Umberto Galimberti (1942 - vivente)

Protologia ed escatologia - capitolo cinque

di Claudio Simeoni

Cod. ISBN 9788827811764

La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume

 

Filosofia Aperta - seconda parte (del volume)

 

Protologia e escatologia in
"Cristianesimo, la religione dal cielo vuoto"

 

Le affermazioni di Umberto Galimberti mi ricorda il mio processo.

Andavo per la strada, su un marciapiede, ed urtai con la spalla una persona che veniva in senso contrario. Istintivamente dico "scusa", ma un membro della Polizia di Stato vede la scena, mi blocca e mi ammanetta. Vengo portato dal Pubblico Ministero che mi accusa di "tentato omicidio". Io dico al Pubblico Ministero "l'ho solo urato con la spalla!". Appunto, replica il Pubblico Ministero, per me è tentato omicidio.

Affermare di un oggetto che abbia una dimensione protologica in contrapposizione ad una dimensione escatologica è come quel Pubblico Ministero (se volete vi do il nome e cognome) che, anziché osservare i fatti, vaneggia per imporre i suoi interessi.

Il Mito aveva una dimensione escatologica? Che era l'arrivo di Ercole all'Olimpo a cui Hera offre Ebe? Che cos'era la rinascita di Dioniso dopo lo smembramento dei Titani? Il Mito ha una dimensione protologica? Dipende se ci riferiamo al venir in essere della realtà intesa come una realtà formata da Coscienze in continua trasformazione, che chiamiamo Dèi, o se ci riferiamo al concetto Giobertiano che trasforma in "scienza del Dio padrone" il sorgere dell'idea del dio-padre-padrone nell'individuo violentato dall'educazione cristiana.

Il Mito è relazione, dell'uomo che si trasforma in un dio, con gli Dèi nel mondo. Il percorso delle relazioni che modificano sistematicamente la coscienza dell'uomo è la religione.

Solo le religioni monoteiste e quella buddista spacciano la "redenzione" come una dose di eroina; le religioni precristiane e prefilosofiche erano legami dell'uomo col mondo in cui l'uomo vive. Questi erano legami divini, legami emotivi, che indicavano legami fra Dèi in perenne trasformazione in un mondo in perenne trasformazione, sono i legami dell'uomo, come di ogni soggetto della natura, nel mondo in cui vive.

Il significato che Galimberti attribuisce al termine religione in questo paragrafo, è un significato terrorista e, come Galimberti dovrebbe sapere. Quello era il significato che caratterizza la religione dell'odio e della schiavitù qual è la religione cristiana, ebrea, musulmana e buddista.

Tale significato provocò molti atti di terrorismo contro i non cristiani in Italia finché la Corte di Cassazione modificò il significato di religione proprio per fermare il terrorismo di personaggi, fondamentalisti cattolici, come Umberto Galimberti.

Scrive Umberto Galimberti:

La differenza tra la dimensione protologica del mito e la dimensione escatologica della religione

Occorre tenere rigorosamente distinti il mito dalla religione, ed evitare quella confusione che nasce ogni volta che si parla ad esempio di "mito giudaico-cristiano" o di "religione greca". Il mito è ricerca dell'origine, sua ripresa e riproposizione, la religione è annuncio di redenzione, sue figure sono la speranza e la fede in ciò che ha da venire. Il mito, come scrive Sergio Ouinzio, è protologico, perciò il suo sguardo è rivolto al passato, o al presente in cui il passato ritorna secondo la visione ciclica del tempo, mentre la religione è escatologica, perciò il suo sguardo è rivolto al futuro, o al presente concepito come attesa di redenzione e salvezza.

