Settimo volume:
cristianesimo, nazi-fascismo, identitarismo e sovranismo
la genesi dell'assolutismo
capitoli del settimo volume della Teoria della filosofia aperta
Perché partire dalle affermazioni di Platone per parlare della "possessione" o dell'"invasamento" come rappresentato dalle Baccanti o dai coribanti o, se vogliamo, dagli "sciamani"?
Perché le affermazioni di Platone sono state le affermazioni vincenti nella storia. Sui roghi cristiani bruciavano le donne "possedute dal demonio" e gli stessi eretici, bruciati sui roghi, erano, per i cristiani, dei posseduti dal demonio.
Per contro, i cristiani affermano che i loro "libri sacri" sono stati scritti dal loro Dio che ha usato i profeti come strumenti esattamente allo stesso modo con cui il Socrate di Platone dice degli Dèi che possedendo le persone li trasformano in poeti rendendoli capaci di raccontare cose che altrimenti non saprebbero raccontare. Per Platone, il poeta è un incapace, un incompetente, che solo perché un Dio lo possiede diventa in grado di scrivere poesia, epica o quant'altro.
Prima di presentare cosa dice Platone, va affermato un concetto antitetico alle affermazioni di Platone: gli Dèi non possiedono corpi fisici, gli Dèi, un infinito numero di Dèi, concorrono a formare il corpo fisico di ogni vivente della Natura. Il fatto che i viventi della Natura adattino la loro coscienza alle condizioni che trovano nascendo facendo diventare quell'adattamento la forma della loro ragione, con cui agiscono nel mondo, non esclude, in modo assoluto e definitivo, tutte le infinite possibilità della forma che la loro coscienza avrebbe potuto prendere, in condizioni diverse, e che sono state scartate per permettere a quella coscienza di rappresentare il soggetto davanti al mondo. La pratica della "Follia controllata" in Stregoneria altro non è che la capacità del soggetto, che pratica Stregoneria, di far emergere coscienze diverse a seconda delle necessità d'azione che richiedono i problemi che affronta.
A questo punto c'è l'affermazione che deve essere fatta: non c'è un Dio che mi possiede, ma sono io che apro la mia coscienza a quel Dio, che è parte di me, attraverso le mie emozioni che sono capaci di cogliere le emozioni del mondo nella qualità di quel Dio e che la mia coscienza media dando a quelle emozioni una forma razionale sotto forma di intuizione, di storia, di racconto, di musica, di pittura, di poesia, ecc.
Io sono il Dio; nessun Dio mi possiede. Evocando quel Dio, fra gli infiniti Dèi presenti in ogni Essere della Natura, dentro di me ho aperto la mia coscienza a spazi diversi dell'esistenza. Ho aperto la mia coscienza ad altre coscienze che vivono in potenza dentro di me e che sono me, sia quando le faccio emergere che quando le relego in un sottofondo psicologico.
E' l'arte della Stregoneria: accedere all'immenso che ci circonda mediante la nostra struttura emotiva che, attraverso la volontà applicata alla nostra necessità, modifica la nostra coscienza capace di percepire quanto la coscienza razionale aveva relegato nel rumore di fondo dell'esistenza.
Scrive Platone in Ione:
SOCRATE - Ma io penso che, neppure nell'arte del suonare il flauto o in quella di suonare la cetra né nell'arte del canto con cetra, né in quella della rapsodia, tu abbia mai visto uno che sia valente interprete di Olimpo o di Tamiri o di Orfeo, o di Femio il rapsodo d'Itaca, e che, invece, solo per Ione di Efeso resti impacciato e non sappia dire quali canti reciti da buon rapsodo e quali no!
IONE - Su questo non ho nulla da obiettarti, o Socrate. Ma so di certo questo: che, quando io parlo di Omero, parlo meglio di tutti e ho facilità di parole, e anche gli altri lo riconoscono; invece, sugli altri poeti no! Vedi un po' tu quale sia la ragione di questo fatto.
