo cui il suo dio padrone non ha imposto all'umanità "come predeterminata nel movimento evolutivo" supponendo che neppure ciò che l'umanità è oggi può essere considerato il punto d'arrivo dell'evoluzione perché, constata Bergson, l'evoluzione è avvenuta anche per altre specie. Pertanto, afferma Bergson, "Noi riteniamo quindi che l'umanità SIA LA RAGIONE D'ESSERE DELL'EVOLUZIONE in un senso ben differente." cioè, quello della sottomissione al proprio dio padrone che poi riassume il senso psico-emotivo di Bergson di essere un ebreo convertito al cattolicesimo.
Scrive Henri Bergson in "L'evoluzione creatrice" a pag 128-129:
Dal nostro punto di vista, la vita ci appare complessivamente come un'onda immane propagante si da un centro, onda che quasi ovunque sulla sua superficie d'espansione si arresta mutandosi in oscillazione locale senza progresso: in un solo punto l'ostacolo è stato abbattuto, la spinta è passata liberamente, ed è da questa libertà che vien contraddistinta la specie,umana. In ogni altro punto, eccetto l'uomo, la coscienza s'è vista chiusa in un vicolo cieco; solo con l'uomo ha potuto procedere oltre nel suo cammino. Dunque l'uomo è la continuazione indefinita del movimento vitale, benchè non trascini con sè tutto quanto in sè portava la vita; su altre linee d'evoluzione hanno camminato altre tendenze implicite nella vita, di cui l'uomo certo qualcosa ha conservato, poichè tutto si compenetra, ma ben poca cosa. Tutto avviene come se un essere indeterminato e fluido, che si può chiamare indifferentemente uomo o superuomo, avesse tentato di realizzarsi e non vi fosse riuscito che a prezzo della perdita, lungo il cammino, di una parte di sè. Questi sedimenti sono rappresentati dal resto del regno animale e pure dal mondo vegetale, almeno in quello ch' essi hanno di positivo e di non riducibile agli aspetti accidentali dell'evoluzione. In questa prospettiva si attenuano in modo notevole le disarmonie, di cui la natura ci offre lo spettacolo: l'insieme del mondo organico diviene una specie di humus su cui doveva spuntare o l'uomo stesso, ovvero un essere moralmente a lui simile. Gli animali, per quanto lontani, e persino nemici della nostra specie, furono nondimeno utili compagni di strada, su cui la coscienza si è scaricata di quanto d'ingrombrante trascinava, e che quindi le hanno permesso di elevarsi, con l'uomo, all'altezza da cui vede un illimitato orizzonte riaprirsi dinanzi a sè.
A differenza dei materialisti positivisiti e dei materialisti dialettici, Bergson separa la vita dalla materia. Per lui la vita è un'onda che si abbatte ovunque, ma solo nell'uomo la coscienza ha potuto procedere mentre, in tutte le altre specie, in tutta l'altra materia, la coscienza è stata chiusa e ostacolata.
L'immagine del dio padrone della Genesi è riprodotto da Bergson in questa "visione" in cui mette l'uomo al centro della vita e scopo della vita. L'uomo che la bibbia eleva a padrone dominatore della terra per mandato del dio padrone in Bergson viene tradotto come l'uomo portatore di coscienza in contrapposizione ad ogni altra specie della Natura che, a differenza del loro dominatore, l'uomo, sono prive di coscienza.
Che cos'è dunque il "regno animale" per bergson?