Dove la religione interseca il mito, il mito si estingue. La fede nel futuro vince sulla riproposizione del passato, la speranza liquida la nostalgia, perché lo sguardo si rivolge a ciò che deve ad-venire, non più a ciò che deve ritornare. Del resto il termine greco n6stos significa "ritorno", e l'attesa del ritorno è alla base di tutti gli atteggiamenti "nostalgici". 2 Riprendendo Plutarco, Nietzsche ci ricorda:

Come una volta ai tempi di Tiberio i naviganti greci udirono in vicinanza di un'isola solitaria lo sconvolgente grido: "Il grande Pan è morto", così per il mondo ellenico risuonò ora come un doloroso lamento: "La tragedia è morta!"

Non si dà infatti tragedia nello scenario dischiuso dalla fede e dalla speranza, perché qui il dolore acquista un senso e, in prospettiva escatologica, una soluzione; ma allora, come avverte Goethe, "dove è possibile una compensazione, la tragicità vien meno". Commentando l'espressione di Goethe, Jaspers annota:

Il cristiano credente non riconosce più una vera e propria tragicità. Quando la redenzione è già avvenuta e si rinnova costantemente attraverso la grazia, le miserie e le sventure del mondo, anche se esasperate nella più pessimistica delle concezioni, si convertono, per questa fede non tragica, in un mezzo di prova per l'uomo, attraverso cui egli consegue la salute eterna dell'anima. L'esserci del mondo è un accadere sotto la guida della Provvidenza. Qui tutto è solo un transito, un passaggio, mai una realtà ultima."

Pag. 93 – 94

Galimberti per la sua riflessione fra religione e Mito parte dalle affermazioni di un fondamentalista cristiano, il teologo Sergio Quinzio. Il punto di vista che Galimberti ha assunto come base per la sua riflessione è quella dell'integralismo cattolico che tende a giustificare come ideologia umana.

E' un mito la ricerca dell'origine o l'origine è definita come un mito?

L'escatologia è un dato di realtà o è delirio? Quando è delirio e quando l'escatologia può essere pensata come oggetto?

La distinzione che fa Galimberti è arbitraria. Il cristiano interpreta il Mito in funzione della promozione dell'ideologia cristiana. Nell'interpretazione cristiana, il Mito cessa di avere un significato legato all'esistenza dell'uomo per ridursi a certificazione del cristianesimo come "religione naturale dell'uomo".

Il tragico non appartiene al Mito. Al Mito appartiene la vita e la morte e, in questo spazio, le contraddizioni dell'esistenza vissute emotivamente. Il cristiano vive la tragedia come realtà della propria vita: nato nel peccato è affranto dal dolore e dalla colpa che ne travolge l'esistenza in una perenne attesa di redenzione di cui non ha né il controllo né la libertà di accedervi. Solo il Dio padrone cristiano decide salvezza o condanna in base al proprio capriccio. Il Dio padrone cristiano non ha regole, non ha dignità, non ha valori morali, non ha progetti perché il Dio cristiano non ha un futuro in cui si trasforma.

L'escatologia del Mito non può essere colta dal cristiano esattamente come l'escatologia del marxismo non può essere colta da Galimberti. Se Galimberti non ha un padrone che gli dice che cosa deve fare, salvo fregarsene di quello che fa Galimberti perché lui decide del destino esistenziale di Galimberti, Galimberti è smarrito e ossessionato dalla ricerca della benevolenza del suo Dio padrone. Come Heidegger e Jaspers. Dal momento che Marx non dice a Galimberti che cosa Galimberti deve fare per aver la vita eterna, Galimberti non è in grado di vivere la sua vita quotidiana perché questa non è finalizzata al suo desiderio di eternità o di salvezza educazionalmente imposta.

Il Mito non è origine, il mito è il presente che si manifesta nella struttura emotiva dell'individuo. Il Mito è RELIGIONE perché il Mito lega l'individuo ad ogni soggetto del mondo, descrive il vivere e gli adattamenti dei soggetti, le loro trasformazioni che, costruite nel passato, agiscono nel presente per preparare il futuro.

L'attesa del "ritorno" è la certificazione della sconfitta esistenziale dell'individuo esattamente come l'attesa della provvidenza è la certificazione dell'impotenza dell'individuo nell'affrontare le sue condizioni.

