Cod. ISBN 9788827811764
La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume
Filosofia Aperta - seconda parte (del volume)
"Io sono capricorno e i capricorni non credono nell'astrologia. Sono razionale!"
Questa battuta serve per capire, a livello immediato, l'idea di astrologia che Galimberti trasmette come credenza permettendogli di giustificare la credenza nel Tutto, inteso come Dio padrone, e nel Dio padrone come giustificazione ontologica del Tutto. Il Dio padrone come Tutto progetta il futuro di ogni singolo Essere della Natura e, Umberto Galimberti attraverso l'astrologia, interpreta la volontà e i progetti del Dio padrone.
So benissimo che Umberto Galimberti è uno "studioso" di filosofia. Io, per esperienza, so che le persone che trattano filosofia trattano e giustificano il loro modo di pensare il mondo. Uguale al Dio padrone, assiso nei cieli, mentre scruta gli oroscopi, Umberto Galimberti dice perché gli uomini ricorrono all'astrologia e agli oroscopi giustificando sé stesso nel ricorrere agli oroscopi e all'astrologia. Lo ha fatto anche Goethe perché non può farlo Galimberti?
E' importante che noi teniamo in evidenza questa condizione perché questa è l'idea che Galimberti fa propria sia citando il De Fato di Pietro Pomponazzi, sia citando Goethe che Nietzsche. Senza la fede nel Dio padrone non c'è fede nel destino e senza un Dio padrone che determina il destino non c'è astrologia che interpreta i voleri del Dio padrone. In sostanza, senza la credenza nel destino non c'è credenza nel Dio padrone che determini il destino dell'uomo.
I filosofi medioevali e rinascimentali credevano nell'astrologia: erano fondamentalisti cristiani. I romantici tedeschi credevano nell'astrologia: erano dei fondamentalisti cristiani. Gli spiritualisti e gli idealisti credevano nell'astrologia: erano dei fondamentalisti cristiani. Gli esistenzialisti credono nell'astrologia: sono dei fondamentalisti cristiani. Ora che ho stabilito che la credenza nell'astrologia è una manifestazione della fede che è prodotta dalla malattia mentale dell'uomo che fugge dalla realtà vissuta, non ci resta che discutere della malattia mentale, che è indotta nell'infanzia, e che permette di imporre la fede, la credenza nella provvidenza, che chiama il macellaio di Sodoma e Gomorra "dio buono" e che esalta il pederasta in croce e la sua voglia di macellare gli uomini cercando di spacciare tale voglia come espressione naturale dell'uomo.
E' offensivo giustificare il proprio credo, la propria fede, col fatto che altri credevano le stesse cose. Il fatto che altri insultino la società civile e abbiano torturato le persone, non legittima altri, come Umberto Galimberti, a ingiuriare la società civile e a torturare le persone.
Astrologia e destino, non hanno nulla a che vedere col concetto di "fato" delle antiche religioni se non come imbastardimento superstizioso imposto da Platone. Il destino e il determinismo sono condizioni che premettono un Dio padrone e giustificano la violenza con cui i cristiani agiscono sulla struttura psichica dell'infanzia imponendo la sottomissione dei bambini al Dio padrone affinché supplichino un destino benevolo.
La giustificazione del padrone, come padrone della società a cui tutte le parti della società si devono adeguare, è la prima preoccupazione di Umberto Galimberti. Come Platone deve legittimare il suo diritto ad essere proprietario degli uomini e delle società, così Galimberti ricorre anche alla filosofia Taoista che evita di chiamare col suo nome per poterla squalificare. Non usa il termine Taoismo per indicare un sistema proprio di pensiero, ma usa il termine generico di "tradizione orientale" affermando, di fatto, un ordine cosmologico che sta soltanto nei suoi desideri prodotti dal proprio fallimento esistenziale.
Scrive Umberto Galimberti:
L'ordine cosmologico che accomunava Oriente e Occidente
Da questa visione cosmica non poteva nascere alcun progetto in ordine alla dominazione del mondo perché, come cosmo, il mondo non era creazione di un dio, né opera dell'uomo, ma in sé perenne, custodito nelle sue misure, era per sé. Considerato il più perfetto esemplare d'ordine e, nello stesso tempo, la causa di ogni ordine riscontrabile nelle realtà particolari, che soltanto in gradi diversi si avvicinano a quello del Tutto, il cosmo non era pensato solo come un sistema fisico, ma come quell'ordine necessario a cui l'uomo come parte doveva assimilarsi. Nel riconoscimento e nell'accettazione del proprio esser-parte, l'uomo trovava la sua collocazione e il senso della sua esistenza, che era nell'adeguarsi, in quanto parte, all'ordine (k6smos) del Tutto.
Si trattava di una totalità che non nasceva dalla somma quantitativa delle parti, ma da quella nota qualitativa che faceva di quelle parti composte un ordine, un cosmo. Da quell'ordine, che era poi la ragione dell'universo, il suo logos, nasceva quella pietà cosmica che non era tanto un sentimento religioso, quanto l'espressione antropologica di quella relazione universale che è la composizione delle parti con il Tutto.
