Orfici e cristiani

Orfeo (? a.c. - ? a.c.)
Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio (Africa 250 - Gallia 325)

di Claudio Simeoni

Settimo volume:
cristianesimo, nazi-fascismo, identitarismo e sovranismo
la genesi dell'assolutismo

capitoli del settimo volume della Teoria della filosofia aperta

Orfici e cristiani

Era l'epoca in cui la parola, il logos, il verbo, tentava di imporsi e di imprigionare l'emozione.

Anche se il Mito viene espresso mediante le parole, il Mito è conoscenza emotiva che si fa modelli da presentarsi alla ragione che trasforma quei modelli in descrizione.

La descrizione è parola, verbo, logos, dove la parola che definisce ha quel significato e solo quel significato al di là dell'insieme che quel significato determinerebbe.

Si chiama retorica: atteggiamento dello scrivere o del parlare, o anche dell'agire, improntato a una vana e artificiosa ricerca dell'effetto con manifestazioni di ostentata adesione ai più banali luoghi comuni. Dove i "luoghi comuni" sono imposti come modelli, funzionali alla retorica, fin dalla prima infanzia.

Il Mito è incomprensibile alla parola, eppure il Mito necessita delle parole per essere comunicato e condiviso. Solo che le parole che usa il Mito non hanno un significato letterale, ma hanno un significato simbolico, come il Mito stesso, e hanno un significato a seconda dell'uso e del contesto.

Lattanzio tenta di ricondurre l'orfismo alla dimensione monoteista del mondo creato dal suo Dio.

Nel farlo si serve di Ovidio.

Scrive Lattanzio:

88. [1] - Lactant. Divin. institut. I5, 13-14 p. 15, 18 Br.

Anche Ovidio, all'inizio di una sua celebre opera (Metam, I 21), afferma, senza alcuna finzione del nome, che il mondo è stato creato da Dio, da lui chiamato fabbricatore del mondo, artefice di cose. E se Orfeo o questi nostri avessero continuamente difeso le idee che concepirono sotto la guida della natura, compresa la verità, avrebbero mantenuto la stessa dottrina da noi seguita;

Lattanzio cita Ovidio nelle Metamorfosi (1,21). Scrive Ovidio (43 a.c. - 17 d.c.)

"Grazie ad un intervento divino e al miglioramento della natura, si risolse questo contrasto: la terra fu separata dall'aria e dalla terra il mare; il cielo puro fu distinto dall'aria più pesante. Ogni cosa, estratta dall'ammasso disordinato, ebbe un suo posto preciso per poter convivere in pace con le altre."

Ovidio, Metamorfosi, Editore BUR, 2006, (1,21-24), p. 47

Ovidio vive in un ambiente stoico abitato da Cicerone prima e da Seneca dopo che hanno nella creazione del Logos l'elemento centrale del venir in essere del mondo. Lattanzio sta opponendo l'idea stoica alle idee orfiche affermando che se Orfeo avesse continuato lo "studio della natura" avrebbe maturato le stesse idee dei cristiani come Lattanzio vede fare ad Ovidio.

Aggiunge Lattanzio:

88. [2] -lo stesso Epitom, 3 p. 678, 14 Br.

Orfeo parla di un dio primo, che creò il cielo e il sole con gli altri astri, la terra e i mari. E' di per sé chiaro che si deve intendere Fanes; primo è primogenerato (v. fr. 86).

Il "Dio primo" degli orfici è Phanes, Fanete, che indica la materia vivente e non attribuisce a Fanes né una volontà né un'intelligenza, ma solo un'espressione nell'esistenza. Un'espressione che il Mito trasforma in soggetto che diventa culturalmente funzionale per indicare la qualità della materia/energia che nasce dalla distruzione dell'uovo luminoso presente in Nera Notte.

Senza questa qualità della materia/energia, la vita non esisterebbe ed è proprio del Mito individuare il soggetto, non soggetto, quale condizione indispensabile per la TRASFORMAZIONE della realtà nella quale viviamo e dal quale la realtà che viviamo è venuta in essere.

