Cod. ISBN 9788827811764
La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume
Filosofia Aperta - seconda parte (del volume)
La ferocia con la quale il cristianesimo ha imposto la schiavitù all'uomo, "con tutto il cuore e con tutta l'anima", è di una tale violenza che i cristiani, che hanno finito per subire quella schiavitù, hanno cercato di lenirne il dolore mediante le immagini degli Dèi del Mito che dai Greci e dai Romani erano giunte fino a noi (sopravvivendo al sistematico saccheggio).
Iniziò il Boccaccio, dopo la grande peste, e continua Galimberti cercando di giustificare un'ontologia che è solo una manifestazione di odio trasformata in pretese filosofiche.
Il cristianesimo non vuole affrontare il Mito. Lo vuole usare. Non c'è differenza, fra gli insulti che il Mito riceve da Martino di Braga e quelli che riceve da Umberto Galimberti.
Scrive Umberto Galimberti:
Accostare il mito significa allora, come scrive Corbin, "sventare in anticipo tanto la trappola dello storicismo quanto quella del legalismo" che, con le loro parole ordinate e giustificate, sopprimono quella vigilia dell'origine delle parole a cui la narrazione mitica intende ritornare, scoprendovi non una scena muta, ma quella scena in cui ogni senso non è ancora del tutto spento nella parola. Infatti, come ci ricorda Jacques Derrida:
La parola espressa non è che il cadavere della parola mitica, ed è necessario ritrovare, con il linguaggio della vita stessa, la Parola prima di tutte le parole."
L'itinerario così dischiuso non approda alla distruzione del pensiero, al suo naufragio nell'irrazionale puro, ma, come ci ricorda Corbin, inaugura quel nuovo modo di pensare che è "un passare dal concetto alla metafora". In questa accezione "la metafora è la parola che porta fuori (meta-phorein) l'Ineffabile"." Prima che procedimento retorico del linguaggio, essa è l'insorgenza stessa del linguaggio. E il mito, parlando la metafora, la riconduce nell'orizzonte enigmatico di quella non-metafora che è il sacro, da cui essa è uscita come trasgressione. Facendone uso, il linguaggio mitico la consuma, la logora come si logorano le parole della tradizione e, logorandola, di schiude lo spazio aperto del mito originario la cui potenza, anche se non viene nominata, come quella del sole è già in mezzo alle cose.
Pag. 58 di "Cristianesimo – La religione dal cielo vuoto" di Umberto Galimberti
Il Mito non lo accosti: o lo vivi o non lo vivi.
La trappola dello storicismo altro non è che il progressivo venir in essere della verità all'interno di un evoluzionismo cristiano che partendo dall'assoluto oscuro della creazione del Dio padrone definisce una sorta di "evoluzione sociale". Questo è lo storicismo che fu elaborato prima delle teorie di Spencer e Durkheim. L'uomo non si trasforma nella storia. La storia è una trasformazione sociale che, partendo dal primitivismo della creazione del Dio padrone cristiano, scala una sorta di progresso in cui le società cristiane si ergono al di sopra degli animali e al di sopra di tutte quelle civiltà che gli storicisti chiamano "primitive" o "selvagge" assicurandosi, inserendoli in tali categorie filosofiche, di poterli macellare e ridurre in schiavitù a piacimento.
O la trappola del legalismo per cui il cristiano non obbedisce alla legge perché lui è fuori dalla legge in quanto i delitti che commette non sono delitti "per la carne", per il suo interesse, ma per lo "spirito", cioè per il loro Dio padrone.
Sono trappole? No! Sono aberrazioni proprie dell'ideologia cristiana. Nel primo caso si nega il divenuto dell'uomo mediante trasformazione soggettiva, mediante adattamento soggettivo alle variabili oggettive; nel secondo caso si legittima il diritto di una pretesa "autorità", chi agisce per lo spirito, di macellare gli uomini a piacere: di costruire campi di sterminio.
