Francis Herbert Bradley (1846 - 1924)

Il mondo come illusione

di Claudio Simeoni

 

Cod. ISBN 9788892610729

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume cinque

 

Apparenza e realtà in Francis Herbert Bradley

 

A differenza di altri filosofi idealisti, Bradley si occupa dell'illusione della realtà vissuta dal soggetto.

Vale la pena di riflettere. Se io penso che la realtà in cui vivo è un'illusione, come ho fatto a viverci? Se io sono vissuto e mi sono trasformato in questa realtà, significa che la realtà in cui vivo è reale. Magari non la descrivo e l'immenso sconosciuto è infinitamente più grande di quanto io conosco, ma avendo vissuto, rispondendo ai fenomeni che ho incontrato, comunque ho abitato un reale nel quale mi sono trasformato.

Non posso negare la realtà in cui vivo, altrimenti dovrei affermare di non vivere. La realtà del sogno è una realtà perché nel sogno si esprimono le mie emozioni e io vivo nel sogno. La realtà del sogno è una realtà vissuta, ma separata dalla realtà quotidiana. Come nel sogno esprimo le mie emozioni, così esprimo le mie emozioni nella realtà quotidiana che per questo non può essere pensata come illusoria, ma come reale al di là della mia capacità di descrivere esattamente i fenomeni della realtà vissuta.

Si può parlare di una realtà che si presenta con mille sfaccettature a seconda di come viene percepita dal soggetto, ma questo non cambia la realtà in sé, semmai cambia la capacità di percezione della realtà che ne ha il soggetto.

Posso pensare che la realtà in cui vivo sia immensamente più grande di quella che riesco a descrivere, ma questo non rende la realtà illusoria la realtà che percepisco, semmai diventa illusoria la mia pretesa di considerare al realtà che descrivo come tutta la realtà.

Secondo Bradley l'intero mondo dell'esperienza umana è apparenza, solo il Dio padrone, la coscienza assoluta, è reale.

O il pane che mangi è apparenza, o il Dio padrone è un'illusione. Nasci perché tua madre ha mangiato per nutrirti quando eri nella sua pancia; hai mangiato nel corso della tua vita e sei morto. Se non mangiavi, morivi molto prima. Che cos'è dunque l'apparenza?

Il mondo dell'esperienza non è apparenza. Tutto il mio reticolato sinapsico, la mia struttura neuronale, le mie gambe, le mie braccia, le mie idee sul mondo si sono forgiate proprio perché io rispondevo alle sollecitazioni fisico-emotive nel mondo. Selezionavo il mio patrimonio di specie, il potenziale che la mia specie ha costruito in miliardi di anni e costruivo, adattandomi, tutto me stesso. Sia la costruzione di me stesso, sia i fenomeni ai quali mi sono adattato, non sono illusioni perché la mia materialità fisico-psico-emotiva si adattava rispondendo alla loro azione sul mio corpo, la mia psiche e le mie emozioni.

Semmai è la coscienza universale, il Dio padrone di Bradley, è l'illusione nella quale Bradley risolve sé stesso e la sua esistenza. Si tratta di un problema psichiatrico. Una forma di allucinazione prodotta da una visione distorta del mondo in cui Bradley sta vivendo.

Io posso illudermi che il mondo sia come io lo descrivo. Le mie ipotesi soggettive sulla realtà possono ingannarmi nel momento stesso in cui "credo" di comprendere e definire l'intera realtà, ma la realtà non è illusione in quanto io non mi illudo di essere nato: io sono nato!

Bradley può ritenere inconcepibili le relazioni però, quando è andato a comperare il pane è stato costretto a pagarlo e questa relazione non è inconcepibile, è.