E' una specie di discarica delle immondizie della storia dell'evoluzione. Tutto ciò che l'uomo, essere superiore perché creato dal soffio del suo dio padrone, ha scartato lungo il suo percorso. Ciò che è positivo nel mondo animale e vegetale sono le scorie abbandonate dall'uomo nel suo processo evolutivo. L'uomo appare a Bergson come una specie di serpente che si è tolto la pelle lasciando questa pelle come pezzi di natura abbandonati lungo il suo cammino. Quanto vi è di "positivo" o di "utile" rispetto ai bisogni di dominio dell'uomo, secondo Bergson, è tutto riconducibile ai "sedimenti" che l'uomo ha abbandonato nel suo processo evolutivo.La natura, secondo Bergson è l'humus dal quale deve emergere l'uomo, il superuomo ad immagine e somiglianza del dio padrone. Peccato per Bergson che dall'humus emerge anche lo scarafaggio e lo scarabeo stercoraro le cui specie, secondo i parametri della Natura, hanno la stessa importanza della specie umana. In questa prospettiva Bergson riprende le tesi delle Stanze dal Libro di Dzyan di Helena Blavatsky introducendo il concetto dello "stampo dell'uomo" che diviene fase dopo fase e dove gli "animali" sono "nemici" dell'uomo. La natura come oggetto di dominio di un uomo che, creato dal dio padrone, diviene nella forma avendo nel "destino" gli animali come nemici che, tuttavia, beneficiano dell'evoluzione dell'uomo e delle sue scorie.
Scrive Henri Bergson in "L'evoluzione creatrice" a pag 129:
Essa non ha lasciato, è vero, lungo la strada soltanto un bagaglio incomodo, ma ha pure dovuto rinunziare a beni preziosi; la coscienza nell'uomo è soprattutto intelligenza, mentre avrebbe potuto e dovuto, come sembra, essere anche intuizione. Intuizione e intelligenza rappresentano due opposte direzioni dell'attività cosciente: l'intuizione procede nello stesso senso della vita, l'intelligenza in senso inverso, trovandosi quindi automaticamente corrispondente al movimento della materia. Completa e perfetta sarebbe un'umanità in cui ambedue queste forme dell'attività cosciente raggiungessero pieno sviluppo; e fra tale umanità e la nostra si possono del resto supporre molti possibili stadi intermedi, corrispondenti a tutti i gradi immaginabili dell'intelligenza e dell'intuizione. Questa è la parte della contingenza nella struttura mentale della nostra specie; una diversa evoluzione avrebbe potuto condurre ad una umanità ancor più intelligente, ovvero più intuitiva, e di fatto nell'umanità di cui facciamo parte l'intuizione è quasi del tutto sacrificata all'intelligenza. Sembra che ad acquistare il dominio sulla materia e a riconquistare se stessa la coscienza abbia dovuto esaurire il meglio della sua forza: questa conquista, nelle condizioni particolari in cui si è svolta, esigeva che la coscienza si adattasse alle disposizioni abituali della materia e su di questa concentrasse tutta la sua attenzione, ed, infine, si determinasse in particolare nella forma dell'intelligenza. L'intuizione è pur sempre presente, ma vaga e soprattutto discontinua: è una lampada quasi spenta, che si ravviva soltanto a lunghi intervalli ed appena per qualche istante, ma in sostanza, quando è in giuoco un interesse vitale, essa si ravviva. Sulla nostra personalità, sulla nostra libertà, sul posto che occupiamo nell'insieme della natura, sulla nostra origine e fors'anche sul nostro destino essa proietta una luce vacillante e tenue, ma che nondimeno spezza l'oscurità della notte in cui ci lascia l'intelligenza.
In questo cammino "evolutivo" dell'uomo creato ad immagine del suo dio padrone, l'uomo avrebbe, secondo Bergson, lasciato per strada un "bagaglio incomodo". Un bagaglio incomodo in cui Bergson costruisce una specie di contrapposizione fra intuizione e intelligenza come se l'uno prescindesse l'altro all'interno dell'uomo o della stessa vita animale.
La coscienza è l'oggetto che noi riconosciamo in ogni agire. Sia per l'agire in sé stesso sia che noi attribuiamo quell'agire ad un oggetto determinato come soggetto della natura (animali, piante, funghi, batteri, virus, muffe, ecc.). La coscienza è sempre portatrice di nous, inteso come capacità soggettiva di progettare la propria esistenza per veicolare le proprie pulsioni e i propri bisogni. La coscienza è sempre portatrice di intelligenza progettuale. L'intelligenza progettuale non è determinata dall'intelligenza razionale, ma è la madre di ogni altra forma di intelligenza che si possono considerare come dei sottoprodotti riduttivi, e funzionali per il contingente del momento, dell'intelligenza della coscienza. E' proprio perché l'intelligenza contingente è un sottoprodotto dell'intelligenza manifestata dalla consapevolezza del soggetto, a qualunque specie della natura appartenga, che dall'intelligenza giungono intuizioni all'intelligenza contingente. Separare la contingenza della manifestazione dell'intelligenza del soggetto dalla coscienza del soggetto che manifesta l'intelligenza del proprio essere nel mondo, è proprio dell'ideologia cristiana che, separando anima dal corpo, attribuiscono al corpo una forma secondaria e bassa con cui abitare il mondo.
