Cod. ISBN 9788827811764
La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume
Nel Crizia Platone delinea i suoi ideali sociali.
Forse è bene sapere chi è Crizia e di che cosa parla Platone.
Crizia fu uno dei trenta tiranni insediatisi dopo la sconfitta di Atene ad opera di Sparta. Crizia fu una specie di leader dell'oligarchia ateniese, allievo di Socrate e zio di Platone. Un criminale di professione che macellò inesorabilmente gli avversari politici, aveva in odio la democrazia e agiva per instaurare la dittatura assoluta. Mentre altri dei Trenta cercavano di collaborare con i cittadini conciliando le tradizioni democratiche con il regime tirannico dei trenta, come Teramene, Crizia mirava al potere assoluto. Crizia scelse tremila ateniesi che associò alla tirannia, li armò contro tutti gli altri ateniesi a cui fece confiscare tutte le armi e ottenne da Lisandro una guarnigione spartana, guidata da Callibio, per proteggere i tiranni della sua fazione.
Crizia, seguendo il suo arbitrio di padrone assoluto di Atene, mise a morte molti cittadini di Atene. Fecero uccidere Leone di Salamina per essere stato un democratico popolare e fece ammazzare numerosi meteci (cittadini stranieri che vivono liberi nelle città Stato della Grecia) di Atene, scelti fra i più ricchi, al solo scopo di derubarli dei beni (i cristiani faranno lo stesso con gli ebrei). Infine, Crizia costrinse Teramene al suicidio. Crizia morì combattendo i democratici.
Quando parliamo di Crizia, parliamo di questo personaggio.
L'ideologia che ascoltiamo da Platone è l'ideologia dell'oligarchia, della dittatura, della riduzione delle persone a bestiame del gregge che viene portato al macello della vita. Lo sforzo ideologico di Platone è tutto teso alla legittimazione di colui che possiede le persone.
Io non mi preoccupo di sapere perché o per come Platone ha pensato di scrivere il Crizia. A me interessano le idee e i principi che Platone delinea nel testo. Non mi interessa nemmeno il contesto storico in cui Platone pensa il Crizia. Questo appartiene agli storici.
Le idee della filosofia sono idee che superano il momento storico in cui vengono scritte perché sono idee perenni, o che pretendono di essere perenni. Io posso dire "voglio una società organizzata in filosofi, guerrieri e servi", oppure, posso dire "voglio una società in cui le persone si organizzano per usare la loro volontà nelle condizioni di vita che incontrano" oppure, come Epicuro, posso dire di "volere una società tesa alla felicità degli uomini". Si tratta di "modelli" che possono essere riprodotti ben al di fuori del tempo in cui sono stati elaborati.
Il modello di Platone non è relegato all'epoca di Platone. La rivoluzione francese fu la rivoluzione del quarto Stato che, usato dal terzo Stato, costrinse il primo e il secondo Stato ad abdicare. Il modello di Platone, la tripartizione sociale, ufficialmente, nella storia, ha fine solo con la rivoluzione francese anche se persiste nelle classi sociali che vengono individuate per legge prima e, dopo la rivoluzione sovietica, per costume fino ad oggi, alimentando razzismi ed emarginazioni di vario tipo.
Per capire questi modelli sociali, dobbiamo andare all'idea di Platone, che analizzo, per come è espressa nel Crizia.
Platone è incapace di assumersi la responsabilità di dire: "Io voglio questa società!", ma racconta com'era l'idilliaca società di Atlante, che cosa ha costruito quella prosperità, come era organizzata e, secondo lui, che cosa l'ha fatta decadere e distruggere.
Nel raccontare le vicende, Platone descrive e definisce la sua ideologia sociale che, in seguito, sarà ripresa dal cristianesimo.
Il primo concetto che appare nel Crizia è il concetto del "dio padrone".
Efesto ed Atena come i padroni dell'Attica, di Atene, e gli uomini trasformati in bestiame, in armenti, portati al pascolo dagli Dèi.
La prima domanda da fare a Platone è questa: chi ha deciso che quelli sono gli Dèi padroni? La divisione fu fatta da Giustizia, ma Giustizia non ha consultato gli uomini e, dunque, non ha nulla a che fare né con Temi e tanto meno con Dike.
Nel cristianesimo il dio è padrone in quanto creatore. Il creatore possiede e determina il destino dell'oggetto creato. Ma chi determina, secondo Platone, che Atena ed Efesto diventino i padroni dell'Attica?