SOCRATE - Lo vedo, o Ione, e cercherò di far vedere anche a te come mi pare stia la cosa. Questa che ti fa parlare tanto bene su Omero, come dicevo poco fa. non è un'arte: ciò che ti muove è una divina forza, come nella pietra che Euripide ha chiamato «Magnete» e che la gente chiama "Eraclea". Anche questa pietra, infatti, non solo attira gli anelli di ferro, ma infonde altresì una forza negli anelli medesimi, in modo che, a loro volta, essi possano produrre questo stesso effetto della pietra e attrarre altri anelli: e in questo modo, talvolta, si forma una lunga catena di anelli che pendono l'uno dall'altro. E tutti quanti dipendono dalla forza di quella pietra! Così, anche la Musa rende "i poeti" ispirati e attraverso questi ispirati, si forma una lunga catena di altri che sono invasati dal dio. E, certo, tutti i buoni poeti epici non per possesso di arte, ma perché sono ispirati e posseduti dal dio compongono tutti questi bei poemi, e, così, anche i buoni poeti melici: e come i coribanti danzano fuori di senno, così, fuori di senno, i poeti melici compongono i loro bei carmi, e quando entrano nell'armonia e nel ritmo, sono invasati e squassati da furore bacchico. E come le baccanti, allorché sono invasate, attingono ai fiumi miele e latte e invece allorché sono in senno non lo sanno fare, così si comporta anche l'animo dei poeti melici, come essi stessi dicono. Infatti, proprio i poeti ci dicono che attingono i loro canti da fonti che versano miele e da giardini e da boschetti che sono sacri alle Muse, e che a noi li portano come fanno le api, anch'essi volando come le api. E dicono il vero! Infatti, cosa lieve, alata e sacra è il poeta. e incapace di poetare, se prima non sia ispirato dal dio e non sia fuori di senno, e se la mente non sia interamente rapita. Finché rimane in possesso delle sue facoltà, nessun uomo sa poetare o vaticinare. Dunque, poiché non per arte poetano e dicono molte e belle cose intorno agli argomenti di cui trattano, come tu intorno ad Omero, bensì per sorte divina, ciascuno dei poeti può fare bene solamente ciò a cui la Musa lo spinge: chi ditirambi, chi encomi, chi iporchemi, chi poemi, chi giambi; per tutto il resto, invece, ciascuno di essi non vale nulla. In effetti, non per scienza compongono i loro carmi, ma per una forza divina, perché, se sapessero parlare bene di una cosa per arte, saprebbero parlare bene anche di tutte le altre. E il dio toglie loro la mente e si serve di loro come di ministri, così come fa con i vati e con i profeti, perché noi, ascoltandoli, possiamo comprendere che non sono essi che dicono cose tanto mirabili, dal momento che la loro mente non è in loro. ma che è il dio stesso che le dice, e parla a noi attraverso loro. E la prova più grande di quanto sto dicendo è Tinnico di Calcide, il quale non compose alcun carme degno di ricordo. ma solo il peana che tutti cantano, che è forse il più bello di tutti i canti e che, come dice lui stesso, è interamente "invenzione delle Muse", Soprattutto in questo caso a me pare che il dio abbia voluto chiaramente dimostrarci, perché non avessimo alcun dubbio, che quei bei poemi non sono umani, né opera di uomini, ma che sono divini e opera di dèi, e che i poeti non sono altro che interpreti degli dèi, in quanto ognuno è posseduto da quel dio che lo possiede. E, per dimostrare ciò, il dio per bocca del poeta del più modesto valore cantò il canto più bello. Ti pare che dica il vero, o Ione, oppure no?
IONE - Sì, per Zeus! Tu mi tocchi l'anima con questi ragionamenti, o Socrate! Pare anche a me che i buoni poeti siano, per divina ispirazione, gli interpreti degli dèi presso di noi! La divina ispirazione si infonde anche nel rapsodo e coinvolge gli ascoltatori
SOCRATE- E voi rapsodi, dal canto vostro, non interpretate le opere dei poeti?
IONE - E' vero anche questo.
SOCRATE - E, dunque, non siete voi interpreti di interpreti?
IONE - Certamente.
SOCRATE - Allora dimmi anche questo, o Ione, e non nascondermi ciò che ti chiedo. Quando tu reciti bene dei versi e commuovi profondamente gli spettatori, sia che tu canti Odisseo che balza sulla soglia di casa e appare ai Proci spargendo le frecce ai suoi piedi, o Achille che si lancia su Ettore o qualcuna delle sventure di Andromaca, o di Ecuba, o di Priamo: ebbene, in quel momento, sei in possesso della tua ragione o sei fuori di te, e l'anima tua per ispirazione divina crede di essere presente ai fatti che narri, sia che essi avvengano in Itaca, a Troia o in altro luogo qualsiasi cui si riferiscono i carmi?