Il concetto della trasformazione della realtà, il concetto del TEMPO, che agisce sugli oggetti passati per costruire il presente ed agisce sul presente per costruire un futuro possibile, è un concetto assolutamente estraneo sia per il Pitagorismo, il Platonismo che per il cristianesimo. La creazione del Dio dei cristiani, come la creazione del Demiurgo in Platone e l'Uno dei pitagorici, è una condizione statica che si modifica soltanto per intervento di Dio, dell'Uno o del Demiurgo.

Scrive ancora Lattanzio:

89. - (75) Lactant. Divin, institut. I 5, 4-6 p. 14 Br.

Afferma (Orfeo,fr. 73) che costui (Fanes) è padre di tutti gli dei, per i quali ha creato il cielo e ha provveduto che i figli avessero sede e casa comune:
Fece per gli immortali una dimora indistruttibile. Dunque, sotto la guida della natura e della ragione, comprese che esisteva una potenza estremamente forte, creatrice del cielo e della terra. Infatti, non poteva dire che il principio delle cose fosse Giove, poiché costui era stato generato da Saturno, e nemmeno lo stesso Saturno, visto che si tramandava fosse nato dal Cielo; tuttavia, non osava stabilire il Cielo come primo dio, in quanto vedeva che esso era un elemento del mondo, il quale necessitava esso stesso un creatore. Tale ragionamento lo condusse a quel dio primo-generato, cui assegna e attribuisce la supremazia.

Le deduzioni di Lattanzio sono assolutamente inappropriate perché il fatto che Orfeo individui i fattori che spingono alla modificazione della realtà esistente, non pone tali fattori a padroni o a determinatori della realtà esistente come Lattanzio pone il suo Dio. Senza Fanes, senza l'intento, proprio della materia/energia, la materia/energia non sarebbe mai passata dallo stato di inconsapevolezza allo stato di consapevolezza. Il che implica, per la frazione di materia/energia che passa dall'inconsapevolezza alla consapevolezza, esprimere la propria "necessità d'esistenza", cioè la necessità di persistere nello stato di consapevolezza; la "volontà d'esistenza", cioè la volontà di esistere anche modificando l'ambiente inconsapevole in cui esiste; "l'intelligenza" intesa come capacità soggettiva di mettere in atto le scelte migliori nelle quali esercitare la propria "volontà d'esistenza".

Gli orfici mettono molto l'accento su Cronos, il tempo, la trasformazione del presente in cui "il tempo" agisce. Il fatto che "Cronos" venga associato, sotto aspetti diversi a "Saturno" di Roma, non legittima il teologo e il filosofo metafisico, a trattare l'azione del tempo allo stesso modo con la quale i cristiani definiscono l'azione del loro Dio sulla realtà.

La realtà che viviamo è tempo. E’ trasformazione. Nulla della vita dell’universo, è al di fuori del tempo, della realtà in trasformazione. In questo si può separare la realtà che si trasforma e la trasformazione in sé come oggetto reale. Questo, però, è un altro discorso.

La citazione 89 attribuita a Lattanzio rimanda ad un'altra affermazione di Lattanzio, la 73.

Scrive Lattanzio:

73. - (57) Lactant. Divin. instit. I, 5, 4-6 p. 13, 13 Brandt.

Orfeo, che è il poeta più antico e pari agli stessi dei, se davvero si tramanda che navigò tra gli Argonauti, insieme ai Tindaridi e a Eracle, chiama il dio vero e grande "primogenerato", perché nulla è stato generato prima di lui, ma tutte le cose sono state generate da questi. Lo chiama anche Fanes, perché, quando non c'era ancora nulla, per primo apparve e si manifestò dall'infinito. E, dal momento che non riusciva a concepire nell'animo la sua origine e la sua natura, disse che era nato dall'etere infinito: il primo-generato, Phaethon, figlio di Etere immenso. Infatti, non era in grado di dire nulla di più grande.