Scrive Abbagnano di Bradley:

Dovunque Bradley scorge la stessa difficoltà fondamentale: ogni relazione tende a identificare ciò che è diverso, e in ciò è contraddittoria. Ogni relazione modifica i termini relativi; ma allora ognuno di questi termini si scinde in due parti, quella modificata e quella rimasta immutata; e queste due parti non possono essere unite se non da una nuova relazione, che implichi una nuova modificazione e una nuova scissione; e così via all'infinito. In tal modo la relazione, che dovrebbe rendere intelligibile l'unità dei termini relativi, non fa che dividerli e moltiplicarli internamente all'infinito: perciò è contraddittoria. L'intero sistema dell'esperienza umana, fondato sulle relazioni, si polverizza, dinanzi alla riflessione filosofica, in una miriade di termini dentro termini che non stanno insieme in alcun modo intelligibile. L'io stesso non sfugge, secondo Bradley, a questa difficoltà. è bensì vero che l'esistenza dell'io è in qualche senso al di là d'ogni dubbio; ma è tale solo come unità dell'esperienza immediata, anteriore alla riflessione razionale.

Bradley è in difficoltà nel tentare di trovare la creazione del suo Dio padrone. La sua verità assoluta. La sua realtà.

Ogni relazione è fatta tra soggetti diversi in un'oggettività nella quale vivono. Ogni relazione è fra me e altro da me. Anche quando mi relaziono col mio corpo, la relazione è vissuta con me con altro da me anche se entrambi sono me. Ogni relazione è una contraddizione che modifica i soggetti che partecipano alla relazione e, dunque, affermare l'esistenza di un'unità detta verità o creazione del Dio padrone, è solo un atto illusorio che nega la realtà della continua modificazione dei soggetti per le relazioni che intrattengono fra sé e altro da sé.

La filosofia che ribadisce il Dio padrone stride con la realtà vissuta dal soggetto. Imporre l'illusione di una realtà della coscienza assoluta, del Dio padrone che crea la forma del mondo, ad una realtà che di fatto si modifica continuamente e continuamente modifica l'Io che abita il mondo, significa imporre il fallimento esistenziale ai soggetti. Quando al soggetto che nasce si impone l'idea di essere creato dal Dio padrone e di beneficiare della sua provvidenza, il soggetto si scontra con la realtà del mondo che gli chiede di attrezzarsi per affrontare la vita. Dal momento che il soggetto non è attrezzato per affrontare le contraddizioni della sua esistenza, ne segue che tende a rifugiarsi in una realtà immaginata, popolata dalla volontà del Dio padrone di cui egli si ritiene, come Bradley, un eletto che agisce in sua vece affermando una realtà che è solo frutto delle sue illusioni prodotte dal suo fallimento esistenziale.

L'Io, l'"Io sono", è l'atto che compie l'essere vivente, qualunque ne sia la specie dalla quale è nato nella natura. Bradley non mette in discussione la realtà dell'Io, solo che priva l'Io umano delle sue qualità razionali. E' sempre l'Io colui che nella materia nasce attraverso un'emozione; è sempre l'Io colui che mette in atto azioni per veicolare le sue pulsioni e i suoi desideri; è sempre quell'Io colui che nella specie umana tende a descrivere la realtà che, nella forma e nella quantità, tenta di razionalizzare.

Rimane il discorso del "giudizio".

Il giudizio razionale dell'Essere Umano è sempre un "giudizio di necessità". Un giudizio che si sospende nell'azione o nell'insorgere dell'emozione, ma che prende il sopravvento della coscienza nella descrizione razionale del mondo. La ragione ha la necessità di emettere giudizi sul mondo. La descrizione del mondo messa in atto dalla ragione è un giudizio continuo che definisce la forma del mondo nella percezione razionale dell'individuo. Tale giudizio soddisfa la ragione che in quel momento lo emette, ma una ragione agile modifica il proprio giudizio, che necessariamente deve emettere, all'arrivo di nuovi diversi fenomeni per i quali mette in atto azioni adattative. Ne segue che l'illusione è solo l'illusione di una ragione che, anziché emettere dei giudizi di necessità relativi alle sue necessità di quel momento, emette giudizi assoluti ai quali intende piegare la capacità d'azione e la veicolazione emotiva dell'individuo. Affermare che esiste la coscienza assoluta, è un giudizio assoluto al quale Bradley intende piegare l'intera concezione della realtà. Dal momento che l'esperienza lo porta a scorgere una realtà in continuo movimento e in continua modificazione, sia per il soggetto che per l'intera oggettività, la ragione di Bradley, anziché rifondare il proprio modo di descrivere il mondo, si sente smarrita e proclama l'inconciliabilità dei giudizi.