IONE - Come è chiara, per me, o Socrate, questa prova che mi porti! Ti risponderò senza nasconderti nulla. Quando recito qualche cosa che muove a compassione, gli occhi mi si riempiono di lacrime; e quando recito qualcosa di pauroso e terribile, mi si rizzano i capelli sul capo dallo spavento, e il cuore mi sussulta!
SOCRATE - E allora? Diremo, o Ione, che sia in senno quest'uomo, il quale, ornato di variopinte vestì e di corone d'oro, pianga nei sacrifici e nelle feste, senza che abbia perduto nessuna di queste sue cose, o provi timore stando in mezzo a più che ventimila persone amiche, senza che nessuno lo spogli o gli faccia ingiustizia?
IONE - No, per Zeus, o Socrate, a dire il vero.
SOCRATE - E non sai che sulla maggior parte degli spettatori voi producete questi medesimi effetti?
Platone, Dialogo Ione, da: Platone, Tutti gli scritti, Editore Bompiani, 2014, pag. 1026 - 1028
Platone afferma che i poeti non hanno la capacità di raccontare storie, possono solo scrivere ciò che detta loro il Dio che li possiede.
E' in quest'ottica che noi possiamo iniziare a comprendere il movimento delle Baccanti e l'azione di Dioniso nell'alimentare quel movimento. La contrapposizione è fra la "donna addomesticata" e la "donna selvaggia". Se preferite, la contrapposizione è fra la "donna del dovere sociale" e la "donna che desidera". Che desidera, soprattutto, liberarsi del dovere sociale in funzione della soddisfazione del propri bisogni e desideri.
La società greca, per quanto ci è descritta dalla filosofia Platonica e aristotelica, viveva sulla repressione dell'elemento femminile nella società. Una repressione talmente violenta che la società preferiva l'esaltazione dell'omosessualità che negava il diritto delle donne ad essere cittadine. Platone stesso parla della donna come la vacca che produce figli in funzione dei bisogni della Repubblica indicando nelle donne la reincarnazione di tutti gli uomini malvagi e, con questo, legittimando il diritto di vessare le donne in quanto malvagi nella vita precedente.
Per Platone tutto deve essere sottomesso alla "ragion di Stato" che lui, in quanto filosofo, governa con saggezza.
Per Platone, a questo punto, appare ovvio che le Baccanti, le Menadi, i Satiri, ecc. altro non sono che individui invasati dal Dio. Per fare questa affermazione, presuppone l'esistenza di un Dioniso che spinge le donne al delirio bacchico. Un Dio che possieda uomini e donne ordinando loro cosa fare e che cosa non fare.
Ora, partendo dalla riflessione sulla società greca all'epoca di Platone, chi spinge le donne al delirio bacchico è una società incapace di coniugare le necessità sociali con le necessità soggettive, i desideri, di chi compone quella società.
La domanda che ci si pone è: è arrivato prima il delirio bacchico che ha agito in una società come pensata da Platone, o Platone ha pensato il suo modello di società in presenza di un sistema religioso e poetico che favoriva il delirio bacchico?
In che cosa consisteva il "delirio bacchico"?
Intanto, chiariamoci i fondamenti per cui chiamiamo affermazioni e comportamenti: "deliri".
Riporto il fondamento dall'Enciclopedia di Psicologia di Umberto Galimberti alla voce "delirio":
Delirio
Idea o insieme di idee che, pur non avendo nessuna corrispondenza con i dati della realtà, non cedono né agli argomenti della discussione, né alle smentite dell'esperienza. Di importanza centrale nella visione del mondo del delirante, dette idee risultano inaccettabili alle persone che appartengono al suo stesso ambito culturale. Si è soliti distinguere un delirio lucido dove il soggetto è calmo e presente nella realtà in cui vive, da un delirio confuso che insorge e si accompagna a un'alterazione dello stato di coscienza. K. J aspers distingue tra idee deliroidi (wahnhafte /deen) e vere e proprie idee deliranti (echte Wahnideen): le prime sono alla base dei deliri cosiddetti comprensibili perché riconducibili a contenuti psichici che in qualche modo li giustificano, come un delirio di rovina in una fase depressiva o in una situazione particolare quale la carcerazione o l'isolamento sociale, le seconde si trovano alla base dei deliri incomprensibili che sono per Jaspers quelli tipici della schizofrenia e della paranoia ( .... psicologia comprensiva). Di condizione deliroide parla anche E. Kretschmer a proposito del delirio paranoico che non evolve in schizofrenia, ma si cristallizza «incistandosi» nella personalità dell'individuo senza ulteriori elaborazioni, oppure si spegne totalmente.