Per un cristiano accostarsi al Mito significa "ristorarsi" dall'odio che è costretto a seminare nel mondo per la gloria del suo Dio padrone. Non importa se sono i campi di sterminio nazisti o le torture del cattolico La Barbera, di Ugolini Rita, di Michele Dalla Costa, di Pietro Calogero, Carlo Mastelloni che torturavano i cittadini in nome del loro delirio di onnipotenza e le loro alleanze con le Brigate Rosse con le quali hanno tentato di ammazzarmi. Il Mito attenua il terrorismo cristiano che ordina di ammazzare tutti gli abitanti delle città e non lasciar vivo né uomo, né donna, né bambino. Il Mito indica al cristiano un altro modo con cui abitare la città. Il Mito attenua l'idea ideologica del cristiano secondo cui il male nasce dall'uomo perché l'uomo è creato dal suo Dio padrone e, pertanto, il cristiano giustifica le torture e il genocidio perché gli uomini non hanno delle ragioni economiche e sociali per le quali agiscono, ma perché sono il male.
Nell'ideologia cristiana l'uomo non sceglie, non ha libero arbitrio. O obbedisce al volere del Dio padrone o viene torturato in eterno dal Dio padrone. O l'uomo obbedisce a Gesù o Gesù si diletta a gettarlo là dove c'è "pianto e stridor di denti". Tutta l'attività cristiana consiste nell'impedire all'uomo di "cogliere dall'albero della vita, mangiarne e vivere in eterno" [Genesi]. Il Mito garantisce all'uomo la possibilità che si aprano le porte dell'Olimpo dove Hera offre Ebe all'uomo e alla donna che hanno vissuto con coraggio.
Il Mito è formato dalla descrizione delle predilezioni di Esseri Umani che sono vissuti trasformandosi e, nel parlare del Mito, parlano del loro vissuto per come lo hanno interpretato. Trasformazioni che la nostra specie ha vissuto da quando i loro progenitori nuotavano nel brodo primordiale e iniziavano a percepire il mondo esercitando la loro volontà attraverso la coscienza che le condizioni avevano favorito. L'aberrazione ideologica storicistica non ha fondamento se non nelle fantasie di uomini vuoti com nel romanticismo e nel positivismo secondo cui c'è un'"evoluzione" di sistemi religiosi (animismo-totemismo-politeismo-monoteismo). Questo "progresso" esiste solo nelle farneticazioni ideologiche cristiane. Il mondo, che piaccia o meno ai cristiani, è formato da volontà che vivono per sé stesse. Si sviluppano e modificano le condizioni oggettive in cui vivono favorendo o danneggiando altre volontà che vivono, si dilatano e si trasformano generazione dopo generazione date le condizioni che i singoli individ ui, delle singole specie della Natura, esercitano nel loro mondo.
Il Mito è questo divenire, questa trasformazione, dall'insorgenza emotiva alla necessità d'azione. Insorgenza emotiva e azione che si trasformano in divinità perché mobilitano la struttura emotiva dei soggetti fin da quando la ragione non era, fin da quando le parole non erano pronunciate, fin da quando occhi ancora non scrutavano il mondo perché si muovevano percependolo per empatia e per tatto (teoria attualmente più accreditata).
Il Mito descrive la vita nel suo eterno corso. Per il cristiano il Mito è la fonte d'acqua fresca che si è negato in cambio delle catene della sottomissione con cui si è legato al suo Dio padrone.
La parola è la padrona del cristiano. Il cristiano non freme per le emozioni che attraversano il pianeta, non si indigna per l'ingiustizia, non diventa rabbioso se le persone vengono gettate dalle impalcature o se in fonderia si bruciano le mani. Per il cristiano è il volere del suo Dio padrone e quando il cristiano uccide e tortura in nome del suo Dio padrone e qualcuno lo imputa di delitto, non chiede "perdono" alle vittime, ma chiede "perdono" al suo Dio padrone per essersi fatto scoprire o per non aver avuto la forza di impedire di essere imputato di delitto.