Plutarco può raccontare quello che vuole: le piante sono cresciute, generazione dopo generazione; gli animali si sono accoppiati, generazione dopo generazione; i boschi si sono espansi e ritratti nei territori, generazione dopo generazione; gli uomini sono nati, generazione dopo generazione; in tutti questi atti e in tutte queste trasformazioni, Pan ha agito costruendo il futuro degli Esseri Vegetali, degli Esseri Animali compreso l'Essere Umano.

Che cos'è morto?

E' morta la capacità di Plutarco di abitare il mondo. E' morta la relazione che Plutarco ha col mondo. E' morta la comprensione del mondo e della vita di Plutarco. Questa sconfitta esistenziale di Plutarco gli fa vivere quel senso nostalgico che si riversa nella tragedia della propria esistenza che finisce nel nulla e che ha colto lo spegnersi di Pan dentro di sé: PLUTARCO E' MORTO!

Il morto, che ancora rantola nella società umana aggrappandosi alla parola dopo che le sue emozioni sono svanite, si aggrappa ai propri deliri di onnipotenza in una fede e in una speranza che lo conducono a risolvere la sua esistenza nel nulla. Nel nulla ha vissuto e nel nulla, ammantato da una nostalgia di desideri inappagati, conclude la sua esistenza.

Ciò che afferma Jaspers, citato da Galimberti, è la disperazione di Jaspers che Galimberti fa propria. Il fallimento esistenziale è una tragicità dolorosa vissuta dal cristiano e l'illusione fideistica con cui la descrive porta nella sua testa un'idea di tragicità assoluta con cui nascondere e coprire la tragicità del suo vissuto. In questa condizione Galimberti immagina una tragicità che giustifichi la tragicità in cui ha chiuso la sua esistenza.

Vuoi mettere quanto sia "escatologico" la promessa del paradiso del pederasta in croce, che Galimberti non considera un pederasta in croce, ma il suo salvatore, il suo pane della vita, rispetto ad un Marx che dice: "l'operaio non vende all'impresa il suo lavoro, ma vende all'impresa la sua capacità di lavorare" e con questa coscienza, messa in atto nella sua vita, aggiungo io, trasforma la morte del corpo fisico in nascita del corpo luminoso mentre, Galimberti, che attende il pederasta in croce che gli spacci una dose di eternità, vive la sua tragedia esistenziale che sublima nell'angoscia e nel dolore esattamente come Ilvo Diamanti scrisse l'elogio alla sua tristezza esistenziale sublimando il suo fallimento esistenziale.

Il grazioso Jaspers, portatore di grazia del suo Dio padrone, affronta le miserie e le sventure del mondo portando miseria e sventura nel mondo con l'ideologia cristiana e nazista convertendosi in quel delirio di onnipotenza che azionando le camere a gas "consegue la salute eterna dell'anima".

"L'esserci del mondo è un accadere sotto la guida della Provvidenza" il che, detto da Jaspers e da Galimberti, diventa la guida dell'uomo della provvidenza, quell'Hitler desiderato che scende dalle nubi con grande potenza a dividere il grano dall'olio e alimentare le camere a gas.

E per Galimberti, citando Jaspers, le camere a gas, il razzismo, l'odio esercitato dal cristianesimo nei confronti degli uomini "Qui tutto è solo un transito, un passaggio, mai una realtà ultima."

Nel Mito tutto è realtà ultima perché ogni pulsione emotiva si esprime nel presente vissuto in quanto gli Dèi stanno agendo ora e Pan alimenta generazione dopo generazione, inseguendo le Ninfe e le greggi su tutta la terra ed oltre il tempo del mutamento in cui il presente si esprime.

Marghera, 02 giugno 2016

NOTA: Le citazioni sono tratte da "Cristianesimo – La religione dal cielo vuoto" di Umberto Galimberti editore Feltrinelli 2012

 

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Marghera, 02 giugno 2016

Claudio Simeoni

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La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.