Questa è la prima parte della voce "Delirio" dall'Enciclopedia di Psicologia di Umberto Galimberti, editore Garzanti, 2001, pag. 279.
Sembra abbastanza chiaro che il delirio non è sempre patologicamente identificabile, ma spesso viene vissuto dalle persone come una sorta di "naturale esistenza" non sottoponendo le idee deliranti a verifica e ad analisi, ma vivendole come fossero "naturali".
Il delirante delira perché quella è la condizione della sua esistenza e lui non ritiene vera altra condizione della propria esistenza se non all'interno di quel delirio.
Per contro, l'ambiente in cui il delirante delira riesce a riconoscere quelle idee come deliranti solo se le idee espresse nel delirio confliggono in maniera pesante con le idee socialmente accettate e riconosciute come "naturali" in quell'ambiente.
Il delirio ha la caratteristica di poter diventare "delirio oggettivo di un ambiente culturale" che si oppone ad idee che possono mettere in discussione l'oggettività del delirio oggettivamente accettato dall'ambiente stesso. Oggi sappiamo che l'idea secondo cui il Sole girava attorno alla Terra era un'idea delirante mentre qualcuno sosteneva che l'idea secondo cui la Terra girava attorno al Sole era un'idea delirante.
Ne segue che, diventa normale, a questo punto, verificare la nascita di conflitti, più o meno violenti, fra idee deliranti che si contendono il controllo dell'oggettività in cui si esprimono e idee deliranti che si contrappongono a necessità razionali socialmente espresse.
Scrive Galimberti a proposito della Genesi del delirio:
Genesi del delirio
I contributi più significativi in proposito vengono dalla psichiatria a indirizzo fenomenologico (analisi esistenziale) e dall'antipsichiatria (psichiatria). Partendo dalla persuasione che ciascuno di noi ha una particolare visione del mondo in base alla quale organizza il reale, quando questa visione, che è comunque differente da individuo a individuo, oltrepassa un certo limite di condivisibilità siamo in presenza di un delirio. G. Jervis sottolinea che a destrutturarsi è innanzitutto la categoria della familiarità con cui ciascuno di noi è solito trattare le cose come estranee o familiari. In condizioni di isolamento, di oppressione o di esclusione è possibile che la familiarità delle cose ceda a favore di una loro totale estraneità che richiede, per poterle padroneggiare e per ridurre l'ansia che sempre accompagna l'incontro con cose estranee, una riorganizzazione del mondo in base a un'idea che consenta di ricondurre tutte le cose a punti di riferimento che, anche se non corrispondono al reale, consentono al soggetto di riconoscerle, evitandogli l'esperienza di abitare un mondo del tutto estraneo. Un secondo motivo che può essere alla base di una formazione delirante è, sempre per Jervis, la condizione di passività che comporta la sensazione di essere dominati dalla realtà senza poteri a determinare. Per liberarsi da questa oppressione c'è la possibilità, attraverso il delirio, di inventarsi una realtà o dei nessi di realtà che consentano al delirante un minimo di controllo. Lo stesso può dirsi per le condizioni di isolamento dove vie n meno l'interpretazione sociale comune della realtà, soppiantata da un'interpretazione privata. Queste due condizioni, scrive Jervis, si influenzano reciprocamente: "L'esperienza di passività e l'esperienza di isolamento si rafforzano a vicenda: chi si sente passivizzato dagli avvenimenti e dalla situazione in cui si trova, tende a essere isolato dagli altri e a isolarsi dalla realtà; chi è in situazione di isolamento dagli altri tende a sentirsi passivizzato, influenzato, minacciato e impotente rispetto agli avvenimenti" (1975, p. 245).
Questa è parte della voce "Delirio" dall'Enciclopedia di Psicologia di Umberto Galimberti, editore Garzanti, 2001, pag. 279.
