Cod. ISBN 9788891185778
Teoria della Filosofia Aperta - Volume uno
Che cos'è la "religione"?
La religione è l'unica scienza che agendo sulla struttura emotiva dell'individuo fin dalla primissima infanzia (anche quando è nella pancia della madre) marchia le emozioni dell'infante in modo tanto profondo che nella sua vita non potrà far altro che veicolare, nelle sue idee e nelle sue scelte, il marchi che la sua struttura emotiva ha subito.
Il riferimento religioso, antico, per Durkheim è la bibbia. Il comportamento religioso dell'ebreo, per Durkheim, è il comportamento tipico delle religioni antiche. Il modello da cui attingere per dire che cos'è o cosa non è religione.
Una delle scoperte più importante degli ebrei è la scoperta dell'uso dei meccanismi religiosi nella manipolazione della struttura emotiva delle persone. Attraverso tale manipolazione viene imposta alle persone la dipendenza totale da un agente esterno, il dio padrone, in modo da poterle controllare mediante la "fede".
Gli ebrei scoprono che coinvolgere in pratiche religiose ossessive i bambini fin dalla più tenera età consente agli adulti di produrre fedeli assidui, devoti e sottomessi.
La scoperta viene fatta dopo Babilonia e viene descritta nel Deuteronomio 6, 4-9 e nel Deuteronomio 11, 18-22. L'esigenza di manipolare la struttura emotiva dei ragazzi con promesse di gloria e minacce di morte e terrori, è ripetuta ben due volte nello stesso Deuteronomio dimostrando la centralità che assume nella costruzione della fede nel loro dio padrone.
Questa scoperta fu fatta dagli ebrei mentre erano deportati a Babilonia. Quando i "profeti" dovevano impedire al loro gregge di integrarsi e diventare partecipe alla popolazione di Babilonia.
Durkheim, che conosce molto bene la bibbia in quanto figlio di un rabbino e "addestrato" fin dalla pancia della madre alla sottomissione al dio padrone, allontana l'attenzione del lettore dagli effetti della manipolazione mentale attraverso cui la religione ebrea, cristiana e cattolica, in particolare, agisce e sposta l'attenzione del lettore sugli aspetti formali e spettacolari della religione. Così, da un lato impedisce di cogliere gli aspetti criminali della religione ebrea e cristiana e dall'altro appiattisce nella forma e nella rappresentazione estetica ogni altra religione impedendo, di fatto, l'indagine sugli effetti della struttura emotiva degli individui.
La religione coinvolge la struttura emotiva dell'individuo che, attraverso la comunicazione empatica, si lega al mondo in cui l'individuo vive. Se nell'età fetale la relazione, fra il feto e il mondo in cui cresce, avviene mediante la comunicazione empatica in modo totale, nella prima infanzia fino all'età della maturità cerebrale (25-27 anni) il bambino trasferisce l'apprendimento empatico in scelte razionali con cui si adatta alle sollecitazioni del mondo in cui è nato. Il bambino non fa che fissare gli imput emotivi cercando nella quotidianità come esprimere le condizioni emotive fissate in comunicazioni funzionali mediante idee ed azioni che incontrino l'approvazione o superino gli ostacoli che la società impone.
Se noi siamo consapevoli del ruolo delle idee religiose sulle emozioni e nella costruzione dell'individuo, assumiamo un atteggiamento verso la religione che non è solo di attenzione per gli effetti che quella religione produce, ma è anche quello di opporre principio a principio, idea ad idea, in modo che l'espressione religiosa non sia né dolorosa, né castrante nei confronti della struttura emotiva del nuovo nato, ma ne favorisca lo sviluppo come cittadino. Se noi non siamo consapevoli del ruolo della religione sulla struttura emotiva dell'individuo, allora siamo disattenti agli effetti prodotti dalla religione sulla struttura emotiva del futuro cittadino.
