Cod. ISBN 9788827811764
La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume
C'è un dialogo attribuito a Platone detto "Gli amanti". E' un dialogo molto breve e c'è chi non lo attribuisce direttamente a Platone, ma alla sua scuola.
Si tratta di un dialogo semisconosciuto e che non viene quasi mai studiato. Il dialogo ha il pregio di dirci che cosa Platone, o chi usava la filosofia di Platone, intendeva farne della filosofia.
Questo dialogo è interessante perché esalta l'ignoranza delle persone. Solo il dittatore, il tiranno, il Gesù, l'Hitler di turno, il Dio di ebrei, cristiani e musulmani, può usare la conoscenza del filosofare in funzione della sua soggettività che chiama "Giustizia".
E' poco importante se il dialogo è di Platone o meno. L'attribuzione viene lasciata ai filologi o, in generale, agli studiosi. A me interessa il senso filosofico, etico e morale dell'uso che viene fatto della filosofia e che, in ogni caso, corrisponde alle intenzioni di Platone.
Come dice la "strega cattiva" alla figlia di Biancaneve parlandole con disprezzo: "Sei come tua madre, fai le azioni senza chiederti quali siano le conseguenze".
La premessa di Platone nel dialogo chiamato "Gli amanti" è questa.
Scrive Platone:
Entrai nella scuola del grammatico Dionisio e lì vidi, tra i giovani, quelli che venivano considerati i più ragguardevoli quanto a bellezza e nobiltà dei padri, con i loro amanti. Due giovinetti stavano discutendo, ma non riuscivo affatto a sentire di che cosa si trattasse. Sembrava, tuttavia, che la disputa vertesse su Anassagora, oppure su Enopide: in verità, mi pareva che tracciassero dei cerchi e imitassero delle inclinazioni, appoggiandosi sulle mani, con grande impegno. Allora io, che sedevo vicino all'amante di uno di loro. Io toccai con il gomito e gli chiesi su che cosa i giovani stessero discutendo con tanta serietà, dicendo: «Certo, dev'essere qualcosa di grande e di bello ciò a cui dedicano un simile impegno». Ed egli rispose: «Ma che grande e bello! Costoro ciarlano di astronomia e chiacchierano di filosofia». Stupito della sua risposta, gli domandai: «Giovanotto, il filosofare ti sembra forse una cosa da disprezzare? Perché parli così ostilmente?». L'altro, allora, che gli sedeva vicino, ed era suo rivale, avendo udito la mia domanda e la sua risposta, replicò: «Non è da te, Socrate, chiedere a costui se pensi che la filosofia sia da disprezzare. Non sai che ha passato tutta la vita a fare la lotta, saziarsi e dormire? Così, che cosa credevi che ti avrebbe risposto, se non che la filosofia merita disprezzo?». Dei due amanti, questo aveva sempre coltivato la musica, mentre l'altro, che egli scherniva, la ginnastica. Mi parve che si dovesse lasciar perdere quello che avevo interrogato, dal momento che neanche lui pretendeva di essere esperto nel ragionare, bensì nell'agire, e che mi convenisse rivolgermi, invece, all'altro, che presumeva di essere più sapiente, per cercar di ricavare qualcosa da lui, nei limiti del possibile. Gli dissi, dunque: «Ho chiesto la stessa cosa a entrambi. Se tu pensi di saper rispondere meglio di costui, ti faccio la stessa domanda che ho rivolto anche a lui, ossia se ti sembra che il filosofare sia bello, oppure no».
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 661---
Il fine che Platone si prefigge è abbastanza chiaro: umiliare chi ritiene che la filosofia sia l'arte del saggio o di chi cerca la conoscenza. Platone deve esaltare lo stolto, colui che non si interessa di filosofia, ma solo di ginnastica perché costui non ha argomenti da opporre alle sue affermazioni.
E' un po' la situazione che stiamo vivendo oggi dove tutti (o almeno una gran parte di persone), si interessano di sport mentre pochi di questioni filosofico-ideologiche ritenendo che il praticismo contingente richieda un'assoluta attenzione.
Si dà preferenza ai politici che affermano di risolvere i problemi mediante slogan e si ignorano i politici che mettono in atto soluzioni capaci di modificare il presente in cui viviamo perché non ci promettono il luminoso avvenire. Come per la Brexit: "usciamo, usciamo, usciamo…" ma nessuno che illustrava le conseguenze dell'uscire.
Se l'immediato della condizione umana blocca la nostra attenzione, noi agiamo nel contingente ma non ci chiediamo che cosa comporta o che cosa produrrà il nostro agire.