Va da sé che la condizione per affermare che un insieme di idee e di comportamenti sono deliranti avviene quando "una visione oltrepassa un certo limite di condivisibilità siamo in presenza di un delirio".
E' come se dicessimo che tutte le idee soggettive sulla realtà del mondo sono tutte idee deliranti e continuano ad essere idee deliranti fintanto che non si forma una condivisibilità di tali idee in un collettivo che usa quelle idee come base della cultura di quel collettivo dichiarando che tutte le idee difformi a quella forma condivisa sono, rispetto a questa, delle idee deliranti.
In questo ordine di pensiero si può dire che il processo che ha portato a fondare la razionalità in Grecia dopo l'800 a.c altro non è che un'idea delirante che si è imposta all'interno di una condivisione di una realtà che oggi appare mitica.
La razionalità ha scalzato il dionisiaco opponendosi ad esso nella costruzione del dominio sociale in quanto portatrice di interessi diversi da quelli manifestati dal dionisismo.
Le affermazioni deliranti sono tali in quanto sono espressione della soggettività con cui analizziamo e guardiano le idee che si esprimono nel mondo in cui viviamo.
"Partendo dalla persuasione che ciascuno di noi ha una particolare visione del mondo in base alla quale organizza il reale..." E' la soggettività di ogni singolo individuo che organizza il reale nel quale l'individuo vive e fintanto che questa soggettività non diventa oggettività, come patrimonio ideale collettivo, egli rimane un delirante rispetto al pensiero sociale.
La visione del mondo delle Baccanti e delle Menadi può essere considerata un delirio rispetto ad una visione razionale del mondo, ma la visione razionale del mondo è un delirio rispetto alla visione delle Baccanti e delle Menadi.
Che un individuo faccia propria la visione del mondo delle Baccanti e delle Manadi o che l'individuo faccia propria la visione del mondo razionale, rispetto all'altro è sempre un delirante a meno che quell'individuo non usi la propria volontà trasformando la propria coscienza da Baccante e da Menade quando agisce fra le Baccanti e le Menadi o la trasformi in una coscienza razionale quando agisce nella società civile fra soggetti che usano la razionalità nelle relazioni collettive.
Gli infiniti modi con cui la percezione soggettiva interpreta la medesima realtà che viviamo, abitano tutti in noi e noi possiamo scegliere a quale mondo accedere nel momento stesso che ci affacciamo al mondo in cui viviamo.
E' la nostra volontà che ha la capacità di padroneggiare i mondi a cui la nostra percezione può accedere. E' la nostra percezione che accede ad aspetti diversi del mondo in cui noi abitiamo e che definisce "mondi diversi" a seconda dei vari modi di percepire il medesimo mondo. Ogni tipo di percezione che invade la nostra coscienza ha la capacità di occupare l'intera coscienza allontanando, momentaneamente o permanentemente, ogni altro tipo di percezione che, invadendo la nostra coscienza, avrebbe la capacità di descrivere in maniera diversa la medesima realtà nella quale viviamo.
A differenza di quanto sostiene Platone nel dialogo Ione, non esiste un Dio o un Demone che ci possiede, esistiamo noi con la capacità di descrivere il mondo e con le infinite possibilità di descrivere il medesimo mondo partendo da modi diversi di percepirlo.
Il Dio non possiede il poeta, l'artista o le Baccanti. Il poeta, l'artista o le Baccanti entrano in una diversa capacità di percepire il mondo in cui vivono e da quel mondo traggono ispirazione e scopo per il quale vivere e percorrerlo.
Solo con questa premessa noi possiamo iniziare a comprendere il movimento dionisiaco e come il movimento dionisiaco, con tutta la definizione del Mito greco (che poi prende dall'oriente trasformando miti più antichi, sumeri, ittiti, accadici, anatolici, traci, siberiani, ecc.), sfocerà nel delirio razionalista in sui Platone affermerà l'esistenza di un creatore senza dimostrare quel creatore e, soprattutto, senza dimostrare la necessità degli uomini di credere nell'esistenza di un creatore o di Dèi che si impossessano del corpo degli uomini rendendoli schiavi dei loro voleri e dei loro intenti.
Marghera, 05 giugno 2023
capitoli del settimo volume della Teoria della filosofia aperta
Sito di Claudio Simeoni
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell'Anticristo
Tel. 3277862784
e-mail: claudiosimeoni@libero.it
Ultima formattazione 07 ottobre 2021
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