La parola espressa da Platone "non è che il cadavere della parola mitica" perché è priva di simbolo, priva di contenuti emotivi, priva di aperture verso un futuro possibile per l'uomo. E' Platone, nelle leggi, che inventa l'eugenetica come metodo per selezionare la tipologia degli schiavi. Lui, Dio padrone, che si erge al di sopra dell'uomo. E' lui che seleziona geneticamente, non sono gli uomini che selezionano geneticamente Platone.
Il pensiero mitico ricompone l'uomo nelle trasformazioni. Annulla la follia delirante del cristiano che, immedesimandosi nel Dio padrone, pretende che tutto il mondo si metta in ginocchio davanti a lui non riconoscendo nell'altro, null'altro che lo schiavo da gestire in nome e per conto del Dio padrone.
Il pensiero ideologico cristiano è pura irrazionalità che si nasconde dietro a parole che il cristiano pretende abbiano sempre, tutte, in qualunque situazione, il medesimo significato.
Scrive Umberto Galimberti:
Qui cade la barra tra pensiero ordinato dalla ragione e pensiero dischiuso dal mito, tra un'esegesi che è violenza dell'interpretazione e un'esegesi che è esodo da una parola che si sa decaduta, puro avanzo retorico, parola perduta per l'evento sacrale.
Il sacro, infatti, di cui il mito è il primo riflesso, è un certo orizzonte enigmatico che sta al di qua della parola e delle sue possibili interpretazioni. Per questo il mito non dischiude una via interpretativa, ma un'esperienza, l'esperienza di quell'impronta che, scrive Corbin, "l'anima porta dentro di sé e perciò proietta e riconosce fuori di sé". Con il riconoscimento dell'immagine mitica, il linguaggio è richiamato dalla sua esteriorità, dove si alimenta il conflitto delle interpretazioni, alla sua radice. Questo richiamo segna la sconfitta della pretesa interpretativa, perché, alla radice interiore, al luogo dove si è riconosciuta la propria immagine, non si può sfuggire, perché ogni volta che si parla di un mito, ogni volta che lo si interpreta, si narra la propria storia. Non c'è guerra se non dopo l'apertura del discorso, e la guerra non si spegne se non alla fine del discorso. Questa fine non è un accordo, ma un richiamo: "il richiamo del linguaggio dalla sua esteriorità alla sua radice"
Pag. 60-61 di "Cristianesimo – La religione dal cielo vuoto" di Umberto Galimberti
Capisco che nella sua follia immaginaria Corbin assista all'esistenza dell'anima, ma Umberto Galimberti avrebbe, come minimo, il dovere di dimostrare che "l'anima porta dentro di sé e perciò proietta e riconosce fuori di sé". Capisco che Galimberti sia uso farneticare come Gesù, "In verità, in verità ti dico…", e via alle farneticazioni deliranti. Io vedo corpi che abitano il mondo, prigionieri di ragioni che farneticano di onnipotenza e che si dimettono dall'esistenza imputando l'indescrivibile della ragione ad un'"anima" che, come padrona del corpo, agisce in nome e per conto di un Dio padrone che altro non è che proiezioni di una ragione delirante nella sua malattia psichiatrica di onnipotenza.
La ragione proietta sul mondo i suoi significati mediante i suoi giudizi. Così il sole gira attorno alla Terra e quando qualcuno a quella ragione dice che non è vero, la Rita Ugolini, il Michele dalla Costa, il Carlo Mastelloni, Ferrari, Dragone, Felice Casson, Pietro Calogero di allora, affermando la realtà di una "cupola" che come un Dio padrone comanda gli uomini, legati da sodalizi criminali con il La Barbera del tempo, procedono a torturare chi ha messo in discussione la parola del Dio padrone o l'esistenza della "cupola" affermata. Nessuna anima, ma ragioni malate, deliranti in un'onnipotenza che è rimasta l'ultima espressione del loro fallimento esistenziale.