Platone, come Gesù, esalterà l'ignorante, colui che passa il tempo a fare ginnastica, a mangiare e a dormire, mentre tratterà con disprezzo colui che cerca di impegnarsi nei problemi sociali o che tenterà di sviluppare il pensiero astratto
E questo perché colui che vive filosofeggiando costituisce un problema per il tiranno mentre il primo, che si allena alla ginnastica, non dà nessun problema.
Se il tiranno usa la filosofia per soggiogare le persone al suo potere; quale effetto produce la filosofia quando viene usata dalle persone soggiogate al tiranno?
Che cosa dice il giovane a Socrate?
Scrive Platone:
Mi pareva, a dire il vero, che anche l'altro fosse sconvolto non meno di me; comunque, mi rispose, e con molta ambizione: «Se un giorno, Socrate, disse, dovessi pensare che il filosofare sia una cosa spregevole, non mi considererei nemmeno un uomo, e così sarebbe di chiunque altro fosse di questo parere».
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 661---
Come si può leggere, nella risposta non c'è nessuna "ambizione", ma c'è un proposito, un intento, un intendimento ad usare il coraggio di usare un metodo che, secondo lui, lo qualifica in quanto "uomo". Il filosofare non è un "ambire", è una pratica di analisi della realtà. Se io, dice il giovane, vengo meno alla mia pratica di analisi della realtà in cui vivo, vengo meno al filosofare, vengo meno al mio essere un uomo.
Dice il giovane, io non considero delle persone coloro che vivono senza analizzare e osservare il mondo in cui viviamo. La passività nell'esistenza non è un dato dell'uomo che vive nella società. La stessa cosa la afferma Pericle in Tucidide.
Risponde Platone per bocca di Socrate:
«Allora, il filosofare ti sembra una bella cosa?».
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 661---
Il punto non è se filosofare è una cosa bella o brutta, ma è se è una cosa utile per comprendere la realtà o è inutile nell'attività dell'uomo per comprendere il mondo in cui vive.
A Platone non interessa se l'attività di filosofare è utile od inutile. A Platone interessa se è bella o se è brutta. A Platone interessa rinchiudere il giovane nella dimensione dell'apparire esattamente come gli sono apparsi i giovani quando è entrato nel ginnasio.
Aveva premesso Platone:
Entrai nella scuola del grammatico Dionisio e lì vidi, tra i giovani, quelli che venivano considerati i più ragguardevoli quanto a bellezza e nobiltà dei padri, con i loro amanti.
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 661---
In quell'apparire Platone intende mantenere il discorso sulla filosofia. Un filosofare che può essere bello o brutto. Un filosofare che deve essere conchiuso in un'utilità vuota incapace di modificare la realtà nella quale si manifesta.
Quando il giovane risponde a Socrate, risponde con un discorso serio che Socrate deve dissolvere in una visione sofista di una realtà immutabile.
Scrive Platone:
«Sai, dunque - domandai - che cos' è il filosofare?». «Certo», affermò. «Allora, che cos' è?», chiesi. «Che cos'altro è, se non ciò che ha sostenuto Solone? Solone, infatti, ha detto, mi pare: Invecchio, ma continuo ad imparare sempre molte cose". Allo stesso modo, anche a me sembra che chi vuole filosofare debba sempre imparare qualcosa, sia da giovane, sia da vecchio, per apprendere il più possibile nel corso della vita». Dapprima mi parve che le sue affermazioni fossero sensate, poi, dopo aver riflettuto, gli domandai se ritenesse che la filosofia fosse erudizione.
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 661 – 662---
Socrate chiede al giovane se egli riteneva che la filosofia fosse erudizione. Ma il giovane gli aveva già risposto. Il giovane gli aveva risposto con le parole di Solone "Invecchio, ma continuo ad imparare sempre nuove cose!". Dunque, non ha detto a Socrate che la filosofia è erudizione, aveva detto che praticando filosofia, analizzando il mondo in cui viveva, imparava e apprendeva nuovi aspetti del mondo.
Questo giovane non ha detto a Socrate "So di non sapere", ma ha detto a Socrate "facendo filosofia imparo". Il giovane agisce nell'ambito di una trasformazione del sapere soggettivo. Socrate agisce come se l'erudizione fosse o non fosse. Socrate fa come farà Gesù che afferma di essere la sapienza perché, in quanto figlio del dio padrone, il dio padrone gli ha dato il sapere.
Il giovane ha detto che usando la filosofia per analizzare la realtà, imparo nuove cose. Mentre Platone fa presentare a Socrate l'erudizione come oggetto in sé e non come una condizione suscettibile di modificazione. Il giovane presenta un concetto di erudizione in continuo divenire, trasformazione e sedimentazione.