Oggi noi sappiamo il motivo per cui Efesto e Atena divennero i protettori di Atene. Sappiamo che aggiungendo con una cannuccia olio d'oliva alimentando il combustibile dei forni in cui si fondeva il bronzo, anche con un combustibile di scarto, era possibile portare la temperatura del forno al punto di fusione del rame per fondere il bronzo (1080 gradi).
La forgia e l'olivo permettevano ad Atene di diventare forte e potente.
Ma Platone, in base a che criterio fa diventare Atena ed Efesto non i protettori della città, ma bensì i padroni di Atene?
Scrive Platone nel Crizia:
Avvenne dunque che essi ottennero, per via del sorteggio fatto da Giustizia, proprio quelle regioni che desideravano, e così si misero a colonizzarle.
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Giustizia è Giustizia?
Con che cosa io qualifico quanto chiamo "Giustizia"?
Cosa Platone attribuisce a Giustizia? Come Platone usa il termine "Giustizia"?
Per Platone giuste non sono le azioni, da cui si deduce Giustizia. Per Platone "Giustizia" è un nome di persona le cui azioni sono "giuste" a prescindere dagli effetti e dagli intenti di quelle azioni. Le azioni di Giustizia, per Platone, sono oggettivamente giuste, al di là degli effetti, in quanto sono le azioni di Giustizia che, per antonomasia, non può fare che azioni "giuste".
Ma, giuste per chi?
Rispetto a che cosa le azioni sono "giuste"?
Il macellaio di Sodoma e Gomorra macella l'umanità col diluvio universale e questa azione di genocidio assoluto, dunque, assolutamente malvagia, viene chiamata "giusta" dai cristiani in quanto, secondo i cristiani, essendo il loro dio buono, anche l'azione di genocidio fatta dal loro dio deve essere considerata "buona" e "giusta". Io la chiamo criminale e con essa chiamo criminali tutti i cristiani che, approvano l'attività di genocidio del macellaio di Sodoma e Gomorra e, dal momento che un cristiano è tale perché approva e per duemila anni ha approvato il genocidio dell'umanità riproducendolo in piccolo nei vari genocidi che ha messo in atto a maggior gloria del suo dio, ogni cristiano è oggettivamente criminale compartecipe allo stesso delitto del suo dio. E' criminale anche senza fare azioni specifiche, in quanto partecipe ad un disegno criminale col quale simpatizza e non condanna.
Platone non dice: "Dal momento che le azioni sono giuste, certamente in esse c'è Giustizia". Platone dice che dal momento che quelle azioni sono fatte da Giustizia, sono necessariamente giuste.
E' il soggetto, l'individuo che testimonia la qualità dell'azione, non è l'azione che qualifica il soggetto che compie quell'azione.
Si tratta della differenza esistente fra aristocrazia e democrazia. In Democrazia ogni soggetto che compie quell'azione viene qualificato da quell'azione, nell'aristocrazia la stessa azione assume un valore giuridico diverso a seconda del soggetto che compie quell'azione.
Se Giustizia taglia la gola ad un uomo, è un'azione di Giustizia.
Se Alberto taglia la gola a Claudio, è un'azione di Alberto.
Se io, al posto del nome Alberto, metto il nome Giustizia, la gola di Claudio rimane tagliata; e Claudio non ritiene che la sua gola tagliata sia un atto di Giustizia anche se fatto da qualcuno che si chiama Giustizia anziché Alberto.
L'aristocratico dice che, dal momento che a tagliare la gola a Claudio è stata Giustizia, è un atto giusto mentre, se Claudio si ribella e taglia la gola a Giustizia, è un atto ingiusto. Il democratico dice che, chiunque taglia la gola deve essere sottoposto alla medesima legge, sia che si chiami Giustizia, Alberto o Claudio.
Siamo all'interno delle "fallacie", i discorsi che servono ad ingannare l'ascoltatore propri dei sofisti come Socrate e Platone che al diritto di giustizia dell'uomo antepongono il diritto di arbitrio soggettivo proprio della monarchia e dell'aristocrazia.
E' malvagio chi uccide tutti gli abitanti di una città? Assumiamo il punto di vista degli uomini uccisi o quello dell'uccisore?
Il macellaio di Sodoma e Gomorra è malvagio. E' malvagio ridurre le persone ad oggetti di possesso e dunque in soggetti di obbedienza per poterli macellare a piacimento adducendo che "non obbediscono".
Se assumiamo, come io voglio assumere in quanto uomo, questo punto di vista, affermo che è malvagia e inumana l'azione che Platone attribuisce a Giustizia quando, nel contesto di proprietà degli abitanti, assegna la città di Atene non agli abitanti di Atene, ma proprio costoro, trasformati in oggetti di proprietà ad Atena e a Efesto che diventano gli Dèi padroni di Atene.