Questa superficialità è quella applicata da Durkheim che intenzionalmente allontana l'attenzione delle persone dagli effetti della religione sulla struttura emotiva dell'individuo.
L'idea di Durkheim sulla religione è:
La religione trascende quindi l'idea degli dèi o degli spiriti, e perciò non può essere definita in funzione esclusiva di questa.
Per supportare la sua affermazione porta un esempio:
Quando, nella festa detta dei Tabernacoli, l'Ebreo scuoteva l'aria agitando rami di salice secondo un certo ritmo, egli lo faceva per far alzare il vento e far cadere la pioggia; e si credeva che il fenomeno voluto derivasse automaticamente dal rito, purché questo fosse stato compiuto correttamente 1. A questo punto si spiega l'importanza primordiale che quasi tutti i culti attribuiscono all' aspetto materiale delle cerimonie. Questo formalismo religioso - che è probabilmente la prima forma del formalismo giuridico - deriva dal fatto che la formula da pronunciare ed i movimenti da compiere, avendo in se stessi l'origine della propria efficacia, la perderebbero se non fossero esattamente conformi al tipo consacrato dal successo.
Il formalismo religioso, l'apparenza, l'estetica con cui una religione viene rappresentata diventa, per Durkheim, la religione come oggetto in sé. Durkheim parla di religione quando parla dell'estetica della religione, della rappresentazione della religione. Durkheim non parla della religione come definizione dei legami dell'uomo col mondo in cui vive, ma parla della religione come pratica formale e rituale. Non parla della natura della religione, ma delle rappresentazioni.
Per pensare la religione, Durkheim usa due strumenti. Il primo è la bibbia ebrea e cristiana e l'altro sono gli studi antropologici fatti da individui che vogliono ricondurre le "credenze" religiose dei popoli che studiano entro il modello interpretativo della bibbia e dei cristiani.
Cosa ha capito Durkheim della religione?
Riporto:
In primo luogo si può rilevare che in tutte queste formule si cerca di esprimere direttamente la natura della religione nel suo insieme, procedendo come se la religione formasse una specie di entità indivisibile, mentre essa- è un tutto formato da parti, cioè un sistema più o meno complesso di miti, di dogmi, di riti, di cerimonie.
Nell'immagine superstiziosa, che Durkheim si forma nell'assistere alle rappresentazioni religiose, non avverte l'unità della "cultura emotiva" ma avverte l'esigenza delle persone di uniformarsi ad obblighi rappresentativi che hanno nei riti e nelle cerimonie la loro rappresentazione. Sia i "miti" che i "dogmi" di ogni religione, in questa prospettiva, vengono ridotti da Durkheim alla stregua dei "miti" e dei "dogmi" della bibbia. Un po' come farà Freud in "Totem e tabù" anche se, a differenza di Durkheim, Freud individuerà l'aspetto emotivo e psichico della religione e gli influssi che ha sull'inconscio.
L'operazione interpretativa che fece Filone d'Alessandria, applicando alla bibbia alcuni strumenti interpretativi usati dagli stoici per interpretare il mito di Omero, vengono da Durkheim capovolti usando i meccanismi della bibbia per interpretare le altre religioni. Durkheim usa i parametri della bibbia, come parola letterale del dio padrone, applicata ad ogni altra forma religiosa che, spesso, chiama "primitiva" riducendola alle categorie letterali della bibbia.
Per Durkheim la religione è una "forma" che si può descrivere. Ma quanto Durkheim è in grado di descrivere, è solo quello che Durkheim capisce della religione davanti alla quale si trova.