Per inciso, ricordo che in Platone non esiste la possibilità di costruire la conoscenza perché l'individuo non "impara", ma ricorda prendendo le esperienze dalle vite precedenti. Platone ritiene che la conoscenza non si costruisce. La conoscenza è reminiscenza delle vite precedenti. Al contrario, il giovane afferma che l'attività di analisi del suo presente, il filosofare, gli consente di "diventare erudito" giorno dopo giorno.
A questo punto Platone deve stoppare le possibilità del giovane di aggiungere sapere a sapere, conoscenza a conoscenza. Deve ridurre il suo impegno sociale in modo che non si renda conto dei meccanismi sociali nei quali il giovane vive.
Scrive Platone:
Ma egli, con molta ironia, diede due risposte. «Di fronte a costui si dica che non è né una cosa né l'altra, mentre davanti a te, Socrate, ammetto che è sia bella, sia buona. E, difatti, penso che sia corretto». Allora, gli domandai: «Ebbene, credi che anche negli esercizi fisici la passione per la ginnastica consista nell' esercitarsi molto?». Egli rispose: «Proprio come, anche riguardo al filosofare, penso che la filosofia consista nell'erudizione». E io chiesi: «Ma tu pensi che quelli che coltivano con passione la ginnastica desiderino altro da ciò che procura salute alloro corpo?», «Mirano proprio a questo», concluse. «Ebbene - dissi io - sono i molti esercizi a produrre la salute del corpo?». Rispose: «E come ci si potrebbe procurare la salute del corpo con pochi esercizi?». Mi parve che fosse ormai giunto il momento di spingere l'appassionato di ginnastica ad aiutarmi con la sua esperienza in campo ginnico. Perciò, gli chiesi: «Carissimo, perché te ne stai zitto, mentre costui dice queste cose? Sei anche tu del parere che gli uomini si procurino la salute del corpo con un gran numero di esercizi, o pensi piuttosto che lo facciano con esercizi misurati?».
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 662---
Per stoppare l'attività mediante la quale il giovane costruisce la sua conoscenza, Platone ricorre alle idee creazioniste mediante le quali afferma il venir in essere di un corpo fisico.
Dal momento che il suo "demiurgo" ha creato il corpo delle persone, il corpo delle persone non subisce modificazioni. L'esercizio fisico non modifica il corpo, ma la salute e l'efficienza del corpo è ottenuta mediante "…o pensi piuttosto che lo facciano con esercizi misurati". Gli esercizi misurati portano all'attività di "ciò che è", ma è solo l'attività intensa che "modifica ciò che si è" costruendo un diverso "ciò che si è".
Si tratta del diverso concetto di erudizione fra il giovane e Socrate. Il giovane si impegna per modificare sé stesso sedimentando conoscenza a conoscenza mentre Socrate, affermando che non è possibile sedimentare la conoscenza ma solo permettere il sorgere della reminiscenza, condanna il proposito del filosofare del giovane mediante il proposito di non modificare sé stesso espresso dal ginnasta.
Il ginnasta non tende a "diventare migliore di ciò che è", ma tende a "mostrare ciò che è". Per farlo, si limita agli esercizi nella "giusta misura". Con questo sistema Platone, per bocca di Socrate, vuole bloccare l'attività del filosofare del giovane.
Il giovane non ha la percezione che la sua attività d'analisi del sociale modifica sé stesso costruendo un sé stesso diverso. Sa soltanto che più esplora filosofando e maggiore è la comprensione della realtà. Per contro, a Socrate non interessa scoprire se possono avvenire delle modificazioni dell'uomo mediante la sua attività e le sue scelte. Il pensiero di Platone non lascia spazio a nessuna modificazione, né nella comprensione, né nella conoscenza. Secondo Platone, dal momento che nel suo pensiero nessuna modificazione è possibile perché tutto è predeterminato dalle vite precedenti, nulla può fare l'uomo nel suo presente per modificare il suo essere nel mondo.
La giusta misura è la misura che consente di rappresentare, non quella che permette al soggetto di modificare la sua rappresentazione.
E' possibile costruire un soggetto migliore di quello che si rappresenta in questo momento? Lo dice Solone: "sono vecchio, ma non ho mai smesso di imparare!". Il Solone vecchio è migliore del Solone giovane perché ha appreso più cose e le cose apprese hanno avuto più tempo per essere meditate.
L'appassionato di ginnastica dice che gli esercizi "misurati" sono la cosa migliore, poi arrivò tale Emil Zátopek che dimostra come la maggior fatica in allenamento permette di modificare il corpo predisponendolo al meglio nelle gare. Emil Zátopek modifica il proprio corpo mediante allenamenti molto intensi. Esattamente come il giovane che modifica la sua concezione filosofica del mondo mediante un'analisi molto intensa, espressa nel suo filosofare, per cercare continuamente il vero della realtà in cui vive.