L'operazione ideologica fatta da Platone nel Crizia è ideologicamente devastante.
Scrive Platone nel Crizia:
Dopo di che, come fa il pastore coi suoi armenti, così anch' essi allevarono noi uomini che eravamo per loro possesso e gregge. Con una differenza, però: che gli dèi non usa- vano corpi per costringere altri corpi, nel modo che i pastori usano per tenere il gregge, cioè a suon di bastonate, ma come per lo più si condurrebbe un animale domestico: cioè guidandolo da tergo. Così appunto gli dèi conducevano e dirigevano la stirpe umana: secondo il loro disegno, con la forza della persuasione ne tenevano l'animo quasi ne reggessero il timone.
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Non solo Dèi padroni, ma Platone si preoccupa di sottolinearli come i "padroni buoni" in un contesto in cui gli uomini sono degli animali addomesticati da condurre al macello della loro vita; "secondo il loro disegno".
Data la premessa da cui è aperto il Crizia di Platone questa impostazione non stupisce.
Scrive Platone nel prologo del Crizia:
TIMEO - Non immagini, Socrate, che sollievo sia l'essermi ora finalmente liberato dal faticoso cammino di quel ragionamento, quasi potessimo godere di una sosta nel nostro lungo viaggio. Supplico dunque quel dio che di fatto nacque nella notte dei tempi, e che ora noi, a parole, abbiamo fatto rinascere, di consolidare quello che di buono abbiam detto, e se qualche stonatura, involontariamente, abbiamo inserito in questo nostro discorso, di punirci pure con la giusta pena. E per chi sbaglia una nota la giusta punizione è ricomporre l'armonia. Preghiamolo, pertanto, perché ci faccia dono della scienza, ossia del medicamento più adatto e più perfetto che ci permetta d'ora innanzi di parlare con cognizione di causa della genesi degli dèi. Fatta dunque precedere la preghiera, come s'era d'accordo, passiamo la parola per il seguito del discorso a Crizia
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Il padrone ci punisca se "involontariamente" qualche stonatura abbiamo inserito in questo discorso. Il padrone fa dono di una scienza che loro, come uomini, non si sono preoccupati di costruire e dal momento che ritengono di "avere il dono della scienza" e di "non fare stonature", certamente il "dio", "che di fatto nacque nella notte dei tempi" ha fatto loro dono della scienza che usano per "l'essermi ora finalmente liberato dal faticoso cammino di quel ragionamento, quasi potessimo godere di una sosta nel nostro lungo viaggio".
La premessa del Crizia consisteva nel fatto che i filosofi pensavano di essere condotti dal dio padrone, nato nella notte dei tempi, che a loro dava la scienza per la quale chiedevano "perdono" se sbagliavano, involontariamente, in qualche cosa.
Con questa premessa, con i filosofi che riconoscono di essere oggetti di possesso del dio padrone e che, pertanto, può anche punirli, tutto il resto del Crizia è solo un proseguo ideologico di questa premessa. Filosofi che pregano affinché il loro padrone faccia dono della scienza che dovrebbero avere, se non altro come metodo, per fare i loro discorsi. In questa premessa c'è tutta l'affermazione di Gesù che afferma di avere la sapienza perché il dio padrone gliela data e nulla potrebbe fare da sé stesso, ma tutto può fare in virtù del dio padrone suo padre.
Questo sistema di "fallacie" si trasferisce dal sofismo platonico al sofismo dei vangeli ed è uno dei fondamenti dell'inganno ideologico a cui vengono costretti gli uomini. Gli uomini vengono costretti a pregare affinché il dio padrone dia loro la conoscenza, anziché dover trarre la conoscenza dalle loro azioni e dalla loro esperienza leggendo in astratto, in intelligenza, ciò che si manifesta nella loro pratica di vita.
Tutto il Crizia di Platone è finalizzato ad esaltare quanto era bello per l'uomo essere un oggetto posseduto dagli Dèi che come suoi padroni sono buoni e magnanimi.
Tutto il Crizia tratta della necessità dell'uomo di obbedire al dio padrone perché il dio padrone è il bene dell'uomo mentre la vita terrena, i desideri dell'uomo, sono il male che porterebbe alla distruzione dell'uomo.
A questo punto Platone ha la necessità di distruggere ogni altra interpretazione del mito. Tutto il passato, di cui si racconta nel suo contesto culturale, deve essere piegato alla sua premessa per legittimare una sorta di svolgimento logico che lo conduca ad una conclusione della necessità e della bontà del dominio sulla società.