Esempio vivente di questa relazione era la polis, la città descritta nella Repubblica di Platone, dove la relazione tra i molti e l'Uno, preparata dalla pietà cosmica, trovava la sua espressione politica. Come nel cosmo, infatti, così nella città le parti non solo dovevano essere dipendenti dal Tutto quanto al loro essere, ma anche mantenere il Tutto con il loro essere. Come l'ordine del Tutto condizionava l'essere e la possibile perfezione delle parti, così la condotta delle parti condizionava l'essere e la perfezione del Tutto.
Qui la nascente filosofia greca presenta profonde analogie con la sapienza orientale, laddove l'ordine storico-politico era pensato in funzione dell'ordine cosmico universale. In questo senso filosofi greci e sapienti orientali erano veramente cosmo-politici perché pensavano l'ordine del cosmo come vero modello per l'ordine della p6lis. Per edificare la città Platone guardava il Cosmo; per dare ordinamenti agli uomini Lao-Tzu guardava il Tao. Cosmo e Tao erano l'espressione di quella "misura" eraclitea che non era scandita dal progetto umano, ma dal ciclo cosmico. Scrive in proposito Platone:
Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo intimo rapporto con il cosmo e un orientamento a esso, anche se non sembra che tu ti accorga che ogni vita sorge per il Tutto e per la felice condizione dell'universa armonia. Non per te infatti questa vita si svolge, ma tu piuttosto vieni generato per la vita cosmica."
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La giustificazione dell'orrore della sottomissione come realtà sociale è una delle prime preoccupazioni di Umberto Galimberti. La citazione che fa di Eraclito serve a dimostrare come dall'idea, da quell'idea, di Eraclito, non poteva nascere una società assolutista.
Se il cosmo è divenuto in sé e per sé, allora anche le sue parti sono divenute in sé e per sé e gli uomini sono divenuti in sé e per sé.
Ma se il Cosmo è regolato da una intelligenza che diventa il Tutto del cosmo capace di determinare l'ordine cosmico, allora l'intelligenza che domina l'ordine cosmico detta anche le regole morali alle quali gli uomini si devono attenere per essere in armonia con quell'ordine cosmico. Gli uomini devono essere in armonia con il dominatore del mondo. Il creatore. Il Dio padrone che detta le leggi. Solo che quelle leggi, quell'ordine pensato, non lo pensa il Dio padrone, il Cosmo o il Tutto, ma lo pensano uomini che dominano e che lo attribuiscono ontologicamente al Dio padrone che immaginano. Loro pensano il Dio padrone, il Tutto, che detta le leggi cosmiche e quelle leggi cosmiche esistono perché se non esistessero loro non potrebbero pensarle.
Se Platone, Aristotele o chi per essi pensa a quel tipo di armonia cosmica, quel tipo di armonia cosmica esiste perché altrimenti loro, piccoli Dio padroni ammalati di onnipotenza, individui deliranti che impongono con le armi il loro delirio, non potrebbero pensarlo e quello che pensano, come Dio padrone, ha fornito loro le armi per macellare gli uomini che non si sottomettono al loro delirio con cui immaginano il demiurgo.
Una volta che Galimberti ha stabilito l'armonia del Tutto, ecco Umberto Galimberti gettarsi nella spiegazione della qualità del Tutto che immagina. Umberto Galimberti, come una vecchia nonna al capezzale del letto della nipotina, racconta la fiaba della buonanotte mettendo enfasi sulla magnificenza di un Tutto che immagina e dal quale si sente investito di una vena profetica da trasmettere a coloro che non hanno immaginazione e pensano di essere uomini anziché schiavi obbedienti al Tutto immaginato da Galimberti.
"Come l'ordine del Tutto condizionava l'essere e la possibile perfezione delle parti, così la condotta delle parti condizionava l'essere e la perfezione del Tutto".
Manca la dimostrazione. Nel senso che l'idea secondo cui l'azione di ogni Essere, di ogni Coscienza, nel cosmo può variare il Cosmo è un'idea che constatiamo nelle risposte del nostro agire nel mondo, ma non esiste un'azione del Cosmo che possa variare la singola Coscienza in quanto, il Cosmo, come insieme di tutto l'esistente, non ha né Coscienza, né consapevolezza di sé. Pertanto, Umberto Galimberti dice solo una grandissima stupidaggine frutto di una fantasia delirante. Una fantasia che nasce dall'idea creazionista secondo cui il tutto, il Dio padrone, è la coscienza e la volontà che crea il mondo come la "Natura" è madre dei viventi. Come se la Natura avesse generato i viventi e non viceversa. Prima che i viventi fossero, madre Hera giaceva nel ventre di Cronos sospesa fra le possibilità. Solo quando la vita sorse sul pianeta, la Natura nacque: Hera fu vomitata per effetto di Zeus dal "tempo", Cronos, che mise in atto i mutamenti dei nati nella Natura. E' scontato che esiste una relazione fra ogni soggetto e l'universo, ma l'universo, come insieme, non stabilisce relazioni con i soggetti perché non ha Coscienza di sé.