Scrive Abbagnano di Bradley:

E' bensì vero che ogni giudizio qualifica la realtà sotto certe limitazioni o condizioni; ma poiché queste limitazioni o condizioni a loro volta qualificano la realtà stessa, la contraddizione non è eliminata ma soltanto moltiplicata (Essays, p. 229). Che poi l'intero mondo dell'esperienza e del pensiero sia apparenza, non significa che si possa ammettere una realtà in sé al di là di esso. Ogni realtà in sé non potrebbe essere che il termine di un'esperienza o di un atto logico e cadrebbe perciò nelle stesse difficoltà fondamentali.

Il mio giudizio qualifica il mio modo di intendere la realtà!

L'idealista Bradley si sostituisce al Dio padrone che immagina e quella sovrapposizione viene fissata dal suo giudizio che descrive una realtà dipendente dall'esistenza del Dio padrone. A quel giudizio piega le altre persone perché lui, grazie alla coscienza assoluta, ritiene che il suo giudizio qualifichi la realtà e, dunque, le persone devono accettare la sua qualificazione della realtà, il suo giudizio. Non sono le persone che attraverso il loro giudizio qualificano ciò che loro intendono per realtà, il loro modo di percepire la realtà, ma Bradley dice loro che cos'è la realtà. Le persone dipendono dal giudizio di Bradley che parla in nome e per conto dell'assoluto.

Dal momento che l'affermazione idealista appartiene al mondo dell'assurdo dell'illusione, l'affermazione che il mondo dell'esperienza e del pensiero è apparente viene suffragata dalla farneticazione con cui Bradley ipotizza una realtà in sé al di là della realtà che immagina apparente.

Scrive di Bradley, Abbagnano:

Tuttavia, questa stessa condanna radicale implica, secondo Bradley, il possesso di un criterio assoluto di verità. Se rigettiamo come apparente ciò che è contraddittorio, consideriamo implicitamente come reale ciò che è privo di contraddizioni e quindi assolutamente consistente e valido. L'assenza di contraddizione implica un carattere positivo e non dev'essere una pura astrazione. Le apparenze devono appartenere alla realtà perché ciò che appare in qualche modo esiste, sia pure a titolo di apparenza. La realtà che il criterio della non contraddizione ci fa intravvedere deve quindi contenere in sé tutto il mondo fenomenico in forma coerente e armoniosa. Inoltre essa non può essere altro che coscienza perché solo la coscienza è reale. Nello stesso tempo questa coscienza universale, assoluta e perfettamente coerente non può essere determinata mediante nessuno degli aspetti della coscienza finita (sensazione, pensiero, volontà, ecc.) perché tali aspetti sono contraddittori. Inoltre essa non deve contenere la divisione tra oggetto e soggetto che è propria della coscienza finita. Tutte queste determinazioni negative implicano che è impossibile una conoscenza dettagliata della coscienza assoluta. Si può di essa raggiungere un'idea astratta e incompleta, sebbene vera; ma non si può ricostruire l'esperienza specifica nella quale essa realizza la sua perfetta armonia. Neppure la moralità può essere attribuita all'assoluto. Si può supporre che in esso ogni cosa finita attinga la perfezione che cerca; ma non che ottenga proprio quella perfezione che cerca. Nell'assoluto il finito dev'essere più o meno trasmutato e quindi sparire come finito; e tale è anche il destino del bene. I fini che l'affermazione e il sacrificio dell'io possono attingere sono al di là dell'io e dello stesso significato degli atti morali. Nell' assoluto, dove niente può essere perduto, ogni cosa perde il suo carattere mediante un riaccomodamento e un completamento più o meno radicali. Né il bene né il male si sottraggono a questo destino (Appearance, p. 420). Così rientrano bensì nell'assoluto lo spazio, il tempo, l'individualità, la natura, il corpo, l'anima; ma tutto vi rientra, non nella sua costituzione finita, ma con una ricostruzione radicale, di cui è impossibile determinare i caratteri precisi. Nell'assoluto non può neppure sussistere quella diversità tra il soggetto e l'oggetto che è inerente ad ogni pensiero finito; il quale è sempre pensiero di qualche cosa o circa qualche cosa, ed implica quindi una relazione interna che lo rende contraddittorio. L'assoluto non può essere concepito come anima o come complesso di anime, perché questo implicherebbe che i centri finiti di esperienza siano mantenuti e rispettati nell' assoluto: il che non è il destino finale e l'ultima verità delle cose. Né esso conosce progressi e regressi. Questi sono aspetti parziali, propri dell'apparenza temporale e hanno solo una verità relativa. "L'assoluto non ha storia per quanto contenga storie senza numero" (Ib., p. 500). Né esso è persona giacché una persona che non sia finita è un non senso (Ib., p. 532).