La violenza con cui Platone, attraverso la bocca di Socrate, tenta di fermare il filosofare del giovane, è feroce.
Scrive Platone:
«E riguardo ai cibi? Saranno quelli secondo misura, oppure quelli abbondanti?», chiesi. E lui fu d'accordo anche per i cibi. Poi lo costrinsi ancora ad ammettere che, anche per tutte le altre cose concernenti il corpo, le più utili sono quelle secondo misura e non, invece, quelle in eccesso o in difetto. Egli convenne con me che giovano di più quelle secondo misura. «E - proseguii - a proposito dell'anima? Fra gli alimenti che le vengono somministratile sono utili quelli secondo misura, oppure quelli che non vi sono conformi?». «Quelli secondo misura», disse. «Ma, allora, tra i cibi che vengono somministrati all'anima vi sono anche le scienze?».
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 662 – 663---
Il controllo nasce dalla misura. La misura del cibo, la misura dei fenomeni percepiti che devono essere limitati perché, qualora fossero troppi, l'individuo modificherebbe la sua capacità di percepire i fenomeni. Questo modo di pensare fu adottato da molti, per esempio dai medici che immergevano nel silenzio e nella penombra le persone che avevano subito traumi cerebrali. Fino a quando si scoprì che le persone che avevano subito traumi potevano guarire e ricostruire i percorsi cerebrali solo se venivano immersi in sollecitazioni rumorose e continue.
Ciò che Platone propaganda è il sistema di controllo dell'uomo. Si controlla il cibo, si controllano i fenomeni, si controlla il filosofare, la capacità d'analisi e la percezione del soggetto che deve far tutto con misura perché in questo modo non modifica sé stesso e può essere controllato dal tiranno.
Anche a quanto Platone definisce come "anima" debbono essere somministrati quei "cibi" che gli sono conformi, in special modo le scienze. Chi decide quali sono i cibi conformi all'"anima"? La mia "anima" davanti ad un mondo imbandito di fenomeni e di sollecitazioni, sceglie. Platone vuole essere colui che determina la qualità e la quantità di fenomeni nei quali io devo operare la mia scelta.
Non siamo davanti alle possibilità di un soggetto che sceglie, ma siamo davanti a Platone che sceglie imponendomi di effettuare le mie scelte in quanto Platone ha scelto. Platone non si assume la responsabilità e l'arbitrio della scelta, ma chiede a me di ritenere giusto ciò che lui ha scelto affinché, nella sua scelta, mi sia permesso di scegliere.
La misura del nutrimento non è scelto dalla mia "anima", ma è imposto da Platone. La mia "anima" sceglie in funzione di sé stessa mentre Platone, che sceglie in funzione di sé stesso, vuole costringere la mia "anima" a scegliere in funzione di Platone.
La filosofia è al di fuori delle scienze. La filosofia è l'arte di analizzare il mondo in cui viviamo. E' l'arte di costruire le relazioni sociali. E' l'arte che analizza la dimensione etica e morale dell'uomo.
Il filosofo non pratica medicina, ma analizza l'uso che della medicina se ne fa nella società. La medicina, come tutte le arti e le scienze, è un mezzo con cui gli uomini e le società praticano il loro vivere nel mondo
Scrive Platone:
Allora, il più sapiente intervenne, dicendo: «Le scienze più belle e più convenienti sono quelle da cui si può ottenere la massima reputazione in filosofia. Ebbene, si potrebbe giungere alla massima fama mostrando di essere esperti in tutte le arti, o, almeno, nella maggior parte di esse e soprattutto nelle più importanti, imparando di esse ciò che conviene agli uomini liberi apprendere che implica intelligenza e non ha a che fare col lavoro manuale».
E ancora:
Gli domandai, allora, se non fosse impossibile per la stessa persona riuscire ad imparare, in questo modo, anche soltanto due arti, e nemmeno molto grandi. Ed egli rispose: «Non credere, o Socrate, che io intenda dire che colui che si occupa di filosofia debba conoscere ciascuna delle arti, con la stessa perfezione di chi la coltiva come professione. Egli deve, invece, come conviene ad un uomo libero ed educato, essere in grado di seguire ciò che vien detto da colui che esercita una data arte meglio di tutti i presenti, e di esprimere il proprio parere in modo da apparire il più capace e sapiente tra coloro che, di volta in volta, assistono a quello che si dice o fa riguardo a tali arti».