Nel descrivere i personaggi "mitici" attraverso i quali si racconta che Atene sia nata, Platone elabora il procedimento di eugenetica sociale. Lungi dall'attenzione di Platone l'idea di prendersi la responsabilità delle proprie strategie esistenziali, racconta come avvenne che fu perduta la memoria.
Scrive Platone nel Crizia:
Come prima si è detto, la razza che di volta in volta sopravviveva era quella che, abitando sui monti, era priva di cultura e dei signori della pianura aveva sentito solo i nomi e, al massimo, qualche gesta, ma esclusiva- mente per accenni. Tali uomini erano bensì compiaciuti di imporre questi nomi ai loro figli, ma non si curavano degli avvenimenti dei tempi remoti, o perché erano all'oscuro delle virtù e delle leggi di quegli antichi, o perché ne avevano un'imprecisa conoscenza per sentito dire, o perché, mancando loro e i loro figli per generazioni e generazioni del necessario per vivere, non potevano fare a meno di preoccuparsi di questi bisogni, riservando a ciò ogni loro pensiero.
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Ci penserà Spencer a completare l'evoluzionismo sociale di Platone.
E' la stessa strategia adottata dai cristiani per i popoli dell'Africa, del Sud-America e del Nord-America e, anche, in Europa con la distruzione sistematica delle antiche testimonianze dei popoli precristiani.
In sostanza, la strategia della distruzione della memoria storica per controllare il divenire delle persone costringendole a riformulare una possibilità di futuro partendo dalla soggettivazione di principi e memorie non loro. Innesti di una cultura aliena sul loro già conosciuto che cancella il già conosciuto per soggettivare i principi della cultura aliena che poi, ricercatori come Levi-Strauss certificano come "cultura indigena".
I cristiani assoggettano le culture, sequestrano i bambini e ne manipolano la coscienza; li costringono a ripensare alla loro civiltà partendo dalla bibbia e dal padrone davanti al quale sono costretti ad inginocchiarsi: le religioni del cargo e i relativi disastri, sono un effetto di queste tecniche di violenza perpetrata dai cristiani sull'infanzia.
Ora che Platone, la cui razza, secondo lui, ha mantenuto la continuità culturale al punto tale che si può permettere di dire perché "gli altri" non hanno mantenuto la loro continuità culturale (per ben novemila anni), ci parla della costituzione dell'"antica Atene". Per la storia di Atene gli archeologi hanno calcolato, per ora, una storia che inizia circa nel tremila dell'evo antico.
Non si parla di storia, ma di leggende e Platone, riprendendo le parole del "mito", inserisce i suoi schemi ideologici. Che il "mito" esistesse prima di Platone, è probabile, che il "mito" raccontasse le categorie ideologiche inventate da Platone, è impossibile. Il "mito", qualunque "mito" preplatonico, era scritto in funzione dell'uomo, Platone prende il "mito" e lo stupra per farlo funzionare in nome dell'aristocrazia: legittimare il padrone di uomini!
Platone deve combattere l'Atene democratica e non trova nulla di meglio che cercare dei modelli in un "tempo antico" dove i re, figli del dio padrone, sia esso Efesto o Atena e Poseidone, erano padroni a cui gli ateniesi (e gli atlantidei) obbedivano.
Fin dall'inizio del Crizia, Platone divide la società in classi sociali, in contadini e guerrieri, per gettarsi subito dopo nella spiegazione della mutazione morfologica e sul perché quei contadini obbedienti potevano mantenere un esercito così grande.
In fondo, dice Platone, sono passati novemila anni e i mutamenti morfologici sono stati tali per cui la grande terra ricca di Atene e dell'Attica oggi è ridotta a poco o a nulla.
Scrive Platone nel Crizia:
Questa dunque era la morfologia del resto della nostra regione, la quale peraltro era tenuta in perfetto ordine da veri contadini, specializzati nel loro mestiere, dotati di un particolare gusto per il bello e di buone doti naturali, e padroni di una terra di ottima qualità e ricchissima d'acqua, e, oltre che dalla terra, favoriti anche da un clima straordinariamente temperato.
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Anche nell'assetto urbanistico della città, Platone divide i servi in contadini e artigiani mettendo i militari a guardia di questi. Afferma che i militari non erano dediti all'oro, ma nello stesso tempo erano mantenuti dai contadini e dagli artigiani.
Sarebbe stato interessante che Platone avesse citato qualche fonte di novemila anni prima. Dal punto di vista sofista l'illazione è una prova in sé.