La separazione anima-corpo viene reintrodotta da Bergson sotto forma di intuizione-intelligenza. Attribuisce l'intuizione alla vita e l'intelligenza al corpo, alla materia. Solo che, come tutti gli adoratori del dio della Genesi biblica, può dimostrare l'esistenza di un corpo che abita il mondo, ma dell'intuizione attribuita alla vita può fare solo delle illazioni del proprio desiderio assolutista. L'intuizione giunge alla coscienza, ma l'intuizione è sempre un'attività del corpo come l'intelligenza.
In questa visione creativista cristiana, la materia non è l'oggetto che manifesta coscienza, per ciò intelligenza ed intuizione, ma è l'oggetto che deve essere dominato dalla coscienza che è indipendente, per Bergson, dalla materia stessa. Un dominio che la coscienza otterrebbe, secondo Bergson sacrificando l'intuizione a beneficio dell'intelligenza. Un'intelligenza che, in questo caso, appare come l'intelligenza razionale, logico-matematica.
Per Bergson, l'intuizione è la sensazione emotiva. Una sensazione emotiva che lascia la sua bocca vuota perché non riesce a farla affluire con costanza alla propria coscienza. Immagina un'intuizione costante, capace di rendere l'uomo onnipotente in un "destino" che lo riporta al dio creatore. Questo senso di vuoto che percepisce e che vorrebbe riempire con l'intuizione è riempito, nel mondo animale e nel mondo vegetale dal quale l'uomo si è separato, dall'abitare il mondo degli Esseri della natura mentre egli, in questa visione di onnipotenza al di sopra della natura, di fatto, è separato.
Ciò che Bergson vorrebbe è ciò che Bergson ha negato a sé stesso nell'affannosa ricerca del dio padrone: la sua coscienza come parte delle coscienze della Natura.
Scrive Henri Bergson in "L'evoluzione creatrice" a pag 130:
E' di queste evanescenti intuizioni, che rischiarano il loro oggetto soltanto a lunghi intervalli, che la filosofia si deve impadronire, anzitutto per rafforzarle, in seguito per allargarle ed in tal modo congiungerle tra di loro. Più essa procede in quest'impresa, più si rende conto che l'intuizione è l'essenza dello spirito e, in certo senso, della vita: l'intelligenza vi si ritaglia con un processo che imita la genesi della materia. In tal modo si rivela l'unità della vita mentale, ma non la si riconosce altri- menti che collocandosi nell'intuizione per muover di là verso l'intelligenza, poichè dall'intelligenza non si passerà mai all'intuizione. Così la filosofia ci introduce nella vita spirituale, ed al tempo stesso ci mostra la relazione fra la vita dello spirito e quella del corpo. Il grande errore delle dottrine spiritualistiche è stato credere che, isolando da tutto il resto la vita spirituale ed elevandola nello spazio il più possibile sovra la terra, l'avrebbero messa al riparo da ogni offesa: come se in tal modo non l'esponessero semplicemente al rischio di essere scambiata per un miraggio! Certo esse hanno ragione ad ascoltare la coscienza, quando questa afferma la libertà umana; ma interviene allora l'intelligenza, sostenendo che ogni causa è determinante per il suo effetto, che l'identico condiziona l'identico, che tutto si ripete e tutto è dato.