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 663---
Chi pratica filosofia non deve conoscere le varie scienze, ma deve capirle quando vengono esposte. Inoltre, deve capirne le implicazioni. Che cosa comporta in questo o quell'altro uso. Quando Platone afferma l'esistenza del "demiurgo", il filosofo non è tenuto a conoscere la realtà oggettiva dell'oggetto affermato, ma deve conoscere le implicazioni che tale concetto implica nella vita sociale.
Non basta dire: impicchiamo i cattivi. E' necessario sapere cosa implica nella società quando questo sistema, il picchiare, viene imposto per risolvere i problemi veri o presunti della società.
Queste risposte vengono date a Socrate dal giovane, ma Socrate finge di non sentirle. Socrate fugge dal discorso perché non ha argomenti con cui ribattere. Quando il giovane dice "… imparando di esse ciò che conviene agli uomini liberi apprendere che implica intelligenza e non ha a che fare col lavoro manuale". Non sta dicendo a Socrate che impara l'arte, ma impara l'uso dell'arte perché è l'uso dell'arte "che conviene agli uomini liberi".
Il giovane ribadisce il concetto: "Non credere, o Socrate, che io intenda dire…".
Socrate finge di non capire.
Scrive Platone:
Ed io, avendo ancora delle incertezze sul significato delle sue parole, dissi: «Comprendo davvero bene quello che tu intendi per filosofo? Mi pare, infatti, che tu lo accosti agli atleti del pentatlon nelle loro gare con i corridori o i lottatori. Anche quelli, difatti, sono inferiori a questi ultimi negli esercizi loro peculiari e sono secondi rispetto ad essi, mentre a confronto con gli altri atleti risultano primi e li vincono. Forse tu potresti dire che anche il filosofare produca qualcosa di simile in quelli che lo coltivano. I filosofi sono inferiori a coloro che primeggiano quanto a competenza nelle arti, ma, stando al secondo posto, superano gli altri: così, chi si è dedicato alla filosofia sarebbe in tutto un uomo di second'ordine. Mi sembra che tu intenda qualcosa di questo genere».
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 664---
Platone non è in grado di distinguere l'abilità di colui che fa il mezzo (l'arte), da colui che è in grado di cogliere il significato e la funzione del mezzo. L'artista che lavora il marmo, dal significato da dare al marmo.
Il filosofare analizza il mondo, i singoli soggetti nel mondo, le relazioni fra i soggetti e, con essi, le relazioni sociali che ne scaturiscono.
Il filosofo non può mettersi in concorrenza con lo scalpellino. Per contro, lo scalpellino, analizzando quanto costruisce nelle relazioni col mondo e nella simbologia che costruisce, diventa un filosofo. Quanto sia ampio il suo filosofare, questo è un altro discorso, ma sicuramente il suo filosofare nasce e comprende la sua attività di scalpellino. Pertanto, come filosofo non mi metto in concorrenza con lo scalpellino e la sua arte, semmai mi metto in concorrenza con lo scalpellino sul significato della sua arte.
Per Platone e Socrate tutto si esprime all'interno di una gerarchia verticale in cui qualcosa è meglio di qualcos'altro e qualcosa è bello o brutto a seconda del giudizio soggettivo di Platone e Socrate.
Ma noi non viviamo in una società verticale, viviamo in una società orizzontale nella quale ogni professione, ogni arte, ogni impresa impone una trasformazione dell'individuo mediante il suo lavoro, il suo studio, la soluzione dei problemi che il raggiungimento dell'obbiettivo posto da quell'arte comporta.
Lo specialista inventa la polvere da sparo. Una filosofia la usa per i fuochi artificiali; un'altra filosofia la usa per costruire armi. Il mezzo e l'uso del mezzo sono due cose diverse esattamente come Esiodo pensava che la scoperta del ferro fosse "l'arma definitiva" che avrebbe distrutto l'umanità.
A quali conclusioni Socrate vuole portare il giovane?
Scrive Platone:
«Perciò, adesso il filosofo risulta essere inutile? Difatti, vi sono sempre degli specialisti. E noi abbiamo convenuto che gli uomini buoni sono utili, mentre quelli cattivi sono inutili». Fu costretto a riconoscerlo. «Allora, che cosa diremo dopo questo? Posso domandartelo, oppure è troppo scortese farlo?». «Chiedi pure quello che vorresti». «Non desidero nient'altro - ripresi - se non che venga riassunto quello che è stato detto. Si tratta all'incirca di questo. Abbiamo convenuto che la filosofia è bella, come lo sono anche i filosofi stessi, poi che i filosofi sono buoni, e che quelli buoni sono utili, mentre quelli cattivi sono inutili. D'altro canto, abbiamo ammesso che i filosofi, fino a quando vi siano uomini competenti nelle arti, sono inutili, e che di specialisti ve ne sono sempre. Non abbiamo convenuto questo?».