La filosofia di Platone non è la filosofia greca, è la filosofia di Platone. Un delirio che si stacca dalla filosofia e dal mito per trasferire il delirio di un uomo malato di onnipotenza in una forma pseudo-scientifica detta "filosofia" nella quale immette farneticazioni che non è in grado di sostenere razionalmente. Però sono funzionali per chiunque voglia trasformare gli uomini in schiavi.
Non capisco inoltre come Umberto Galimberti trovi la felicità nell'essere schiavo, nello spalare il letame e nel vivere nella miniera con i polmoni pieni di polvere di carbone. Non è questa la condizione che Umberto Galimberti sta pensndo ad ogni vita che sorge per la gloria del padrone, il Tutto, a cui il mendicante senza tetto, bastonato dai vigili urbani, tende? Non è a questo che sta pensando quando Umberto Galimberti scrive:
Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo intimo rapporto con il cosmo e un orientamento a esso, anche se non sembra che tu ti accorga che ogni vita sorge per il Tutto e per la felice condizione dell'universa armonia.
Senza un Dio padrone non si possono costringere gli uomini a mettersi in ginocchio, a supplicare, ad agire in funzione del padrone sociale, dell'Hitler o del Bergoglio di turno.
E da quando in qua il Tao determina una morale?
Ciò che può essere nominato non è l'eterno Tao!
E' solo una pagliacciata di uomini arroganti che attribuiscono al Tao, al demiurgo, al Dio padrone, al Gesù farneticazioni deliranti che sono esse Gesù, il demiurgo, il Dio padrone, l'essere assolutamente necessario, l'ente e con quanti altri nomi si definisce un ipotetico padrone e armonizzatore del cosmo che nella società diventa un padrone che, armato di celerini, bastona le persone.
Il primato dell'ordine antropologico e la nascita dell'Occidente
La distruzione di questo simbolo, in cui è custodito il senso vero e originario dell'astrologia, segna la nascita dell'Occidente, dove non è più l'ordine del cosmo a dettare legge alla città, ma è la città, come comunità dell'umano, a definire di volta in volta il cosmo. All'orizzonte cosmo-politico si sostituisce il disegno di una politica cosmica, dove il progetto dell'uomo cancella ogni ritmo del cielo, mentre le scansioni della sua storia cancellano quelle "misure" che, al dire di Eraclito, segnavano il "divampare" e lo "spegnersi" dei cicli cosmici. Qui svanisce ogni possibilità di confronto, perché il progetto occidentale non è una variante del simbolo celeste, ma la sua antitesi. A mutare, infatti, non è solo il misurato, ma la misura, per cui, rispetto all'ordine del cosmo, l'uomo occidentale appare s-misurato, cioè fuori misura. Nel Tutto non "rappresenta la sua parte", com'era nell'invito della legge antica, ma al Tutto "impartisce le parti", e così capovolge quella gerarchia aristotelica per la quale l'economia, la politica, l'etica, avendo per oggetto l'uomo, non potevano essere le scienze più alte, perché ciò avrebbe significato pensare l'uomo come l'essere più alto nel Tutto cosmico. Scrive infatti Aristotele:
Sarebbe assurdo pensare che la politica o la saggezza siano le forme più alte di conoscenza, a meno di non pensare che l'uomo sia la realtà di maggior valore nel cosmo. [ ] Di fatto ci sono realtà di natura ben più divina dell'uomo come, ad esempio, i corpi celesti di cui è costituito il cosmo. [Aristotele, Etica a Nicomaco]
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Il Dio padrone segna la nascita dell'occidente. In questo occidente, persone deliranti definiscono il Cosmo come loro conviene per stabilire un ordine che come tante "marie" si prendono la parte migliore mentre alle "marte" tocca lavorare e fare le schiave [Luca 10, 38-42].
Non siamo di fronte a Pericle e nemmeno di fronte a Bruto o a Catilina. Siamo davanti a deliranti come Platone che, incapace di assumersi la responsabilità del suo desiderio di dominare gli uomini, attribuisce al demiurgo il suo ordine sociale. Siamo davanti agli ebrei che attribuiscono al loro Dio padrone l'ordine morale a cui debbono obbedire; siamo davanti a Gesù che pretende sottomissione in quanto afferma di essere il figlio del Dio padrone allo stesso modo in cui Socrate afferma di essere l'uomo più saggio del mondo perché lo ha detto il Dio. Siamo davanti a Silla che distrugge il collegio degli Auguri.
Il disegno della politica cosmica è costruito da Platone e dagli ebrei con l'invenzione del demiurgo e del Dio padrone che in Platone fanno nascere il governo dei "saggi", dei filosofi, e negli ebrei il popolo eletto legato da vincoli di sangue e di razza e col diritto di macellare tutti i popoli in nome del loro Dio padrone.