Bergson, nel suo delirio creazionista, ignora che l'intuizione non può essere descritta mediante le parole. La filosofia è un insieme di parole che descrivono la realtà del mondo; l'intuizione che lui sente di tanto in tanto emergere, non può essere descritta, né Bergson si pone il problema di come stimolare l'intuizione. L'intuizione è cosa diversa dall'illusione patologica del delirio di sottomissione all'idea del "super-uomo" che attraversa la vita nel suo sforzo di elevazione che Berger scambia per evoluzione. L'evoluzione dei viventi della natura è un processo di adattamento delle specie e le specie che maggiormente cambiano forma adattativa, mettendo in atto salti di specie, sono gli esseri meno adatti per trasformare la materia da inconsapevole allo stato di consapevolezza.
La filosofia non ci introduce alla "vita spirituale", ma induce l'individuo a legittimare il suo stato di malattia mentale quale espressione del delirio della bibbia cristiana. Un delirio che Bergson rinnova nella distinzione spirito-corpo. Quella sfida dell'incoerenza che Bergson ha lanciato ai materialisti: dimostri, se ne è capace, l'esistenza di uno "spirito" privo di un corpo. Vedrà solo corpi. Corpi viventi che egli, col suo odio per la vita, vuole distruggere separando, idealmente, quel corpo da tutte le qualità con cui egli vive e abita il mondo.
L'errore delle dottrine spiritualistiche è stato quello di essere delle dottrine spiritualistiche.
L'errore è stato quello di negare la centralità del corpo dopo che attraverso i corpi si sono costruite le relazioni fra i viventi in milioni e milioni di anni. L'errore delle dottrine spiritualistiche sta nel loro delirio di onnipotenza. Quel delirio che porta menti malate a negare ed estraniarsi dai corpi di cui sono emanazione. L'errore delle dottrine spiritualistiche sta nel negare i dati di evidenza sensibile nei quali si esprime la realtà del mondo.
Hanno torto le dottrine spiritualistiche perché ogni coscienza nasce dai corpi e ogni corpo è tale perché esprime una coscienza. Ogni corpo è tale perché può generare coscienze, mentre, dalla coscienza non nasce nulla se non l'espressione del corpo dell'individuo.
La libertà umana nasce dai corpi. E' la libertà del corpo che elabora i concetti di libertà della sua coscienza, non viceversa. La malattia mentale dell'individuo prigioniero della morale imposta che si trasforma in "desiderio di libertà". Un anelito che l'individuo attribuisce ad esseri fantasiosi che vede liberarsi dalle costrizioni sociali che il suo corpo subisce.
Solo la libertà dei corpi è libertà delle coscienze.
Scrive Henri Bergson in "L'evoluzione creatrice" a pag 131-132:
Esse hanno ragione a credere alla realtà assoluta della persona ed alla sua indipendenza rispetto alla materia; ma interviene la scienza a mostrare la stretta unione fra vita cosciente ed attività cerebrale. Esse hanno ragione ad attribuire all'uomo un posto privilegiato entro la natura, a ritenere infinita la distanza fra animale e uomo; ma interviene la storia della vita, a farei assistere al generarsi delle specie per graduale trasformazione ed a far così le viste di assorbire l'uomo nell'animalità. Quando un possente istinto proclama che. probabilmente la persona sopravvive alla morte, esse hanno ragione a non chiudere l'orecchio alla sua voce; ma se, quindi, esistono "anime" capaci di vita indipendente, deride mai provengono esse? Quando, come, perchè entrano in quel corpo che vediamo, sotto i nostri occhi, uscire per processo naturale da una cellula mista tratta dal corpo dei suoi due genitori? Tutte le suddette questioni resteranno senza risposta, una filosofia intuitiva sarà la negazione della scienza e da questa verrà presto o tardi spazzata via, se non si sarà decisa a vedere la vita corporea dove realmente si trova, cioè sul cammino che conduce alla vita dello spirito. Ma in tal caso non potrà limitarsi a studiare qualche determinato essere vivente: la vita intera, sin dalla spinta iniziale che la introdusse nel mondo, le sembrerà un'onda che sale e si oppone al movimento di scendente della materia.
Le dottrine spiritualistiche rappresentano il fallimento esistenziale dell'uomo.
La sua resa davanti al padrone. Un padrone si appropria dello spirito dell'uomo per rubare la libertà del suo corpo.