Platone preferisce chiudere con l'indole di vita dei militari molto simile a quanto si racconta degli spartani tessendone delle lodi, ma senza precisare le azioni per le quali erano lodati. In fondo, Crizia divenne tiranno grazie alla vittoria degli spartani sugli ateniesi e lodare la fedeltà dei militari al padrone era quanto Crizia pretendeva dai tremila armati che usava contro i cittadini di Atene.
La tecnica con cui Platone formula le sue idee è la stessa. Il nome definisce il comportamento; non è il comportamento che qualifica il nome. Il nome o la categoria definiscono la qualità delle azioni sociali a prescindere dalle azioni messe in atto da quei nomi o da quelle categorie.
Come per i cristiani. Per i cristiani il loro dio padrone è buono a prescindere dalle azioni.
E quando Platone parla dei militari, i militari sono solo militari, non persone che vivono la loro vita.
Scrive Platone nel Crizia:
Tale era, dunque, il loro regime di vita, ed essi, ad un tempo difensori dei loro concittadini e guide ben accette agli altri Greci, badavano soprattutto che il numero degli uomini e delle donne già in età da soldato o ancora in età da soldato, rimanesse sempre quanto più è possibile costante, vale a dire sulle ventimila unità.
Questa, dunque, era la loro indole, e nel modo che s'è detto, essi non cessavano di dirigere l'Ellade e la loro città secondo giustizia. Così finirono col guadagnarsi grande fama in tutta l'Europa e in Asia e per l'avvenenza dei corpi e per la varietà di virtù delle loro anime, al punto che fra tutti i popoli di quel tempo, divennero i più celebri.
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Questi erano i militari creati, secondo Platone, da Deucalione dopo il diluvio universale.
Anche l'azzeramento sociale dopo il diluvio universale appare un'invenzione psicologica di Platone. Quanto è complicato vivere con tutti i doveri, ma se arrivasse il diluvio universale che spazza via la società, con la società spazzerebbe via anche i doveri imposti e si potrebbe incominciare da capo a programmare una società come viene immaginata da Platone.
Platone, per il suo monologo usa in Crizia lo stesso espediente letterario usato nell'Apologia a Socrate. Come Socrate afferma che il dio dice che lui è l'uomo più saggio del mondo, ma lo dice ad un suo amico che però è morto, così nel Crizia Platone afferma di essere in possesso di scritti appartenenti a suo nonno, tirando in ballo sia Solone che gli egiziani che, secondo Platone, furono i primi ad averli trascritti e tradotti nella loro lingua.
Partendo dall'autorità, che manifesta una verità a prescindere, derivata da "scritti antichi", Platone inizia a raccontare di Atlantide come isola costruita da Poseidone.
L'isola di Atlantide è una monarchia che viene esaltata da Platone perché, l'obbedienza dei sudditi ai re, alimenta la ricchezza e l'abbondanza. Una ricchezza e un'abbondanza che non è prodotta dal lavoro dei sudditi, ma dall'attività del dio padrone Poseidone. Non sono i sudditi che lavorano e portano le ricchezze prodotte al re, ma è il re che costruisce benessere.
In Platone, Atlantide è la mitica città dell'oro e dell'abbondanza. Tutto è ciò che gli uomini desiderano. Tutto è offerto in abbondanza, dai prodotti agricoli ai metalli. Abbondanza, il contrario dell'indigenza, della scarsità, in una monarchia che accumula ricchezze perché non ha altro da fare che accumulare ricchezze in quanto ricchezze e solo per le ricchezze.
Dallo straordinario splendore di Atlantide alla maestosità dei re di Atlantide.
Scrive Platone nel Crizia:
Sfruttando ognuna di queste risorse della terra i re di Atlantide poterono costruire templi, regge, porti, cantieri e attrezzare il resto della regione nel suo complesso nel modo seguente.
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Platone descrive il suo modello di ordine e di efficienza sociale in cui sono i re che costruiscono templi, mura, ponti e canali facendoli meglio e più efficienti di quanto avevano costruito i loro predecessori.
Inoltre, Platone descrive il rapporto degli abitanti di Atlantide con il loro "dio padrone" Poseidone. Tutto il tempio era interdetto alle persone e recintato da un muro d'oro. Il tempio sorgeva dove Poseidone e Clito avevano partorito i dieci re.
In Platone, Poseidone e Clito, partoriscono i dieci re che sono re perché partoriti da Clito e Poseidone, non perché avessero dei meriti loro. Clito e Poseidone sono "il dio padrone" e pertanto possono, secondo Platone, solo partorire chi è destinato ad essere re che è re perché partorito, figlio, del "dio padrone".
Platone inventa il meccanismo che poi sarà trasferito per confezionare i vangeli cristiani. Gesù è il padrone che, in quanto figlio del dio padrone, non può che essere il padrone a sua volta.