Quando Durkheim dice:
è dunque più corretto dal punto di vista metodologico cercare di caratterizzare i fenomeni elementari di cui è formata ogni religione, prima del sistema prodotto dalla loro unione. Questo metodo si impone tanto più in quanto esistono fenomeni religiosi non appartenenti ad alcuna religione determinata, come quelli che costituiscono l'oggetto del folklore. Essi sono in genere frammenti di religioni scomparse, sopravvivenze disorganizzate; ma ve ne sono anche altri che si sono formati spontaneamente sotto l'influenza di cause locali. Nei paesi europei il Cristianesimo si è sforzato di assorbirli e di assimilarli, dando loro un'impronta cristiana.
E' scorretto! E' offensivo! E'ingiurioso!
Ogni religione, pur prendendo elementi che sopravvivono a religioni scomparse, come nel caso del cristianesimo, non lo fa perché quei frammenti sopravvivono, ma usa quei frammenti perché gli sono utili per costruire la diversa veicolazione della struttura emotiva delle persone che intende condizionare e manipolare nella propria idea del mondo. La conflittualità sociale di una religione non si misura solo dagli eserciti e dalla violenza che Teodosio mette in campo contro i frammenti delle antiche religioni, ma dal conflitto emotivo che una religione provoca in un ambiente nel tentativo di cambiare i parametri di veicolazione emotiva della società in cui questa opera.
Ogni religione è determinata, nella sua struttura e nei suoi intenti. L'indeterminatezza appare soltanto quando quella religione viene imposta alle persone che modificano la rappresentazione della struttura formale per assumerne gli intenti. E' il compromesso. Gli intenti dell'ebraismo sono quelli di costringere l'uomo a sottomettersi a dio. Per farlo, assume parte della forma apparente del mito sumero per imporre la dipendenza dell'uomo dal suo dio padrone. Solo che il mito sumero, assunto dall'ebraismo, si inserisce in un contesto di vita e di espansione dell'uomo mentre, l'ebraismo lo stupra costringendolo in un contesto di sottomissione e dipendenza.
E' il caso, ad esempio, del "mito" della "creazione" della donna dalla costola di Adamo ad opera del dio padrone degli ebrei.
Scrive Kramer in "I sumeri alle radici della storia" ed Newton 1979:
Essa fornisce la spiegazione di uno dei più sconcertanti enigmi della leggenda biblica del paradiso: quello posto dal passo in cui si vede Dio formare la prima donna, la madre di tutti i viventi, da una costola di Adamo (Genesi, II, 2). Perché una costola? Se si ammette l'ipotesi di un influsso della letteratura sumerica - di questo poema di Dilmun e di altri simili - sulla Bibbia, le cose si fanno chiare. Nel nostro poema una delle parti malate del corpo di Enki è per l'appunto una «costola». Ora, in sumerico costola si dice: ti. La dea creata per guarire la costola di Enki è chiamata Ninti, «La Signora della costola». Ma la parola sumerica ti significa pure «far vivere». Gli scrittori sumeri, giocando sulle parole, giunsero a identificare «La Signora della costola» con la «Signora che fa vivere». Questo calembour letterario, uno dei primi in ordine di tempo, passò nella Bibbia, dove perdette naturalmente il suo valore, poiché in ebraico i termini che significano «costola» e «vita» non hanno nulla in comune.
Questa spiegazione fu da me scoperta nel 1945. Più tardi venni a conoscere che l'ipotesi cui ero giunto per conto mio era stata suggerita trent'anni prima da un grande assiriologo francese, il padre Vincent Scheil, come ebbe a segnalarmi l'orientalista americano William Albright, che pubblicò il mio lavoro. Ciò la rende ancor più verosimile.
Nel mito sumero la donna guarisce Enki in quanto "La signora che fa vivere". Nell'uso che ne fecero gli ebrei la donna divenne schiava dell'uomo perché "dio l'aveva creata per seconda", come disse Paolo di Tarso:
L'uomo, invece, non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio; mentre la donna è gloria dell'uomo. Infatti, l'uomo non ebbe origine dalla donna, ma fu la donna ad esser tratta dall'uomo; né fu creato l'uomo per la donna, bensì la donna per l'uomo. Quindi la donna deve portare sul capo il segno della podestà per riguardo agli angeli." 1 Corinti 11, 7-10
Un'idea di libertà dei Sumeri viene trasformato dagli ebrei in legittimazione della schiavitù della donna.