Il padrone cancella nell'uomo le relazioni con il mondo, con la Natura, con i propri cicli vitali e con le condizioni esistenti in cui veicolava le sue pulsioni sessuali e i suoi bisogni.
L'uomo, costretto da questi rappresentanti del Dio padrone, sottoposto alle violenze per costringerlo all'obbedienza, privato della possibilità di veicolare la propria pulsione sessuale, dà il via al proprio processo di sopravvivenza che "vigliaccamente", Umberto Galimberti, chiama "nascita dell'occidente".
Non è dunque la nascita dell'occidente, ma la produzione di angoscia e di terrore attraverso i quali gestire il genere umano per trarne profitto in nome del Dio padrone. Il Dio padrone, in qualunque modo lo si chiami, ente, essere, essere assolutamente necessario, creatore, uno, tutto, ecc. è sempre il macellaio di Sodoma e Gomorra, quel criminale che si vanta di aver macellato l'umanità col diluvio universale e che impone di far violenza ai bambini affinché anche loro siano, per tutta la vita, sottomessi con tutto il loro cuore e con tutta la loro anima. Questa è la nascita dell'occidente che ha nel Dio padrone cristiano il suo più feroce nemico. Tutta la storia dell'occidente altro non è che un insieme di fatti e di episodi nei quali l'uomo cerca di ritagliarsi una qualche forma di libertà nella "città di dio" dominata dal macellaio di Sodoma e Gomorra, da Gesù e dai suoi sgherri.
Scrive Umberto Galimberti:
L'angoscia del futuro all'origine dell'astrologia e della psicologia
Fu così che la lettura del cielo, la sua regola, la sua norma, la sua misura sprofondarono nell'inconscio degli uomini e si mescolarono nelle trame confuse dell'irrazionale, per riemergere come assillo quotidiano circa il senso del tempo e la sorte futura. Ma oggi non siamo più all'altezza dell'antico paesaggio, non ne individuiamo più i contorni, i pieni, i vuoti, i volumi di senso, perché non conosciamo più il cielo che le parole degli antichi descrivevano come una volta che abbraccia il mondo, e tantomeno l'anima universale nel suo dibattersi tra il cielo e la terra. Oggi conosciamo solo anime individuali, rese asfittiche dall'incapacità di correlare la loro sofferenza quotidiana con il dolore del mondo.
Un volume di senso, quello che gli antichi riferivano alla volta celeste, è stato spazzato via dalle scienze psicologiche che, delimitando il campo alla semplice descrizione dei processi psichici individuali o alla problematica normalizzazione dei comportamenti, hanno eluso la domanda di fondo che percorreva l'anima del mondo nel suo dibattersi tra spirito e materia, dove restava indecidibile se l'uomo fosse l'autore di una storia con tutto il ventaglio delle sue creazioni o semplicemente l'esecutore di un destino già scritto nello spessore della materia. A questa domanda, che confusamente si aggira fra i dubbi più segreti di ogni anima, la psicologia e l'astrologia non possono rispondere se non sollevando di molto i loro impianti categoriali, fino a portarli alla densità dell'interrogazione che nella sapienza antica ha trovato lo spazio per dirsi. A quando, allora, un dialogo serio tra psicologia e astrologia che sia all'altezza dei problemi non più immiseriti dalle formulazioni che nascono dalle macchine terapeutiche o dagli oroscopi quotidiani che riempiono le pagine disimpegnate delle nostre riviste? Quando queste macchine e questi auspici metteranno in gioco i loro strumenti non più sul terreno della sorte individuale, ma su quello più arduo dell'esistenza, che è capace di storia proprio perché rifiuta l'idea di destino? A meno che il destino non ci abbia da sempre giocato, e la storia non sia altro che il nostro inganno per vivere. Qui si dividono, in apparenza, coloro che credono e coloro che non credono agli oroscopi. Dico "in apparenza" perché in realtà in nulla si distinguono, dal momento che quelli che credono, in realtà, desiderano conoscere qualcosa circa il loro futuro, e quelli che non credono non sono esenti da questo desiderio. E allora il vero problema è l'angoscia del futuro, perché, a differenza del passato e del presente, il futuro è imprevedibile. E, come tutto ciò che è imprevedibile, è ingovernabile, perché sfugge al nostro controllo, alla nostra previsione, alla nostra progettazione, mettendo in chiara evidenza la precarietà della nostra esistenza, e, con la precarietà, il nostro bisogno di rassicurazioni. Non potendole trovare sulla terra, dove i nostri progetti confliggono con quelli degli altri e con le circostanze fauste o infauste, da che mondo è mondo, gli uomini hanno cercato la loro rassicurazione nel cielo, che appariva più stabile della terra inquieta. Chiamarono le luci che compaiono nel cielo "stelle fisse", e la loro disposizione "firmamento", dove è traccia di "ciò che sta fermo" e non muta come gli eventi della terra. Chiamarono inoltre le disposizioni del cielo "destino", che significa "ciò che sta". E nell'immodificabilità del suo "stare", rispetto alla mutevolezza delle vicende umane, intravidero quella rassicurazione a cui cercarono di dare parola nella forma della "predizione".