Tutti gli Atlantidei riconoscono che i figli di Poseidone sono re perché figli del dio padrone e dal momento che il dio padrone anela al loro bene: i re, figli del dio padrone, devono essere "come il padre" saggi che accumulano ricchezze.
Dal momento che Atlantide è governata dai figli del "dio padrone" e che tutti gli abitanti omaggiano il dio padrone, la saggezza dei re non è in discussione, qualunque cosa facciano o decidono.
In Platone la divisione sociale in caste è molto accentuata. E' un classista, specialmente nella divisione sociale. Quando parla delle fonti di acqua calda e dell'acqua fredda, si preoccupa di sottolineare la separazione delle piscine dei re, messe in "un luogo appartato", affrettandosi a dire poi: però c'erano quelle dei contadini con alcune riservate alle donne e alle bestie.
Quando Platone parla dei militari nelle caserme, dice:
In torno a questo, su un fronte e sull'altro si trovavano le caserme destinate all'alloggiamento del contingente di lancieri. Fra questi, ai più ligi al dovere era affidata la guardia nel cerchio minore, quello più vicino all' Acropoli. Ai lancieri che si erano distinti per la loro lealtà venivano assegnate abitazioni all'interno dell'Acropoli, addirittura accanto agli stessi regnanti.
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Il ruolo del re pensato da Platone nella monarchia di Atlantide è il ruolo del re imposto dalla chiesa cattolica, su mandato e per conto del suo dio padrone, dalla sua nascita alla rivoluzione Francese.
L'ideale aristocratico di Platone si specchia nella visione dei re di Atlantide che poi diventa il ruolo attribuito a Gesù in quanto padrone, figlio del dio padrone. L'essere padrone di Gesù non si esprime nel "comando sociale", ma nella pretesa di affermare, di essere accolto per quanto afferma, e di condannare chiunque gli chieda spiegazione delle stupidaggini che dice.
Scrive Platone nel Crizia:
Dei dieci re, ciascuno nella propria giurisdizione e nei limiti del proprio Stato disponeva a suo arbitrio sia degli uomini, sia delle leggi, punendo anche con la morte chiunque volesse. Ma il rapporto di subordinazione e di alleanza fra i sovrani era regolato dallo statuto di Poseidone, così com'era stato loro comunicato dalla tradizione giuridica e dalle parole fatte incidere dai primi re su una stele di oricalco, posta al centro dell'isola, all'interno del santuario di Poseidone. Proprio in questo luogo essi si ritrovavano, a distanza di cinque e di sei anni, in modo da distribuire equamente cicli d'anni dispari e pari. Scopo di queste assemblee era quello di prendere decisioni su argomenti di interesse comune, di indagare se qualcuno avesse infranto la legge e, nel caso, di giudicarlo.
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In Platone la legge è intesa come uno strumento di repressione e legittimazione della repressione da parte di un padrone, il re, che non sottostà a quella legge, ma di quella legge si serve a propria discrezione e a proprio piacere condannando a morte chi vuole.
Il re fa dei sudditi quello che vuole: li macella o concede misericordia a seconda del suo stato d'animo, delle sue voglie, dei suoi interessi, del suo capriccio.
Per contro, il patto fra i re è una condizione oggettiva, scritta, proclamata, e certificata dal dio padrone, a cui i re devono sottostare, che viene applicata dai re nelle assemblee dei re (fra pari) mentre i cittadini non possono processare i re.
Ben lontane da Platone suonano le parole di Pericle.
Il dominio assoluto, incontrastato, è l'ideale sociale di Platone.
Hitler, come re, condanna a morte chi vuole e nella sua somma giustizia proclama la soluzione finale macellando gli zingari, gli avversari politici, gli omosessuali e gli ebrei.
Quando si proclama il diritto assoluto di un agire soggettivo nei confronti degli uomini perché qualcuno pretende la discrezionalità assoluta dei suoi voleri, non è più possibile predeterminare l'uso del potere assoluto che ne farà il singolo individuo.
Platone instaura la gerarchia di sangue.
Quella in vigore fra gli ebrei.
Dal momento che il dio padrone Poseidone è necessariamente buono, avendo costruito Atlantide e trasformata in un "paradiso terrestre", ne consegue che i suoi figli sono buoni e saggi in sé e che la loro soggettività, espressa nelle loro azioni, è oggettivamente buona: come Socrate che insultava gli abitanti di Atene o come Gesù che ordina di scannare chi non si mette in ginocchio davanti a lui.