Il Mito è sempre esperienza di un soggetto che abita il mondo, che si emoziona nel mondo, che agisce nel mondo. Il Mito è interpretazione del vivere il mondo di un soggetto che trasmette la propria esperienza non per quello che ha vissuto, ma per l'interpretazione che quel soggetto dà al vissuto del quale vuole trasmettere quell'esperienza.
Esperienza che non è mai esperienza della ragione. La ragione non si emoziona. La ragione non agisce. La ragione descrive mediante le parole esperienze nel vissuto che vuole negare, cancellare, e lo fa mediante le parole. Parole che le emozioni possono trasformare in simboli capaci di richiamare parte dell'esperienza vissuta.
Nel Mito non esiste un "conflitto di interpretazioni". Il Mito evoca l'emozione dell'uomo e questa emozione si veicola in modi diversi e in diverse "spiegazioni" a seconda del divenuto del soggetto, della sua capacità di relazionarsi nel mondo, della volontà con cui agisce nel mondo. Il conflitto, se mai un conflitto può essere individuato, è conchiuso nei processi di trasformazione del singolo soggetto, nel suo percorso di divenire nel mondo che inizia appena mette fuori la testa dalla vagina della propria madre.
Ci fu un tempo in cui Umberto Galimberti viveva una dimensione mitica. Uscito dalla vagina della madre, esplorava un modo di intelligenze desideranti, Era il momento in cui si metteva in bocca gli oggetti per poterli conoscere. Poi cessò di usare la bocca per alimentare il conoscere e organizzare la sua struttura neuronale e si assise alla destra del suo Dio padre dalla cui posizione emise sentenze sul Mito. Il "sacro" era quel mondo che, comprendendolo, lo stimolava ad esplorarlo, a partecipare alla vita.
Il Mito apriva Umberto Galimberti all'esperienza dischiudendo quella via che avrebbe dovuto percorrere trasformando la propria esistenza in una battaglia sotto le mura di Ilio. Invece, per condizioni oggettive alle quali non ha saputo rispondere, ha preferito fuggire. Manifestazioni dell'oggettività nei suoi confronti lo hanno costretto a rifugiarsi in una dimensione razionale dalla quale lanciava frecce e anatemi per impedire alla propria psiche di partecipare alla vita finendo per fermare le sue trasformazione e il suo divenire di uomo nell'esistenza imponendosi una visione ontologica in cui si costringeva in una folle ricerca della verità della creazione del suo Dio padrone. Le mani che avrebbero dovuto manipolare la vita si tinsero del sangue dell'assolutismo con cui proteggeva il Dio padrone. Tutti noi citiamo l'assolutismo dell'ideologia cristiana nella quale siamo immersi. C'è chi la cita per legittimare la schiavitù; c'è chi la cita per costruire la libertà dell'uomo: Umberto Galimberti, come Heidegger, Jaspers e Severino, ha scelto la prima. Per questo il cristiano, come Galimberti "ogni volta che si parla di un mito, ogni volta che lo si interpreta, si narra la propria storia". Per il cristiano il Mito è un passato desiderato, un'agognata età dell'oro ormai perduta. Per il cristiano il Mito non è il vibrare delle sue emozioni nel tempo presente: la rabbia non lo assale, la rabbia appartiene ai suoi schiavi che deride mentre impotenti scuotono le loro catene. Il padrone, il Dio padrone cristiano, si fa beffe delle emozioni dei suoi schiavi. Il Mito si vive, il Mito travolge l'uomo in una dimensione in cui gli Dèi alimentano le contraddizioni sotto le mura dell'Ilio della vita quotidiana dove Ettore e Achille, Afrodite e Atena alimentano continuamente il fiume dell'esistenza.
C'è sempre qualcuno che stringe i pugni per migliorare la propria esistenza. Ci sono sempre torturatori che tentano di appropriarsi degli individui. C'è sempre qualcuno che sale su gommoni precari per perdere la vita in mari insicuri.