La scienza dimostra l'inconsistenza e l'inumanità delle dottrine spiritualistiche. La scienza dimostra l'esistenza di un corpo che vive. La scienza dimostra come la separazione spirito-materia sia un desiderio di una mente delirante alla perenne ricerca di un padrone con cui identificarsi.
E' la follia di Bergson che dopo il fallimento della Genesi rimodula la descrizione della genesi biblica per riaffermare il dominio del dio padrone sull'uomo.
L'uomo non ha un "posto privilegiato nella natura". L'uomo ha le mani e con le mani agisce come distruttore nella natura. Come ogni distruttore modifica l'ambiente costringendo le altre specie della Natura a processi continui di adattamento per sopravvivere all'azione dell'uomo. Non è un privilegio la modifica repentina dell'ambiente dal quale noi stessi siamo nati e ci siamo evoluti. L'uomo, il distruttore in ginocchio davanti al suo padrone, finisce per distruggere l'ambiente che gli consente di vivere: il suo ambiente.
Non è un privilegio, ma una prerogativa. La specificità di una specie che vive in funzione della terra e della Natura tutta.
Una "filosofia intuitiva" che neghi la scienza è il prodotto della patologia psichiatrica. Non esiste una filosofia, il discorso sulla realtà pensata e pensabile del mondo, che possa entrare in conflitto o negare la scienza. Quando è così si tratta di un effetto patologico dell'individuo che si estranea dalla realtà vissuta. La scienza è esplorazione di una realtà vissuta anche se, spesso, la scienza trasforma l'oggetto della sua analisi in un cadavere privo di mutamenti e di trasformazioni. Negare i risultati scientifici, negare la scienza o entrare in conflitto con essa, significa negare la realtà vissuta nel mondo.
La vita dello spirito, semplicemente non esiste. E' fantasia di menti malate che sono fuggite dalla quotidianità in un'identificazione assoluta col dio padrone. Esse sono il loro dio padrone: lo immaginano, lo descrivono e lo impongono.
Bergson riprende le tesi magistiche neoplatoniche là dove identifica una fantasia ascendente dello spirito in contrapposizione al discendente determinato dalla materia. Tutto è materia e il discendere o l'ascendere appartiene al delirio di chi regola il mondo in sopra e sotto; in padroni e schiavi. Dove la materia, lo schiavo, è sottomesso al padrone, lo spirito.
Scrive Henri Bergson in "L'evoluzione creatrice" a pag 132:
Sulla maggior parte della sua superficie d'espansione, a diverse altezze, la corrente è dalla materia mutata in un vorticare su di se stessa; in un solo punto ha libero sfogo, e trascina con sè l'ostacolo, che appesantirà il suo andare, ma non perverrà ad arrestarlo. In questo punto si trova l'umanità, questo è il nostro privilegio. Del resto quest'onda che sale è coscienza, e come ogni coscienza implica virtualità innumerevoli che si compenetrano, e cui non sono, conseguentemente, applicabili nè la categoria dell'unità nè quella della molteplicità, fatte per la materia inerte. Soltanto la materia che l'onda trascina con sè e negli interstizi della quale essa penetra, può dividerla in distinte individualità. Pertanto la corrente passa ed attraversa le generazioni umane dividendosi in individui; vagamente già in essa era segnata tale suddivisione, che però non si sarebbe rivelata senza la materia. In tal modo si creano incessantemente anime che, in certo senso, tuttavia preesistevano, e che non sono altro che i rivoli, in cui si dirama il gran fiume della vita, scorrendo attraverso il corpo dell'umanità. Il movimento d'una corrente è distinto dal mezzo attraversato, benchè debba necessariamente assumerne le sinuosità; la coscienza è distinta dalla materia organica da lei animata, benchè ne subisca tal une condizioni. Poichè le azioni possibili, di cui uno stato di coscienza contiene il progetto, hanno ad ogni istante, nei centri nervosi, un inizio d'esecuzione, il cervello sottolinea pure, ad ogni istante, l'articolarsi in movimenti dello stato di coscienza, ma qui si arresta l'interdipendenza tra coscienza e cervello: il destino della coscienza non è per questo legato a quello della materia cerebrale.