La condanna della realtà vissuta come pura apparenza implica, secondo Bradley, l'esistenza di una verità assoluta.

La verità assoluta costringe Bradley a rigettare ciò che è contraddizione e considera implicitamente come reale ciò che è privo di contraddizione. In sostanza, Bradley considera reale soltanto ciò che è privo di mutamento, privo di trasformazione; in ultima analisi, ciò che alla sua percezione appare come privo di vita.

L'essenza della contraddizione implica l'assenza di vita e questo, per Bradley, è una condizione positiva. L'unica condizione che per Bradley, non è apparenza.

Bradley, come tutto l'idealismo, riprende il discorso ontologico e affermando che, comunque, quanto appare deve comunque appartenere alla realtà perché quanto appare in qualche modo esiste, ne consegue che per Bradley esiste la coscienza universale in quanto questa appare come illusione alla sua coscienza e, in quest'apparenza, veicola le sue aspettative di vita rendendola, di fatto alla sua coscienza, reale. In quest'attesa di realizzazione della coscienza universale, la sua coscienza personale vive una condizione virtuale di irrealtà in tutte le contraddizioni che la vita gli presenta.

Capovolgendo i termini del rapporto uomo-coscienza, Bradley ha rinunciato ad essere uomo vivente in un mondo vivente per trasformarsi in coscienza desiderante che cerca la forma assoluta della coscienza universale nella quale vivere la propria illusione di onnipotenza. Quella forma illusoria di onnipotenza Bradley la definisce una forma coerente e armoniosa. L'armonia e la coerenza che Bradley afferma non sono criteri in sé, ma sono le condizioni nelle quali la coscienza di Bradley può manifestare l'onnipotenza senza entrare in contraddizione con la realtà vissuta.

Per Bradley la coscienza non è uno strumento con cui il soggetto della Natura abita il proprio mondo scegliendo la direzione nella quale risolvere le contraddizioni e modificandosi sistematicamente, ma è l'oggetto razionale come unica realtà dell'uomo. In questa condizione, tutte le illusioni della coscienza prodotte delle sue patologie come distorsioni del proprio fallimento educazionale, diventano oggettive e condizione reale perché le illusioni e le allucinazioni prodotte sono prive del carattere di contraddizione.

L'idealismo di Bradley rende reale un mondo malato di illusioni come desiderio di Bradley di superare il dolore che gli provocano le contraddizioni dell'esistenza.

In questa condizione di "inviato del Dio padrone", Bradley farnetica attorno alla coscienza universale che nella sua illusione diventa l'unica realtà vissuta. Un mondo senza contraddizioni. Un mondo senza relazioni. Un mondo armonioso in cui Bradley si muove in assoluta libertà perché l'armonia di quel mondo implica un'assoluta obbedienza di ogni soggetto che lo abita ai desideri di Bradley.

Quando la filosofia nega che la vita è composta da corpi desideranti e che le condizioni della vita si muovono fra "contesa furente" e "amicizia" o fra "armonia" e "persuasione", dove ciò che emerge dalla contraddizione è la veicolazione del desiderio come modificazione di ogni soggetto che ha partecipato alla contraddizione assetato di nuove contraddizioni in cui veicolare il proprio desiderio, allora la filosofia sta parlando di cadaveri e la sua speculazione filosofica si riduce ad un'indagine psichiatrica sui sintomi della malattia mentale.

Per questo Bradley quando deve parlare della coscienza universale che lui immagina è costretto ad affermare che della coscienza universale si può avere "un'idea astratta e incompleta, sebbene vera". Rileva che della coscienza assoluta non si può ricostruire l'esperienza specifica nella quale la coscienza assoluta realizza la sua perfetta armonia.