Per contro, lo Stato USA, lo Stato Gran Bretagna, lo Stato Francese, ecc. possono processare Hitler, ma questo non è permesso farlo ai cittadini che hanno subito i crimini.
Il modello proposto da Platone sarà adottato dalla chiesa cattolica che si riserva il diritto, in nome e per conto del dio padrone, di deporre re e imperatori ai quali i cittadini dovranno obbedienza assoluta.
L'assolutismo cristiano, come illustrato da Platone, dominerà il mondo dal 400 d. c. fino alla rivoluzione francese del 1789, nel frattempo decine di milioni di persone saranno arbitrariamente macellate. Dai popoli dell'Europa, dell'Africa, delle Americhe, dell'Asia fino agli eretici e alle donne, chiamate "streghe".
L'ideologia della monarchia assoluta delineata da Platone per Atlantide ha fornito le basi ideologiche su cui si è costruito il cristianesimo proclamando la monarchia come regime imposto per volontà del dio padrone. Ancor oggi il Vaticano è una monarchia assoluta retta da un sovrano per volontà del dio padrone.
Anche oggi, in uno Stato formalmente Democratico come l'Italia, si consente ai cristiani di violentare la struttura psico-emotiva dei bambini in modo da costruire in loro la dipendenza psichica da un padrone o da un'autorità. In questo modo, incapaci di usare i principi democratici garantiti loro, non sanno costruire il loro futuro e tendono a ritornare fra le braccia del primo padrone che, secondo le loro aspettative, possa garantire loro quella sicurezza che non sanno trarre da sé stessi.
Il dio padrone diventa l'autorità che dà sicurezza a individui in cui si è costruito lo smarrimento psicologico.
Secondo Platone, le assemblee dei re era un modo per applicare la democrazia fra di loro in modo da consentire, ad ognuno di loro, di praticare il loro feroce dispotismo nei confronti dei sudditi.
Quali obblighi avevano questi re?
Forse nei confronti dei cittadini?
Nei confronti dei cittadini i re di Atlantide facevano quello che volevano potendo condannare a morte chi volevano.
Ai cittadini i re non dovevano nulla.
Scrive Platone nel Crizia:
Non mancava neppure una normativa specifica sugli obblighi a cui ciascun re sarebbe stato tenuto. Di particolare importanza era la legge che vietava loro di prendere le armi l'uno contro l'altro, quella che li obbligava ad una reciproca alleanza, nel caso qualcuno di essi in una qualsiasi delle città avesse tentato di esautorare la famiglia al potere; e infine quella che li vincolava, come sempre avevano fatto i loro avi, a prendere in comune le decisioni attinenti alla guerra e a tutte le altre situazioni, naturalmente riconoscendo l'egemonia degli Atlantidi. Comunque nessun re aveva il potere di condannare a morte uno della sua stirpe, a meno che non ci fosse il consenso di più della metà dei dieci.
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Gli obblighi dei re erano quelli di conservare sé stessi e il loro dominio assoluto sui cittadini ridotti ad oggetti di proprietà e a soggetti di obbedienza. Conservare sé stessi e soccorrere qualunque re fosse in procinto di essere detronizzato. I re non avevano obblighi nei confronti delle persone, ma solo nei confronti di altri re.
Questo sistema nella storia lo vedremo riprodotto dai re cristiani, in varie epoche e con varie modalità. Sotto il dominio del papato i reami e gli imperi tendevano a conservare sé stessi perpetrando il potere del dominio cristiano.
L'ideale di Platone è la solidarietà fra dominatori per conservare il dominio sui cittadini ridotti in schiavitù. Come la schiavitù degli ebrei a Babilonia ha fatto loro elaborare l'idea del dio padrone di cui si sono dichiarati "popolo eletto", così la schiavitù a cui è stato sottoposto Platone ad Egina ha, molto probabilmente, estremizzato il suo delirio di onnipotenza.
Nel Crizia di Platone, il discorso per Atene si interrompe nella divisione degli abitanti in caste (o classi sociali), con Atlante, l'ideale utopico di Platone, il discorso, si articola sull'attività dei re delineando gli ideali ideologici della società assolutista propugnata da Platone.
Cosa porta Atlantide alla decadenza secondo Platone?
Dal momento che Atlantide è divisa in regni dove i re detengono il potere assoluto, va da sé che i responsabili del disfacimento di Atlantide, nello schema ideologico delineato da Patone, dovrebbero essere i re padroni in quanto figli del dio padrone Poseidone.
E qui incontriamo un altro capolavoro retorico di Platone. La decadenza non può essere attribuita ai re padroni assoluti di Atlantide che si sono fatti gli affari loro arricchendosi, ma la responsabilità va attribuita agli abitanti di Atlantide che non obbedivano abbastanza velocemente ai voleri del re.