Cosa implica la coscienza?
"...e come ogni coscienza implica virtualità innumerevoli che si compenetrano...": che cosa sta dicendo?
I soggetti hanno coscienza, la coscienza è manifestazione di un corpo. La coscienza è unità in sé stessa. Anche se in un corpo fisico ci sono molte coscienze di sé, le coscienze che si esprimono ed agiscono traendo beneficio da ogni specifico corpo che completa quello specifico corpo fisico di quell'essere della natura che noi pensiamo come unico, si tratta sempre di coscienze di sè. Coscienze unitarie in corpi unitari divenuti per cercare il miglior adattamento in milioni di anni. In milioni di anni la materia inconsapevole si è trasformata in coscienza e la coscienza ha manifestato la propria volontà per soddisfare la necessità del suo venir alla coscienza. Nel farlo ha messo in moto intelligenza, strategia e scopo per espandere sé stessa nel mondo. Per espandere sé stessa nel mondo, ogni singolo corpo consapevole si è espanso e si è aggregato per espandersi in aggregati che si esapandono. Ma sono i corpi che si aggregano, non le coscienze dei corpi viventi che riconoscono sé stessi diversi dal circostante in cui si espandono.
Qual è il fine di questo mare magnum neoplatonico evocato da Bergson?
Il fine sono "...in tal modo si creano incessantemente anime che, in certo senso, tuttavia, preesistevano e che non sono altro che i rivoli in cui si dirama il grande fiume della vita....". Bergson fa propria l'idea neoplatonica delle anime che si distaccano dall'uno e che entrano nella materia degradata che come il corpo è un mezzo di realizzazione dell'anima che preesiste. Questa idea cristiana integralista che spinse a bruciare le persone per salvare la loro anima impedendogli di degradarsi, viene riproposta da Bergson nella sua evoluzione creatrice. Una farsa dell'evoluzione della creazione del proprio dio padrone della genesi presente nella bibbia.
Che la coscienza sia legata al cervello, in quanto cervello dell'uomo, è falso solo se si separa il cervello dell'uomo dal resto del corpo. E' il corpo consapevole che, guardandolo, noi diciamo che "ha coscienza". Senza il corpo non esiste coscienza. Senza un corpo che abita il mondo noi non possiamo distinguere l'esistenza di una coscienza che agisce nel mondo. Non possiamo vedere la sua intelligenza, individuare i suoi progetti, pensare a quali potrebbero essere i suoi scopi.
Scrive Henri Bergson in "L'evoluzione creatrice" a pag 133 - 134:
In verità la coscienza è essenzialmente libertà, è la libertà stessa; ma non può attraversare la materia senza posarvisi, adattarvisi, e tal adattamento è quel che comunemente si chiama intellettualità: e l'intelligenza, rivolgendosi indietro verso la coscienza in azione, la inserisce naturalmente negli schemi in cui è solita vedere inserirsi la materia. Quindi essa scorgerà sempre la libertà sotto l'aspetto della necessità, sempre sarà portata a trascurare la parte di novità o di creazione implicita nell'atto libero, sempre sostituirà all'azione vera e propria una sua imitazione artificiosa e approssimativa, ottenuta unendo il già vissuto e l'identico: cosicchè dal punto di vista d'una filosofia che si sforza di riassorbire l'intelligenza nell'intuizione, molte difficoltà svaniscono o si attenuano. Ma una tal dottrina non solo facilita la speculazione, bensì pure ci dà maggior forza per agire e per vivere, perchè con essa non ci sentiamo più isolati nell'umanità, nè più l'umanità ci appare isolata nella natura ch'essa corona. Come il minimo granello di polvere è solidale coll'intero sistema solare e vien con esso trascinato dall'indiviso moto di discesa che costituisce la materialità, così tutti gli esseri organici, dal più umile al più perfetto, dalle prime origini della vita sino ai tempi nostri, e in tutti i luoghi e i tempi, non fanno che rivelare ai nostri occhi un'unica spinta, inversa al movimento della materia e, in sè, indivisibile.