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Gli uomini sprofondarono nell'angoscia per l'avvento del Dio padrone, di Socrate, di Gesù, di Platone e di tutta la violenza che per la prima volta, nella storia dell'umanità fin da quando iniziò a muoversi nell'ipotetico brodo primordiale, non fu rivolta per difendere il divenire dell'uomo o la società dai pericoli, ma contro gli stessi uomini della società che dovevano diventare obbedienti, con tutto il loro cuore e con tutta la loro anima, amando un padrone che si divertiva a torturarli e a rendere dolorosa la loro vita per il suo piacere di dominio.
L'angoscia è determinata dalla struttura desiderante del singolo uomo che la violenza della miseria delle condizioni di vita imposte dal cristianesimo impedisce di esprimersi nel mondo.
Tuttavia l'uomo progetta comunque la propria vita e se Galimberti vede l'uomo prostrato che cerca, mediante l'astrologia, di capire il destino che gli ha imposto il Dio padrone, milioni e milioni di uomini, analfabeti e disprezzati da Umberto Galimberti, faticosamente si trascinavano costruendo un frammento si sopravvivenza in mezzo a montagne di cadaveri fatte dal macellaio di Sodoma e Gomorra, da Gesù e dalle sue bande di terroristi dell'umanità.
Quando gli antichi parlavano, parlavano nelle piazze, erano gente che parlava alla gente. Quando gli antichi scrivevano, la cultura era diffusa. I maestri insegnavano nelle strade e i genitori egiziani, come i romani e i greci, dicevano ai loro figli che conveniva loro imparare a leggere e scrivere anziché servire come soldati. La cultura degli antichi era una cultura a cui partecipava le masse dei cittadini. Il cristianesimo procedette alla distruzione della cultura. I centri di potere cristiani si appropriavano della cultura e la usavano per vessare le persone ridotte a servi e schiavi. Qualunque rapporto esistenziale si basava sulla violenza, sulla prevaricazione, sul terrore. Col cristianesimo la follia della disperazione invase ogni anfratto della vita civile e ogni anfratto della psiche umana. Era talmente grande la disperazione che quando un ragazzino si mise ad urlare di vedere il Dio padrone, migliaia di ragazzi abbandonarono le greggi e finirono per essere venduti schiavi dal pifferaio magico: il pederasta in croce che spacciava la vita eterna per truffare le persone.
Il delirio cristiano manipola la psiche delle persone e la psiche delle persone, manipolata e stuprata, viene definita inconscio ancestrale dagli psicologi e percezione ontologica da filosofi come Umberto Galimberti.
Poi gli uomini si liberano dall'obbligo del cristianesimo e nascono i trucchi per imporre altri modelli di farneticazioni deliranti come la ricerca del "destino" voluto dal Dio padrone o l'uso dei tarocchi che un imbecille ha voluto indicare come l "arte perduta di Thot". Certo che ce ne sono di persone costruite malate dalla violenza che i cristiani esercitano sull'infanzia.
La violenza che i cristiani esercitano sull'infanzia costringe il bambino violentato a costruire la sua esistenza fra "dio e mammona" dove il Dio padrone cristiano determina il destino mediante l'uso della provvidenza e mammona serve al cristiano per costruire la miseria e l'indigenza fra le persone e i popoli.
Il cristiano, mentre accumula denaro per far fallire la Banca Etruria o la Banca popolare di Vicenza o la Veneto Banca, cerca il suo destino di unto nel Dio padrone fra temi astrali o giri di carte che gli rivelano il glorioso disegno del suo Dio padrone. La gloria che lo porta a perdere i suoi risparmi nel fallimento della Banca Etruria, della Banca popolare di Vicenza, nella Veneto Banca e in tutti gli altri istituti falliti dopo avergli sottratto il denaro con la carota dei guadagni o alimentando in lui le illusioni in un glorioso futuro nella Banca Popolare di Vicenza, il suo paradiso.
Intanto il mendicante continua ad allungare la mano. Lo stradino continua a spazzare le strade. La donna delle pulizie si alza al mattino presto. L'operaio alla fornace consuma fumi tossici (non si capisce perché non lo tassano per questi privilegi). I disperati arrivano con i gommoni ecc. ecc.
Scrive Umberto Galimberti:
Il terrore dell'ignoto come istinto segreto della scienza
L'oroscopo è questa parola. La sua verità o falsità nulla toglie a quel bisogno, insopprimibile nell'uomo, di ridurre il più possibile il terrore dell'ignoto. Lo stesso terrore che, a sentire Nietzsche, anima la scienza, che ovviamente divide coloro che non credono da quelli che credono agli oroscopi, dimenticando che la ragione per cui la scienza è nata è la stessa che, dai tempi più remoti, ha indotto gli uomini cl scrutare il cielo.
Che altro è, infatti, la scienza se non l'arte della previsione?