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 664 – 665---
La filosofia è bella ed utile all'uomo nella misura in cui è uno strumento con cui l'uomo abita il mondo. Uno strumento con cui si interpreta il mondo e ci si chiede come funzionano le relazioni fra noi e il mondo in cui viviamo. Uno strumento per costruire la nostra decisione che ci permette di capire gli effetti delle nostre azioni e delle nostre scelte.
L'oggetto studiato dalla filosofia sono le scelte del soggetto, dell'individuo.
Le scelte del soggetto, dell'individuo, sono oggetti che vengono immessi nella società e che determinano la qualità delle relazioni che noi abbiamo con il mondo
La frusta è un mezzo che serve a fare del male, l'uso della frusta nasce da intenti che vengono perseguiti mediante riflessioni filosofiche che descrivono un mondo per quello che il soggetto crede che sia portandolo ad agire in quel modo in funzione di obbiettivi che intende raggiungere. Il "credere come il mondo sia" e l'intendimento nel "raggiungere gli obbiettivi" sono gli apriori che stanno alla base del filosofare e che nello sforzo di raggiungere gli obbiettivi modificano il filosofare stesso perché lo sforzo per raggiungere l'obbiettivo modifica sia il soggetto, che quello sforzo mette in atto, sia il mondo in cui agisce. L'uso della frusta, giustificato da un filosofare in funzione di un intento, modifica tutto ciò che concorre nella relazione: soggetti coinvolti e spettatori. Il mondo che nasce dall'uso della frusta è un mondo che risolve i problemi a frustate e che finisce per fare della frusta mezzo e fine dell'azione nel mondo.
Ed è esattamente là che Platone vuole portare il giovane attraverso le affermazioni sofiste di Socrate.
A che cosa mi serve la filosofia se ho degli specialisti? A che cosa mi serve filosofeggiare attorno alla frusta se ho delle persone molto brave a frustare? Si è solo dimenticato l'altro aspetto: a che cosa mi serve filosofeggiare attorno alla frusta se ho delle persone molto brave a lasciarsi frustare? Dei tre modelli che entrano in relazione, Platone che ordina di frustare, chi frusta e chi è frustato, Platone prende in considerazione solo sé stesso. Dove chi frusta obbedisce a Platone e chi è frustato si sottomette allo specialista che frusta e a Platone, il tiranno, che ordina di frustare. Castigare è la parola con cui Platone indica l'attività della filosofia.
Scrive Platone:
«Perciò, abbiamo ammesso, a quanto pare, in base a quanto tu affermi, che, se filosofare è essere esperti nelle arti, come tu sostieni, i filosofi saranno cattivi e inutili, finché vi siano delle arti tra gli uomini. Ma bada, mio caro, che non sia così, e che il filosofare non consista nell'occuparsi delle arti, e nel vivere a testa bassa ed affaccendati, nel tentativo di sapere tutto, bensì in qualcosa d'altro; difatti, pensavo che questo fosse disonorevole e che quelli che si dedicano alle arti venissero denominati operai. Così, sapremo con maggior chiarezza se dico il vero, qualora tu risponda a questa domanda: chi sono quelli che sanno castigare correttamente i cavalli? Sono, forse, quelli che li rendono migliori, oppure altri?»
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 665---
Saper castigare!
E' esattamente là dove Platone, attraverso Socrate, voleva portare il giovane.
Che te ne fai della filosofia se parli dell'arte e come l'arte interagisce con gli uomini nella società? Troverai sempre degli scalpellini, dei pittori, dei musicisti che eleveranno quell'arte ad orizzonti che tu non puoi raggiungere. Tu parli di scultura, ma loro sono gli scultori. Tu parli di pittura, ma loro sono i pittori.
Ma se noi riduciamo i pittori, gli scultori e in generale gli uomini a cavalli e noi, con la filosofia, usiamo la frusta in maniera "corretta" con quei cavalli (uomini ridotti alla stregua di cani e cavalli), allora la filosofia ci permette di costringere quei cavalli a riconoscere la giustezza del castigo che noi imponiamo loro. In questo modo, la società non è più fatta di artisti, scalpellini, pittori, musicisti, ecc. e non è più fatta di coloro che operano lavorando la materia o che coltivano la terra o, ancora, medici e architetti, ma la società è fatta da cavalli che, castigati correttamente a frustate, funzionano in funzione del loro fustigatore: Platone!
Per Platone la filosofia è l'arte retorica mediante la quale giustificare la frusta e portare il frustato a condividere la punizione che il "padrone" impone e l'aguzzino esegue. In quest'ottica si comprende perché i partigiani, che hanno costruito la democrazia in Italia, hanno condannato a morte il seguace di Platone, Giovanni Gentile.