Tutti i viventi sono uniti e tutti cedono allo stesso formidabile impulso: l'animale ha nella pianta il suo punto d'appoggio, l'uomo è a cavalcioni dell'animalità e l'umanità tutt'intera, nello spazio e nel tempo, è un esercito immenso avanzante a fianco di ciascuno di noi, avanti e dietro noi, in una carica irresistibile capace di spazzar via tutte le resistenze, di oltrepassare una quantità d'ostacoli, forse persino la morte.
La morte fa paura a Bergson. La resurrezione della carne è la promessa di Gesù alla quale egli, ebreo, si è convertito.
Il corpo vive la libertà, la coscienza si forgia dall'agire del corpo nel mondo della Natura e nel mondo sociale umano. E' Necessità che si esprime in ogni essere ad anelare a "rompere le membra" o a "spezzare la forma" di un presente che non soddisfa le pulsioni che emergono nel corpo dell'individuo. Di ogni soggetto della natura.
Necessità, l'Intendo, l'Eros primordiale che si libera all'inizio del tempo quando la materia e l'energia erano compresse nell'uovo luminoso solo nelle tenebre di Nera Notte, spingono ogni corpo consapevole a spezzare ogni catena che tende ad inchiodarlo in un presente che sente come limitativo.
Nessun essere, di nessuna specie della Natura, può vivere isolato e separato dalla Natura dalla quale è emerso come specie e come soggetto.
Per Bergson l'affermazione è dimostrazione che soddisfa le sue necessità psichiche della realizzazione della sua speranza là dove afferma "Come il minimo granello di polvere è solidale coll'intero sistema solare e vien con esso trascinato dall'indiviso moto di discesa che costituisce la materialità, così tutti gli esseri organici, dal più umile al più perfetto, dalle prime origini della vita sino ai tempi nostri, e in tutti i luoghi e i tempi, non fanno che rivelare ai nostri occhi un'unica spinta, inversa al movimento della materia e, in sè, indivisibile.".
Che il granello di polvere appartenga al moto dell'universo, lo constatiamo con i nostri occhi, ma l'affermazione che nella materia ci sia un moto di "discesa" e che gli esseri organici, al contrario, si muovano in maniera inversa della materia, è un'affermazione delirante. Che tutti i viventi siano uniti in quanto soggetti della Natura, lo possiamo constatare con i nostri occhi, ma che l'animale abbia nella pianta il suo punto d'appoggio e l'uomo sia a cavalcioni dell'animalità, è solo espressione di un delirio di onnipotenza con cui Bergson si identifica col proprio dio padrone.
In queste affermazioni c'è la realizzazione di Bergson dell'ordine del dio padrone all'uomo:
E il padrone disse loro: "Prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo, assoggettatelo e dominate sopra i pesci del mare e su tutti gli uccelli del cielo e su tutti gli animali che si muovono sopra la terra." Genesi 1, 28
Mentre i materialisti rifiutano l'ordine del dio padrone assistendo alla vita che si manifesta mediante la materia, per cui la chiamiamo vivente, gli spiritualisti come Bergson offendono la materia strappandogli tutte le qualità e tutte le caratteristiche al fine di dominarla dopo averla derisa.
Non c'è vita nelle parole di Bergson, solo odio per la vita che non si vuole sottomettere docile al suo dio padrone!
NOTA: Le citazioni sono tratte da Henri Bergson "L'evoluzione creatrice" a cura di Giancarlo Penati Editrice La Scuola 1993.
Teoria della Filosofia Aperta - Volume due
vai indice del sito |
Quando un percorso sociale fallisce o esaurisce la sua spinta propulsiva, è bene tornare alle origini. Là dove il pensiero sociale è iniziato, analizzare le incongruenze del passato alla luce dell'esperienza e abbattere i piedistalli che furono posti a fondamento del percorso sociale esaurito. |
Vai all'indice della Filosofia Aperta |
Marghera, 18 marzo 2013 Claudio Simeoni Meccanico Apprendista Stregone Guardiano dell'Anticristo Tel. 3277862784 e-mail: claudiosimeoni@libero.it |
Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.