Scrive Umberto Galimberti:
Se il linguaggio delle parole correnti è tale solo finché risponde a un linguaggio più originario che non è semplice parola, ma mythos, si comprende perché è possibile affermare che il linguaggio parla non perché dice, ma perché, nel "discorso" che dice, "corre" l'immagine del mito, il suo appello evocante, che nel di- re del discorso si fa parola udibile. La parola mitica, che in quanto parola originaria in sé raccoglie ogni detto e lo fa venire alla luce, è dunque il luogo verso cui occorre avviarsi per comprendere ciò che il detto veramente dice. Incamminarsi verso quel luogo, che è poi il luogo del sacro, è un tenersi in cammino, perché il luogo è nascosto e la sua dimora è abissale. Come la quiete non distrugge se stessa nel clamore delle parole, così il mito si sottrae a ogni interpretazione che pretenda di esaurirlo.
Proprio per questo suo concedersi sottraendosi, l'immagine mitica, in cui si custodisce l'origine di ogni linguaggio, corre il rischio di essere dimenticata. Questa dimenticanza è per l'uomo il pericolo estremo, ciò che lo distoglie dal Luogo che dischiude tutte le vie dei sensi e dei significati possibili, per dislocarlo in quell'unico luogo, la ragione argomentativa, dove il cammino si interrompe e dove si incontra quell' errare tra sensi e significati ormai assodati o che più non rinviano. Del resto, come opportunamente scrive Anna Ferrari nella Prefazione al suo Dizionario di mitologia greca e latina:
La mitologia racconta che esiste un mondo parallelo a quello naturale e quotidiano, popolato da creature divine e fantastiche che si annidano negli interstizi della realtà. Talvolta esse si fanno vedere, affiorando qua e là agli occhi dei poeti. La mitologia è il resoconto di questi periodici affioramenti, che interessano il mondo nella sua interezza, costituendo di esso una dimensione segreta.
Forse questo è il motivo per cui persino Platone, che ha inventato la "ragione" dell'Occidente, non esita a dire che "il mondo è pieno di dèi". E allora accanto alla ragione che tutto porta alla spiegazione, il mito sollecita quel percorso che invita a uscire dai sensi e dai significati strettamente razionali, per far venire in luce l'immagine che ne costituisce la forza.
Pag. 60 – 61 di "Cristianesimo – La religione dal cielo vuoto" di Umberto Galimberti.
Come si permette Umberto Galimberti di parlare di un "linguaggio originale" quando mio nonno, e purtroppo anche il suo, quando si muoveva nell'ipotetico brodo primordiale, si dice, io non lo so, ma si dice, che non avesse un linguaggio anche perché, si dice, io non lo so, ma si dice che nemmeno avesse una lingua. Il termine "linguaggio originale" può essere assunto solo da chi CREDE che l'uomo sia stato creato dal Dio pazzo, cretino e deficiente dei cristiani. Solo anteponendo la follia dell'atto di fede, Umberto Galimberti, può parlare di "linguaggio originale". Solo come fondamentalista cristiano, Umberto Galimberti, può pensare all'esistenza di un linguaggio originale esattamente come il vangelo di Giovanni, per stuprare gli uomini in funzione del suo Dio padrone, mette il logos come fondamento della creazione del suo Dio padrone.
Mi ricorda quel re, mi sembra re Sole, ma non ne sono sicuro, che mise dei neonati in una stanza facendoli accudire ma impedendo, a chi li accudiva, di parlare loro. Questo imbecille era convinto che una volta cresciuti avrebbero parlato l'ebraico come lingua originale. I bambini morirono tutti e come quel sangue gronda dalle mani di quel criminale, così gronda dalle mani di Umberto Galimberti. Noi siamo responsabili delle conseguenze sociali di ciò che affermiamo. Siamo responsabili dei fini espressi dall'ideologia che manifestiamo nella società. Non possiamo fare come l'accusato di omicidio che si difese affermando che lui aveva solo tirato il grilletto della pistola. Certo, lui ha solo tirato il grilletto, come quel re voleva solo cercare la lingua della creazione e come Umberto Galimberti ha solo proclamato l'esistenza di un "linguaggio originale", ma la gente viene torturata nei posti di polizia, i processi vengono manipolati e le persone muoiono. Quei bambini sono morti: le mani del filosofo grondano di sangue.