Con questo non intendo mettere sullo stesso piano la previsione astrologica e la previsione scientifica, ma semplicemente segnalare che identico è il bisogno che sta alla base della scienza e dell'astrologia: sconfiggere l'ignoto, ridurre l'inquietudine a esso connessa, rassicurare l'uomo ampliando l'orizzonte della prevedibilità. Scrive in proposito Nietzsche:
Quello di "cercar la regola" è il primo istinto di chi conosce, mentre naturalmente per il fatto che sia trovata la regola niente ancora è "conosciuto"! Di qui la superstizione dei fisici: dove possono perseverare, cioè dove la regolarità dei fenomeni consente di applicare formule abbreviative, credono che sia conosciuto. Sentono "sicurezza", ma dietro questa sicurezza intellettuale sta l'acquietamento della paura: vogliono la regola, perché essa toglie al mondo il suo aspetto pauroso. La paura dell'incalcolabile come istinto segreto della scienza. La regolarità addormenta l'istinto che interroga (cioè che teme): "spiegare", ossia mostrare una regola dell'accadere. Credere alla "legge" significa credere alla pericolosità dell'arbitrario. La buona volontà di credere alle leggi ha portato al trionfo della scienza."
Si dirà: ma la previsione scientifica, a differenza di quella astrologica, poggia su elementi rigorosamente razionali. E' vero. Senza però dimenticare due cose. La prima è che la scienza sa di essere una conoscenza ipotetica, disposta a cambiare ipotesi a mano a mano che se ne presentano di più esplicative, per cui ciò che la scienza dice ha solo la probabilità, ma non l'incontrovertibilità di essere vero. La seconda ce la rammenta Kant là dove dice che la ragione è un'isola piccolissima nell'oceano dell'irrazionale. E siccome ognuno di noi lo sa e sulla propria pelle lo sperimenta, è in questo oceano che l'oroscopo getta il suo sguardo e formula la sua previsione.
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L'uomo non ha paura dell'ignoto. Non l'ha mai avuta fin da quando l'Essere Uomo nuotava in quell'ipotetico brodo primordiale nel quale organizzava le sfide per la propria esistenza diventando ciò che oggi è.
L'uomo sa benissimo che se la scienza scoprisse che esiste una "materia oscura" nell'universo e da questa giungessero dei fenomeni, il suo corpo si è adattato a quei fenomeni da milioni di anni. Scoprirli, descriverli o descrivere la qualità delle radiazioni cosmiche o della gravitazione universale, non cambia la vita dell'uomo che va dalla nascita del corpo fisico alla morte del corpo fisico.
L'uomo non ha paura dell'ignoto; il cristiano sì!
Il cristiano non è un uomo inteso come soggetto il cui corpo abita il mondo. Il cristiano non è un uomo che costruisce le relazioni con il mondo in cui vive. Il cristiano è un individuo che nega sé stesso per abitare in un mondo immaginario popolato dal suo Dio padrone. Il cristiano costruisce relazioni solo con la propria patologia psichiatrica che chiama dio, Gesù, spirito santo, provvidenza e delira fra sé e sé, allucinazione dopo allucinazione fissando il delirio nella propria struttura emotiva fino a pensarla reale e spiegarla ontologicamente. Il delirio è l'unica realtà oggettiva nella quale il cristiano vive. Gli ospedali psichiatrici sono pieni di questi personaggi che, proprio perché vivono la relazione fra sé e la loro malattia, fuggono dal mondo incapaci di costruire delle relazioni esistenziali.
Il cristiano ha paura dell'ignoto perché si è ritirato in sé stesso.
La scienza non è arte della previsione è l'attività mediante la quale la ragione mette ordine nella propria descrizione del mondo. La scienza si oppone alla fede che induce alla credenza nel Dio padrone e negli oroscopi perché al metodo deduttivo della fede oppone il metodo induttivo dell'analisi, del percepito, per formulare le sue ipotesi. Ipotesi che possono essere vere o false, ma che nascono dall'analisi dei fenomeni.
A differenza di quanto afferma Nietzsche, è il cristiano che cerca e impone regole comportamentali, diktat morali che lo rassicurano della bontà del suo comportamento e dell'apprezzamento del Dio padrone.
IL cristiano cerca e impone regole, comportamenti, doveri perché deve limitare il vissuto delle persone entro i confini morali e comportamentali imposti dal suo padrone. Il cristiano rinchiude l'uomo dentro una ragione, una descrizione del mondo, squallida e meschina come il suo Dio o il suo Gesù.
Nietzsche non conosceva la legge uguale per tutti, Dio padrone compreso. Nietzsche conosceva solo la legge del padrone che impone doveri ed obbedienza agli schiavi sottomessi e il fatto che Umberto Galimberti usi frasi generiche e imprecise per aggredire la scienza e paragonarla alla forma di fede, ingiuria e offende le persone con un atto di terrorismo.