Pertanto, a differenza di quello che afferma Durkheim, l'uso del mito e delle cerimonie serve per legittimare dei principi religiosi i quali possono essere imposti mediante miti, dogmi e cerimonie. Se noi non individuiamo l'idea dell'uomo e della vita rappresentata da quei dogmi, miti, cerimonie, non riusciremo a comprendere qual è la direzione emotiva degli uomini che in quel contesto nascono e divengono.
Il mito nei sumeri e negli ebrei, può essere considerato simile, ma la direzione in cui le emozioni degli uomini vengono spinte non sono solo diverse, ma opposte.
I legami col mondo, legami di natura emotiva, sono la realtà della religione che viene trattata come oggetto in sé. La rappresentazione formale da un lato fissa i legami col mondo e le idee del mondo e dall'altro lato, quando si tratta di religioni rivelate o del buddhismo, allontanano l'attenzione degli studiosi sul reale fine della religione: trasformare gli uomini in oggetti d'uso. Come hanno fatto gli studi rabbinici su Durkheim tanto da costringerlo a cercare nelle altre religioni la trasformazione degli uomini in oggetti d'uso.
Per questo Durkheim afferma:
I fenomeni religiosi si collocano naturalmente in due categorie fondamentali: le credenze e i riti. Le prime sono stati di opinione e consistono di rappresentazioni; i secondi costituiscono tipi determinati di azione. Tra questi due ordini di fatti c'è tutta la differenza che separa il pensiero dal movimento. I riti possono essere definiti e distinti dalle altre pratiche umane, specialmente da quelle morali, soltanto per la natura particolare del loro oggetto. Una legge morale ci prescrive infatti, esattamente come un rito, modi di agire che si rivolgono però a oggetti di un genere diverso. è dunque l'oggetto del rito che occorre caratterizzare, per poter caratterizzare il rito stesso; e la natura speciale di questo oggetto si esprime nella credenza. Non si può dunque definire il rito se non dopo aver definito la credenza. Tutte le credenze religiose conosciute, siano esse semplici o complesse, hanno uno stesso carattere comune: esse presuppongono una classificazione delle cose reali o ideali che si rappresentano gli uomini, in due classi o in due generi opposti, definiti generalmente con due termini distinti - tradotti abbastanza bene dalle designazioni di profano e di sacro. La divisione del mondo in due domini che comprendono l'uno tutto ciò che è sacro, e l'altro tutto ciò che è profano, è il carattere distintivo del pensiero religioso: le credenze, i miti, gli gnomi, le leggende sono rappresentazioni, o sistemi di rappresentazioni che esprimono la natura delle cose sacre, le virtù dei poteri loro attribuiti, la loro storia, i loro' rapporti reciproci e con le cose profane. Ma per cose sacre non bisogna intendere soltanto quegli esseri personali che vengono chiamati dèi o spiriti; una roccia, un albero, una fonte, un ciottolo, un pezzo di legno, una casa, insomma qualsiasi cosa può essere sacra. Un rito può avere questo carattere; ed anzi non esistono riti che in qualche grado non lo posseggano. Esistono parole, espressioni, formule che possono essere pronunciate soltanto dalla bocca di persone consacrate; esistono gesti e movimenti che non possono essere eseguiti da chiunque
Non si può definire una credenza se non si definiscono i fini della religione nei confronti dell'uomo e del suo abitare il mondo. Il dio di Durkheim vuole impossessarsi della struttura psico-emotiva delle persone. I riti e le credenze ebraiche e cristiane sono in funzione di questo. Sia come religione ufficiale, sia nelle attività superstiziose o folkloristiche che permangono nella religione di possesso degli ebrei anche quando scatenano una guerra feroce contro i riti e le tradizioni di Baal o Tammuz.