Nota: Le citazioni di Lattanzio sono prese da: Orfici, testimonianze e frammenti, DISCORSI SACRI IN VENTIQUATTRO RAPSODIE, Otto Kern, Editore Bompiani, 2011,

Protogono o Fanes è la prima sorgente divina. E' come dire che la materia/energia è la prima sorgente divina. E' come dire l'Etere e l'immenso di Nera Notte è la prima sorgente divina. La vita esiste perché esiste un'oggettività in trasformazione che è formata da e in un ambiente che viene definito da condizioni divine perché il divino è ciò che in esso e per la presenza di esso si genera, compresi gli uomini che di quel divino possono parlare. Il fatto che il Mito dice che "non c'era nulla" prima dell'uovo in Nera Notte, non sta parlando del nulla di Nera Notte o dell'uovo; sta parlando del nulla della coscienza e della consapevolezza. Se noi possiamo parlare e definire il divino, lo facciamo per coscienza e consapevolezza. Se l'universo si trasforma, come si trasformano i soggetti nell'universo, e quella trasformazione la chiamiamo Cronos, è perché i soggetti in trasformazione sono consapevoli di sé stessi e l'azione stessa, Cronos, genera continuamente nuove Coscienze di sé che chiamiamo Dèi. E questi Dèi, come ogni Essere, si fa Cronos, tempo, perché si trasforma mutando sia sé che il mondo in cui vive.

I nostri occhi guardano l'universo e lo chiamiamo "infinito". Un termine generico che trasmette l'idea dell'immenso come il termine Olimpo designa un terreno ideale nel quale si incontrano le Coscienze di Sé che progettano nel presente.

Quando si va ad analizzare i fondamenti delle varie espressioni teologiche e di filosofia metafisica, a condurre lo sviluppo dei ragionamenti, sono i presupposti che poniamo a creare le divergenze nel modo di pensare il mondo.

Il cristianesimo di Lattanzio è il cristianesimo del libro, della parola. La parola, il verbo, il logos, immutabile del suo Dio. Ciò che Dio dice è ciò che è nel significato in cui viene detto che non ammette interpretazioni diverse dal significato della parola. Il Mito è emozione a fondamento della vita di cui la parola è un elemento simbolico che descrive e comunica per simboli una realtà vissuta che non ha parole per essere definita.

Fra chi attribuisce alla parola un valore assoluto, in quanto emanazione del Dio creatore, e chi usa la parola come mezzo per trasmettere ciò che può essere vissuto, ma non descritto, esiste un abisso concettuale che può solo generare conflitto, mai mediazione.

Di questo ne erano consapevoli i pitagorici che iniziarono a circoscrivere il Mito nei numeri e nelle dimensioni geometriche. Ne era consapevole Platone che con gli stoici trasformò il Mito in allegorie. Ne erano consapevoli i cristiani che trasformarono il Mito nel male assoluto da demolire in nome di Dio finendo per macellare uomini per la gloria di Dio.

"Aristosseno nelle sue memorie storiche racconta che Platone voleva bruciare gli scritti di Democrito, quanti ne aveva potuti raccogliere; ma che Amicla e Clinia lo dissuasero col dirgli che a nulla avrebbe giovato; i libri erano già nella mani di molti."

Tratto da: Pitagorici Antichi - Testimonianze e frammenti, Editore Bompiani, 2010, p. 655

Mentre viene attribuito ad Eraclito la frase:

"Pitagora è l'iniziatore della schiera di coloro che ingannano con le loro chiacchiere."

Diels e Kranz, I presocratici - testimonianze e frammenti, Universale Laterza, 1990, p. 213

E' evidente che siamo davanti ad una guerra che si svolge all'interno di una visione teologica e di filosofia metafisica. Uno scontro che arriverà a condizionare pesantemente l'esistenza umana descrivendo la realtà, sia fisica, etica e morale, nella quale l'uomo vive.

Ed è all'interno di questo che il delirio orfico, che si trasformerà nei "misteri dionisiaci", ha un suo senso come rimedio al delirio di onnipotenza che il demiurgo, l'Uno e il Dio creatore cristiano, imporranno sugli uomini. Ma questo è un discorso che dovrò affrontare in altra sede.

Marghera, 19 aprile 2023

 

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Claudio Simeoni

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Ultima formattazione 07 ottobre 2021

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