La filosofia non è un oggetto virtuale e non è estetica del tragico, se non per i buffoni. Affermare l'esistenza dell'anima, come fece Platone, portò al genocidio dei popoli e le mani di Platone grondano di quel sangue.
Affermare un "linguaggio originale" significa affermare un'origine. Affermare un'origine significa affermare l'esistenza del macellaio di Sodoma e Gomorra e il suo diritto di macellare gli uomini.
Nel Mito non troverete mai un'origine che determini o pretenda di possedere il presente:
Scrive Esiodo:
Dunque, per primo fu Caos, e poi Gaia dall'ampio petto, sede sicura per sempre di tutti Gli immortali che tengono la vetta nevosa dell'Olimpo. E Tartaro nebbioso nei recessi della terra dalle ampie strade, poi Eros, il più bello fra gli immortali, che rompe le membra, e di tutti gli Dèi e di tutti gli uomini doma nel petto il cuore e il saggio consiglio.
Tratto da Teogonia, Esiodo 116 – 122 ed. Bur 1999
In questa condizione mitica, si può organizzare la propria vita.
Il principio fondante l'ebraismo e il cristianesimo è:
E il Dio padrone dei cristiani pronunciò queste parole: "Io sono il padrone, il tuo Dio padrone, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avrai altro Dio padrone fuori di me. Non ti farai nessuna scultura, né immagine delle cose che splendono su nel cielo o sono sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non adorar [parlare a loro…] tali cose, né servir loro perché io, il tuo Dio padrone, sono un padrone geloso, che punisco l'iniquità dei padri nei figli fino alla terza o alla quarta generazione di coloro che mi odiano, ma uso clemenza fino alla millesima generazione verso coloro che mi amano e che osservano i miei comandamenti.
Tratto da bibbia cristiana, Esodo 20, 1-6
Il cristiano, costretto ad obbedire e a sottomettersi ad un padrone che ha la sua realtà nella farneticazione ontologica la sua ragione d'essere, trova nel Mito un po' di quiete.
Il Pagano, che ritiene di vivere in un Caos che la ragione non è in grado di descrivere e che ritiene inizio di ogni esistente, con un corpo formato dalla materia-energia Gaia, percorre la sua vita nella luce (olimpo) e nelle tenebre (Tartaro) consapevole che l'Intento, il più bello fra le forze della vita, destruttura (rompere le membra) continuamente la forma del suo corpo e della sua coscienza (la coscienza di uomini e Dèi) spingendoli nell'infinito dei mutamenti.
E' un'interpretazione?
Io interpreto le mille forme con cui gli Dèi si presentano. Nel cristianesimo non c'è interpretazione, solo schiavitù perché le parole manifestano la volontà del Dio padrone che le ha pronunciate e anche se Filone d'Alessandria ha finto di applicare il metodo dell'interpretazione del Mito alla bibbia di ebrei e cristiani per legittimare la schiavitù dell'uomo, la schiavitù è l'oggetto che Filone non mette in discussione perché è l'intento del suo Dio padrone.
Io uomo, con un corpo formato dalla materia Gaia sono emerso dal Caos emotivo che alimenta ogni coscienza e percorro le vie, scegliendo di volta in volta la mia via, verso l'eternità dei mutamenti.