Scrive Platone:
«E allora, in riferimento ai cani, quelli che sono capaci di renderli migliori, sanno anche castigarli in modo corretto?». «Sì». «Pertanto, la stessa arte rende migliori e castiga correttamente?». «Mi sembra», disse. «Ebbene, l'arte che rende migliori e castiga correttamente-coincide con quella che distingue i buoni dai cattivi, oppure è un'altra?». «E la stessa», rispose. «Vorrai, allora, ammettere anche riguardo agli uomini, che l'arte che li rende migliori coincide con quella che li castiga in modo corretto e che distingue i buoni ed i cattivi». «Certo», disse. «Ma l'arte che vale per uno, varrà anche per molti, e quella che vale per molti varrà anche per uno solo?». «Sì». «è così per i cavalli e per tutti gli altri esseri?». «Lo affermo». «Qual è, dunque, la scienza che castiga in modo corretto quelli che, nella Città, creano disordine e violano la legge? Non è forse, l'arte giudiziaria?». «Sì». «Ebbene, quella che denomini giustizia, è un'altra, oppure questa?». «No, è questa». «Pertanto, l'arte con cui si castiga correttamente coincide con quella con cui si distinguono i buoni e i cattivi?». «Sì». «Ma chi ne conosce uno, ne conoscerà anche molti?». «Sì», «E chi non ne conosce molti, non ne conoscerà nemmeno uno?». «Lo affermo». «Se, dunque, un cavallo non fosse capace di distinguere i cavalli buoni da quelli cattivi, non conoscerebbe nemmeno se stesso?». «Lo ammetto». «E se un bue non sapesse distinguere i buoi cattivi da quelli buoni, non conoscerebbe nemmeno se stesso?». «Sì», disse. «E sarebbe così anche se fosse un cane?». Ne convenne. «Allora, se un uomo non riesce a distinguere gli uomini buoni da quelli cattivi, non sarà, forse, nemmeno in grado di sapere, riguardo a se stesso, se è buono o cattivo, dal momento che anch'egli è un uomo?». Lo ammise. «Ma il non conoscere se stessi è esser temperanti, oppure no?». «Non è essere temperanti». «E conoscere se stessi è essere temperanti?». «Sono d'accordo», disse. «Pertanto, l'iscrizione di Delfi, a quanto pare, invita a praticare temperanza e giustizia». «Sembra». «Ed è proprio con questa che sappiamo anche castigare in modo corretto?». «Sì». «Dunque, ciò grazie a cui sappiamo castigare in modo corretto è la giustizia, ciò grazie a cui siamo in grado di conoscere noi stessi e gli altri è la temperanza?». «Pare», disse. «Perciò, giustizia e temperanza sono identiche?». «Sembra». «E, così, anche le Città sono ben governate, quando i colpevoli vengono puniti?». «Dici il vero», rispose. «E questa è l'arte politica?». Lo ammise. «Ma quando un solo uomo governa rettamente una Città, non viene forse denominato tiranno o re?». «Certamente». «Pertanto, governa con arte regale e tirannica?». «è così». «Ebbene, anche queste arti sono identiche a quelle?». «Lo sembrano». «Ma quando un solo uomo governa in modo retto una casa, che nome gli viene attribuito? Non sarà, forse, quello di amministratore e di padrone?». «Sì». «Allora, anche costui amministrerà bene la casa grazie alla giustizia, oppure con qualche altra arte?». «Con la giustizia». «Pertanto, sono la stessa cosa a quanto risulta, re, tiranno, politico, amministratore, padrone, saggio e giusto. E una sola è l'arte regale, tirannica, politica, dispotica, amministrativa, la giustizia, nonché la temperanza?». «Sembra così», disse.
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 665 – 666---
Una volta che Platone riduce le persone a cavalli e cani da addestrare mediante la frusta, che chiama giustizia, parla di "temperanza". Non serve dare molte frustate, è necessario usare la frusta adeguatamente e in maniera corretta. Se esageri, le bestie si ribellano.
Ciò che al giovane sfuggiva, degli intenti di Socrate, era il tentativo di Socrate di ridurlo al rango di cane o al rango di cavallo per poterlo umiliare e frustare. Il giovane pensava di discutere sull'uso del filosofare con Socrate mentre Socrate intende il filosofare come un metodo per sopraffare le persone. A Socrate non interessa il filosofare attorno all'arte, né il filosofare attorno alla medicina; a Socrate interessa il filosofare come metodo di sopraffazione.
La sopraffazione del più forte sul più debole è chiamata da Socrate: giustizia.