Scrive Platone nel Crizia:
Per molte generazioni, fin tanto che la natura del dio ebbe presso di loro la preminenza, essi furono ossequienti alle leggi e in sintonia con le proprie origini divine. Avevano un pensiero schietto e idee grandiose, erano ad un tempo calmi e riflessivi di fronte agli imprevisti della vita e nei loro reciproci rapporti. In tal senso, tranne la virtù, tutto il resto lo sotto- valutavano, non facendo che un minimo conto dei loro beni presenti; certo, gestivano con disinvoltura la gran massa dell'oro e delle altre risorse che possedevano, ma come si porterebbe un peso, senza lasciarsi ubriacare dal lusso e senza perdere il controllo di sé a causa della ricchezza: insomma non vacillavano mai.
[…]
Come la parte che era in loro divina andò scemando - e ciò era dovuto alla continua mistione con la prevalente componente umana, che alla fine determinò la netta supremazia del carattere umano -, persero la capacità di dominare la ricchezza che allora avevano; in una parola, degenerarono. Così a chi avesse avuto occhi per vedere sarebbero parsi miseri uomini: miseri perché avevano distrutto la cosa più preziosa. Invece, chi era strutturalmente incapace di discernere la vita autentica, quella che mira alla felicità, li avrebbe giudicati più di ogni altro felici e radiosi, pieni com'erano di un'avidità e di un potere senza remore di giustizia.
Pag. 1431 – 1432
Ora scopriamo che gli abitanti di Atlantide avevano una parte divina, mentre, all'inizio, erano bestiame del gregge proprio del dio padrone che i re, in quanto figli del dio padrone, conducevano come animali addomesticati.
Ora Platone non parla più dei re, ma delle bestie dei re che degenerano. Lasciano la "ricchezza" data dalla felicità di obbedire al re, per la ricchezza del benessere materiale.
Alla base sta il meccanismo usato per il genocidio degli abitanti di Sodoma e Gomorra dove gli abitanti vengono criminalizzati per il loro comportamento sessuale affinché il dio padrone sia legittimato nella sua pratica di genocidio.
C'è un parallelismo ideologico molto sospetto fra l'ideologia dei re di Atlantide nel Crizia e l'ideologia del dio padrone degli ebrei nel genocidio di Sodoma e Gomorra, specialmente se a parlare è un individuo come Crizia che fece macellare persone per portare via i loro beni.
Il Crizia termina con Zeus che davanti alle "iniquità" degli abitanti di Atlantide convoca tutti gli Dèi.
A questo punto il Crizia termina.
E' indubbio che l'ideologia assolutista di Platone sarebbe stata arricchita da nuovi particolari e da nuove decisioni più o meno atroci. A Platone piacciono molto i diluvi universali con cui poter spazzare via ogni idea contraria al suo assolutismo. Platone è un nemico dichiarato della democrazia di Atene e amico dei dittatori assoluti.
Tutti i meccanismi dell'ideologia assolutista di Platone li ritroviamo nei vangeli. I modelli ideologici di Platone stanno alla base sia della bibbia degli ebrei che dei vangeli cristiani e sono i principi responsabili di tutti i genocidi di popoli perpetrati nella storia dall'assolutismo ebraico e cristiano.
Si racconta che nella tomba di Crizia ci sia la raffigurazione dell'oligarchia che dà fuoco a Democrazia. Così la chiesa cattolica fu legittimata a bruciare eretici e donne chiamate "streghe" allo stesso modo in cui Hitler fu legittimato a massacrare gli oppositori politici, gli zingari, gli omosessuali e gli ebrei. L'ideologia del genocidio ha in Platone il suo profeta, filosofo e propagandista.
Lusiana 19 ottobre 2016
NOTA: Il testo citato è:
Platone, Tutti gli scritti Editore Bompiani 2000/2014 a cura di Giovanni Reale, in particolare il Crizia è tradotto e annotato da Roberto Radice.
Il numero delle pagine, sotto le citazioni, corrispondono a queste edizioni.
La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume
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Quando un percorso sociale fallisce o esaurisce la sua spinta propulsiva, è bene tornare alle origini. Là dove il pensiero sociale è iniziato, analizzare le incongruenze del passato alla luce dell'esperienza e abbattere i piedistalli che furono posti a fondamento del percorso sociale esaurito. |
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Marghera, 19 ottobre 2016 Claudio Simeoni Meccanico Apprendista Stregone Guardiano dell'Anticristo Tel. 3277862784 e-mail: claudiosimeoni@libero.it |
Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.