Perché Anna Ferrari insulta l'intelligenza dell'uomo? C'è un solo mondo, il mondo che noi abitiamo. Il mondo degli Dèi è il mondo in cui viviamo. Non esistono mondi paralleli. La mitologia non dice che esistono mondi paralleli, ma esiste questo mondo che il cristianesimo ha inquinato col suo delirio di onnipotenza riducendo gli uomini in schiavi del Dio padrone e di chi gestisce il Dio padrone.
Non esistono "creature fantastiche", esistono le fantastiche forze della vita che nel mito assumono la rappresentazione di volontà che operano nel mondo anche quando il cristianesimo, per imporre la sua malattia, stupra bambini per renderli ciechi e sordi alle voci dell'universo. Certo che Urano Stellato ci chiama con parole che le orecchie non sanno udire. Ci comunica quando in noi sorge l'emozione che travolge la nostra ragione. Ci comunica quando il trasporto emotivo si fa "sentimento" per un cielo stellato, per un tramonto che ci affascina, per una cometa che attraversa le costellazioni. Chiama ed affascina un Galileo che mise gli occhi là dove nessun cristiano, prima di allora, aveva osato guardare.
Sarebbe bene che Anna Ferrari dimostrasse la sua farneticazione perché, con quella farneticazione, è corresponsabile delle torture che le persone subiscono nei posti di polizia in nome del crocifisso grazie a Questori e Prefetti costituzionalmente corrotti ed eticamente vigliacchi. I Questori e i Prefetti non si pensano uomini germinati dal Caos dell'esistenza, ma schiavi, servi obbedienti, creati ad immagine e somiglianza di un Dio padrone che ordina loro: "Non lasciar che "strega" viva" [Esodo 22, 17].
Questo è l'unico mondo che noi abbiamo e questa è l'unica occasione che abbiamo per trasformarci in Dèi.
Platone non ha inventato la ragione. Platone ha inventato il delirio farneticante per giustificare un'ideologia assolutista in nome di un demiurgo padrone con cui giustificare la sua pretesa di essere padrone di uomini ridotti in classi sociali di cui egli [i filosofi] era il padrone e l'esecutore dell'eugenetica per trasformare gli uomini in gregge. Questa "ideologia del genocidio" è spacciata per ragione.
Platone aveva paura degli Dèi. Come del resto Socrate, l'unto del padrone. Un mondo di Dèi imponeva a Platone di imparare a vivere per muoversi fra loro. Platone aveva paura. Non sapeva vivere. Voleva possedere gli uomini affinché costoro risolvessero i suoi problemi esistenziali che lui non era in grado di affrontare.
Un mondo di Dèi implica la capacità di ogni soggetto di vivere nel mondo fra pari, fra uguali. Platone era il demiurgo e come tale pretendeva dagli uomini obbedienza a Platone che pensava il demiurgo che farneticava attraverso Platone. Queste farneticazioni di un delirio da malattia mentale, Platone le chiamava: saggezza e virtù.
Il Mito non invita ad uscire dai sensi. Umberto Galimberti farnetica. Il Mito invita ad uscire dall'assolutismo della sottomissione del Dio padrone e riconoscere che il mondo è fatto da intelligenze con cui possiamo costruire delle relazioni. L'affermazione di Umberto Galimberti "…il mito sollecita quel percorso che invita a uscire dai sensi e dai significati strettamente razionali…" è offensiva. Il Mito non sollecita le persone a farsi di eroina, mescalina, LSD o metadone. Il Mito sollecita l'uomo a liberare la sua percezione nel mondo dalle catene in cui il macellaio di Sodoma e Gomorra e il pederasta in croce l'hanno inchiodata attraverso la sistematica violenza esercitata sull'infanzia.
Marghera, 16 maggio 2016
NOTA: Le citazioni sono tratte da "Cristianesimo – La religione dal cielo vuoto" di Umberto Galimberti editore Feltrinelli 2012
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Marghera, 16 maggio 2016 Claudio Simeoni Meccanico Apprendista Stregone Guardiano dell'Anticristo Tel. 3277862784 e-mail: claudiosimeoni@libero.it |
Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.