Io sento sicurezza quando con l'aspirina mi faccio passare il mal di testa; non sente sicurezza il paralitico che va a Lourdes nell'attesa della guarigione miracolosa. Io uso la scienza, quel paralitico usa la fede. Un altro paralitico usa la sedia a rotelle. La sedia a rotelle, costruita dalla scienza, magari con un motore, viene data sia al paralitico che auspica la scienza che al paralitico che cerca il miracolo: non avrà il miracolo il paralitico che crede (però può avere una sedia a rotelle) e non lo avrà colui che non crede dimostrando che la scienza tende a risolvere i problemi mentre la fede si limita ad annientare le persone in essa; nell'attesa della provvidenza.
Il cristiano ha paura: vuole che il Dio padrone lo rassicuri. Vuole che la sua azione sia la gloria del suo Dio padrone e cerca le regole del Dio padrone. Chi pratica la scienza cerca di oggettivare quanto incontra. La sensazione, il concetto, si trasforma in possibilità teorica che permette, date le condizioni considerate, di riprodurre i medesimi effetti.
La scienza fa volare il più pesante dell'aria; la fede uccide gli uomini, ma non fa gettare le montagne nel mare. Colui che prega ha paura perché la sua preghiera non fa gettare le montagne nel mare e, dunque, il Dio padrone non lo sta ascoltando.
Qualunque cosa il cristiano, praticando la scienza, può scoprire, non riesce a trovare il suo Dio padrone. Questa è l'angoscia di Nietzsche: la dose di eroina che assume non gli consente di costruire le relazioni fra sé e i fantasmi che abitano i suoi deliri. Rimane un drogato che dopo aver scritto l'Origine della Tragedia ha iniziato a farneticare dando corpo e sostanza ai suoi deliri allo stesso modo con cui il cristiano, nei suoi deliri, definisce l'onnipotente che gli parla e che abita i suoi desideri.
Umberto Galimberti vorrebbe spacciarci i deliri di Nietzsche come una condizione filosofica allo stesso modo con il quale gli esistenzialisti hanno spacciato la malattia mentale delirante di Kierkegaard per filosofia. I manicomi sono peni di persone che delirano attorno al Dio padrone, così come i centri per il recupero di tossicodipendenti sono pieni di persone che delirano come Nietzsche anche senza conoscere Nietzsche: e allora perché scegliere proprio Kierkegaard e Nietzsche e non altri fra tutti quelle migliaia di persone che vengono riempite di psicofarmaci? Eppure gli psichiatri hanno compilato tonnellate di rapporti sulle farneticazioni dei loro pazienti.
Ai tempi di Nietzsche, credere nella legge era credere nell'arbitrio assoluto del Dio padrone, o dello Stato padrone, che dicono all'uomo: "Io sono il tuo dio, il tuo Dio padrone, che ti ha tratto dall'Egitto casa di schiavitù ." E se non fai quello che voglio io, io ti ammazzo.
Credere nella legge, oggi, significa credere nell'uguaglianza dei diritti dell'uomo con i diritti del Dio padrone; nei doveri del Dio padrone nei confronti dell'uomo che lo giudica per delitto.
La nostra ragione è un'isola in un immenso mare sconosciuto. Tuttavia la scienza e la psiche dell'uomo affronta quel mare e trae da quel mare nutrimento per la propria ragione rendendola sempre più forte e attiva, al contrario, la fede tende a ridurre la conoscenza della ragione anteponendo i fantasmi della verità "In verità, in verità ti dico " alla continua ricerca del vero che l'uomo mette in atto attraverso il suo abitare il mondo e accumulando esperienza esistenziale.
Scrive Umberto Galimberti:
Il destino e l'illusione della libertà
E' una previsione che prende le mosse da "ciò che sta", quindi dal "destino". E allora (e qui nasce il secondo problema) quanti credono agli oroscopi, che fiducia hanno nella propria libertà, che è tale solo se prescinde dall'idea di destino? A meno che, sublimata nella danza delle stelle, non ci sia, ben nascosta e mai ammessa, la persuasione che lo spazio della nostra libertà è estremamente ridotto rispetto a quello che l'astrologia chiama "destino" e la scienza "determinismo".
E' allora, nate l'una in opposizione all'altra, scienza e astrologia rispondono entrambe al bisogno di sconfiggere l'ignoto, per poi giungere all'inconfessata conclusione che di ignoto non c'è proprio nulla, se tutto è deciso dal destino o dal determinismo più rigoroso. Ce ne dà conferma Goethe, in una riflessione del 1811 sulla sua vita:
Venni al mondo a Francoforte sul Meno il 28 agosto 1749, al dodicesimo tocco di mezzogiorno. La costellazione era propizia. Il Sole si trovava nel segno della Vergine; Giove e Venere erano in buon aspetto con il Sole; Mercurio non era sfavorevole, Saturno e Marte neutri; solamente la Luna, piena quel giorno, esercitava la propria forza di riverbero, tanto più potente giacché la sua ora planetaria era iniziata. Si oppose dunque alla mia nascita fino a quando quest'ora non fu trascorsa. Questi buoni aspetti, molto apprezzati in seguito dagli astrologi, rappresenteranno senza dubbio il motivo per il quale sono rimasto in vita. Infatti, per l'inettitudine dell'ostetrica, pensarono che fossi morto venendo al mondo e fu solo dopo numerosi sforzi che vidi la luce."