Si tratta di una pura affermazione delirante. Illusione nell'immaginazione che illude sé stessa per negare la vita.

In Bradley l'illusione esistenziale prende forma. Si sostanzia in desideri repressi che nelle illusioni liberano il loro potenziale. Cosa desidera Bradley?

Cosa desidera Bradley? Superare la moralità non attribuibile all'assoluto e, pertanto, da violare quando crede imponendola a chi non si identifica nell'assoluto: chiunque diverso da Bradley. Vuole pensare che da questo assoluto ogni cosa finita attinga la perfezione senza specificare che cosa sia la percezione immaginando che quanto Bradley pensa sia la percezione debba essere necessariamente la perfezione del suo assoluto immaginato.

Bradley immagina che nell'assoluto, qualunque finito venga "trasmutato" e cessi come finito immaginando in questa trasmutazione il destino del bene. Immagina fini illusori da porre oltre ogni immaginazione, oltre ogni esperienza evitando, in questo modo, di discuterne la sostanza e la rappresentazione. Quei fini illusori nascosti al di là dell'Io vengono immaginati allo stesso modo con cui il povero sogna "mari de tocio e montagne di polenta".

Bradley immagina di vivere in un mondo virtuale, immaginato ed illusorio, in cui né il bene né il male (i cui contenuti sono immaginati da Beadley) si sottraggono al destino dell'assoluto e ogni cosa perde il suo carattere mediante un riaccomodamento.

Bradley immagina come in questo assoluto rientrino lo spazio, il tempo, l'individualità, la natura, il corpo, l'anima in una condizione diversa da come si presentano di cui, secondo Bradley, è impossibile determinare i caratteri precisi: come se si potessero determinare caratteri precisi nelle farneticazioni allucinatorie di un fallimento esistenziale.

Come Dante, prendendo dall'apocalisse di Paolo, racconta alle persone com'è l'inferno che il Dio padrone organizza per i cristiani, così Bradley si fa portavoce dell'assoluto comunicandoci che nell'assoluto non può esistere quella diversità fra soggetto ed oggetto che appartiene ad ogni pensiero finito che lo rende costantemente contraddittorio.

Bradley ci racconta come l'assoluto non possa essere concepito come anima o complesso di anime e che non conosce né progresso ne regresso (sembra il motore immobile di Aristotele). L'assoluto, secondo Bradley non ha storia anche se, sempre secondo Bradley, contiene tutte le storie.

Peccato per la logica farneticante di Bradley. Se il suo assoluto contiene tutte le storie e le storie sono storie di trasformazione dei soggetti mediante la soluzione di contraddizioni, la variazione che i soggetti delle storie, contenute nell'assoluto, hanno modificato l'assoluto stesso. Se i modificati entrano nell'assoluto, non è più l'assoluto come verità immobile, ma viene modificato dal modificarsi dei soggetti che quelle storie hanno vissuto.

E' la stessa contraddizione manifestata dai neoplatonici: se i soggetti, come idee, escono dall'Uno, vivono esperienze e ritornano all'Uno, l'Uno viene modificato dal ritorno delle idee. Dal momento che l'Uno si modifica perché il ritorno dell'idea all'uno avviene per aver vissuto, o l'Uno non esiste come generatore e come ritorno oppure l'Uno perde tutti gli attributi di assoluto per essere considerato un soggetto, qualunque sia la sua natura, che si modifica continuamente all'arrivo delle idee con esperienza.

In Bradley, come nell'ideologia idealista, siamo alla pura farneticazione. Una condizione da delirio psichiatrico che antepone l'immaginazione e l'illusione ad ogni dato di realtà condannando la realtà vissuta che finisce col deridere gli uomini che ogni giorno affrontano i problemi e le contraddizioni della loro esistenza tentando di risolverle. Queste farneticazioni deliranti saranno il fondamento dell'idea di Croce e di Gentile che muoveranno dal delirio per giustificare crimini prodotti da deliri politici e sociali.

Marghera, 30 settembre 2015

NOTA. per le citazioni si è usato:

Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia vol. VI° editore TEA 1995

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume cinque

 

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Marghera, 13 aprile 2015

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

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e-mail: claudiosimeoni@libero.it

La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.