La divisione del mondo in "due domini", come afferma Durkheim, avviene soltanto in presenza di religioni di possesso e di dominio. Prima degli ebrei e dei cristiani, le religioni non avevano nemmeno una definizione. Non si chiamavano religioni. Non c'era una distinzione nella vita dell'uomo che riconosceva gli Dèi nelle manifestazioni del mondo nella sua quotidianità. Solo l'avvento delle religioni di possesso e di dominio sull'uomo, che hanno come obbiettivo sacrificare a sé stesse il divenire dell'uomo uccidendolo in una verità imposta alla quale l'uomo, come un novello Isacco, deve porgere la gola sulla pira affinché Abramo lo sgozzi a maggio gloria del dio padrone, separano nettamente il sacro dal profano.
La necessità di Durkheim di imporre un'idea di oggettività, naturalità, del dominio del dio padrone lo porta ad estendere il medesimo concetto ad ogni religione che individua nelle varie società. La paura che Durkheim ha ereditato dall'educazione rabbinica, viene estesa da Durkheim ad ogni relazione religiosa di popoli che, per suoi motivi e volontà offensiva, chiama "primitivi".
Per l'uomo che abita il mondo e che in questo mondo costruisce le proprie strategie di vita, tutto è sacro e allo stesso modo profano. Egli è al medesimo tempo uomo religioso e uomo civile mentre, nelle religioni rivelate, l'uomo appartiene a qualcuno o a qualcosa, come uno schiavo al proprio padrone.
"Non si può servire due padroni" dice Gesù.
Ma perché l'uomo deve servire? Perché per ebrei e cristiani l'uomo è schiavo del dio padrone e, di conseguenza, di Gesù. In questa visione della vita come schiavo, l'uomo deve necessariamente distinguere "quanto appartiene al dio padrone e quanto appartiene a Cesare". Lo può fare solo perché viene considerato o considera sé stesso uno schiavo che appartiene, non come un uomo che costruisce, nelle contraddizioni dell'esistenza, la propria vita.
Questa idea di Durkheim dell'uomo come schiavo ed oggetto posseduto da ciò che a lui è imposto come sacro, è l'idea di religione che sancisce la schiavitù dell'individuo. Questa idea di Durkheim è diventata il fondamento della sociologia della religione che fino ad oggi ha inquinato il modo di pensare degli uomini costringendoli in ginocchio davanti ad un dio padrone anche quando le Costituzioni occidentali gli hanno imposto di essere un soggetto di diritto che rivendica il proprio essere un soggetto di diritto contro un dio padrone e l'idea di Gesù di trasformarlo in bestiame del gregge.
NOTA: le citazioni di Durkheim sono prese da: "Le forme elementari della vita religiosa" di Emilé Durkheim ed. Comunità 1971 da pag. 38-39
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Nel 1995 (mese più, mese meno) mi sono posto questa domanda: se io dovessi confrontarmi con i filosofi e il pensiero degli ultimi secoli, quali obiezioni e quali argomenti porterei? Parlare dei filosofi degli ultimi secoli, significa prendere una mole di materiale immenso. Allora ho pensato: "Potrei prendere la sintesi delle loro principali idee, per come hanno argomentato e argomentare su come io mi porrei davanti a quelle idee." Presi il Bignami di filosofia per licei classici, il terzo volume, e mi passai filosofo per filosofo e idea per idea. Non è certo un lavoro accademico né ha pretese di confutazione filosofica, però mi ha permesso di sciacquare molte idee generate dalla percezione alterata nel fiume del pensiero umano. |
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Marghera, 17 ottobre 2012 Claudio Simeoni Meccanico Apprendista Stregone Guardiano dell’Anticristo Tel. 3277862784 e-mail: claudiosimeoni@libero.it |
Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.