Sappiamo che la luce ha parentela con il sole e con le stelle, ma è pur sempre nella storia che dobbiamo nascere, e la storia è piena di inciampi a cominciare dall'inettitudine di un'ostetrica. Per questo scrutiamo le stelle, ma ormai con quell'occhio obliquo che vuol piegare il loro corso alla buona riuscita dei nostri progetti. Perdita della misura e dell'innocenza dello sguardo, che si muove in uno spazio che non è garantito neppure dall'aristotelico "cielo delle stelle fisse", perché anche questo cielo è tramontato per noi.
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Diciamo che Goethe credeva nel Dio padrone. Si è nutrito fin dall'infanzia nel Dio padrone e nelle sue opere ha esaltato il Dio padrone. Detto questo: il cristiano che ha subito violenza nell'infanzia, non riuscirà mai a liberarsi dall'idea del Dio padrone che condiziona la sua vita anche quando riformulerà in maniera soggettiva e personale tale idea per limitarne l'azione nella sua vita quotidiana.
Goethe non è l'eccezione, è la regola. Il destino del Dio padrone, per lui, era scritto nelle stelle, come era scritto nelle stelle il destino di Gesù con i magi che certificavano la sua discendenza divina. Il destino era scritto perché il Dio padrone, creatore dell'universo, scrive il destino di ognuno di loro e loro vivono per "come Dio vuole che vivano". Si tratta del destino di quell'"eterno ritorno" esaltato da Nietzsche secondo cui ogni uomo è destinato a ripetere il medesimo gesto.
Se il termine destino sta ad indicare quanto afferma Galimberti, appare ovvio che la ricerca dell'interpretazione del disegno del Dio padrone è frutto di malattia mentale. Galimberti dice che destino significa, "ciò che sta". Le persone non cercano "ciò che sta" (questo lo facevano gli Auguri a Roma), i cristiani cercano di sapere ciò che sarà nei disegni del Dio padrone. Nel farlo pregano affinché i loro desideri di dominio coincidano con il destino stabilito dal loro Dio padrone.
Da qui l'impossibilità del cristiano di vivere una qualsiasi forma di libertà psicologica.
L'illusione della fede nel Dio padrone costruisce la schiavitù che porta alla sottomissione e all'obbedienza. Questa obbedienza non può essere disattesa perché alla psiche del cristiano si presentano i "sensi di colpa" marchi imposti nella sua psiche fin dall'infanzia.
Nel cristiano non può esserci libertà. Il Dio creatore è il suo padrone e il cristiano non concepisce una legge che condanni i delitti del suo Dio padrone. Per questo subisce i delitti del suo Dio padrone e li reitera nella società in cui vive per la gloria del suo Dio padrone. Il cristiano vive l'angoscia di un'esistenza che gli nega continuamente la possibilità di veicolare il suo delirio di onnipotenza.
Il cristiano si agita, esce dall'obbedienza al suo Dio padrone cercando conforto in un'altra obbedienza. Come nell'uno dei neoplatonici, nel logos degli stoici. Il cristiano si oppone al cristianesimo attraverso le sue personali eresie. Oppure si fa musulmano cercando un Dio padrone che non trova nel cristianesimo. Oppure si fa buddista cercando di annullare un presente che ogni giorno gli presenta un nuovo conto emotivo da saldare. Oppure si fa Testimone di Geova nella convinzione che lui sarà colui che macella tutti gli altri. Davanti al soldato che punta il fucile alla testa della bambina, il cristiano si augura di essere il soldato che spara nella testa della bambina. Il cristiano sceglie fra il Dio padrone e mammona, ma solo con mammona può fare la volontà del Dio padrone sparando nella testa dei bambini [II Re 2, 23-24].
Il cristiano cerca il suo Dio padrone, ma dopo aver vissuto nel deserto esistenziale, trova solo deserto nel quale annulla la propria esistenza.
Chi si stupisce se il cristiano cerca sollievo negli oroscopi? Lentamente va verso la morte chi non è stato in grado di vivere.
Per il cristiano non c'è libertà: o annienta la sua struttura desiderante trasformando la sua vita in angoscia o è destinato ad essere gettato là dove "c'è freddo, fame e stridor di denti". E il cristiano corre dall'esoterista per farsi fare l'oroscopo.
Nel cristianesimo non esiste libertà, solo angoscia e distruzione.
Marghera, 27 maggio 2016
NOTA: Le citazioni sono tratte da "Cristianesimo La religione dal cielo vuoto" di Umberto Galimberti editore Feltrinelli 2012
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Marghera, 27 maggio 2016 Claudio Simeoni Meccanico Apprendista Stregone Guardiano dell'Anticristo Tel. 3277862784 e-mail: claudiosimeoni@libero.it |
Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.