Scrive Socrate:
«Dunque, ciò grazie a cui sappiamo castigare in modo corretto è la giustizia, ciò grazie a cui siamo in grado di conoscere noi stessi e gli altri è la temperanza?». «Pare», disse. «Perciò, giustizia e temperanza sono identiche?».
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 666---
Se Socrate castiga, chi castiga Socrate? Il "castigare", il frustare le persone, può non essere limitato ammazzando le persone, in quel caso, le persone diventerebbero inutili, è necessario limitare le frustate in modo che le persone, costrette nel dolore e nell'obbediente sottomissione, continuino ad essere utili. Per questo motivo il padrone, secondo Socrate, deve poter frustare, ma deve frustare senza distruggere l'oggetto frustato affinché continui ad essergli utile.
Socrate chiama "temperanza" un numero limitato di frustate capaci di ridurre gli individui all'obbedienza senza arrivare ad ammazzarli perché, in quel caso, cesserebbero di obbedire.
Come con i cani e i cavalli. Come per i bambini con i quali i preti cattolici e le suore cattoliche usano la temperanza torturandoli e violentandoli, ma senza eccedere perché la temperanza è una delle virtù teologali della chiesa cattolica.
Le città sono ben governate quando chi le governa viene punito. In sostanza, Platone fa dire a Socrate che il re, il tiranno, il padrone, non è mai colpevole. Lui punisce chi viola la legge e non si rende conto che ha violato la legge proprio perché è il re, il tiranno, il padrone. La legge non è il volere del re, del padrone, del tiranno, ma la legge è la legge che regola le relazioni fra gli uomini che in una società costruiscono il loro futuro. Se in quella società vige la volontà del tiranno, del padrone, dell'aristocratico, del re, quella società è "fuorilegge" perché alle necessità dei molti è stata sostituita la necessità di uno e per imporre la necessità di uno devono essere violentati in molti.
Il dibattito fra Socrate e il giovane amante, verte su questo. Socrate pretende che il giovane amante si sottometta mentre, il giovane amante vuole sviluppare l'erudizione che la sua pratica del filosofare gli indica come possibile. A Socrate interessa che il giovane amante si consideri come un cane, come un cavallo, e lui si investe del ruolo del dittatore, del re o del padrone.
Da questa impostazione procede il concetto di giustizia di Platone espresso mediante Socrate. In cosa consiste la "giustizia"? Nel fare la volontà del padrone, del tiranno, del re del dittatore. Tutti costoro fanno leggi e norme alle quali pretendono obbedienza e sottomissione.
Ora, se il giovane amante intende filosofare in un mondo che gli chiede obbedienza, quale sarà l'obbiettivo del suo filosofare nel momento stesso in cui chiama "ingiustizia" il desiderio soggettivo del tiranno che Platone chiama "giustizia"?
Il suo filosofare gli indicherà le ragioni per le quali quanto Socrate chiama "giustizia" è una "ingiustizia" che agisce contro la vita dell'uomo. Questo è ciò che Socrate deve evitare. Non si confronta sull'erudizione del giovane, ma su ciò che il giovane considera per filosofia.
La conclusione del dialogo è inevitabile: il filosofo è accanto al padrone che giudica. Padrone esso stesso separato dagli uomini e dai cittadini.
Scrive, nel concludere Platone:
«Sosterremo, dunque - dissi io - anche a questo proposito, che il filosofo debba essere come un atleta che pratica il pentatlon, un uomo di second'ordine, che in tutte le prove giunge al secondo posto ed è inutile, finché vi sia uno di quelli ricordati prima? Oppure affermeremo, innanzi tutto, che non deve cedere ad altri il governo della propria casa, né accontentarsi di tenervi il secondo posto, ma castigare e giudicare in modo retto, se la sua casa dev'essere bene amministrata?».
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 666---
Per Platone non sono gli uomini e le donne che devono amministrare bene la loro casa, ma a farlo è il filosofo assunto a rango di giudice e di amministratore. Giudice e amministratore della casa come del governo della città accanto al re, al tiranno, al despota, al Gesù o all'Hitler di turno.
L'erudizione del giovane porta alla "disobbedienza". Lo porta a non sottomettersi alla volontà soggettiva del dittatore, del tiranno o del despota.
Dice Platone per bocca di Socrate:
«Per noi, dunque, carissimo amico, il filosofare è ben lungi dal consistere nell'erudizione e nell'occuparsi delle arti».
--- Platone dal dialogo Gli Amanti pag. 667---
Noi siamo i padroni e la tua ricerca di erudizione è pericolosa. Deve essere fermata. Devi riconoscere che è inutile perché noi, come filosofi, cerchiamo il potere mediante il quale elargire i castighi amministrando la nostra "giustizia".
Se tu, giovane amante, vai alla ricerca dell'erudizione rischi di scoprire che quello che noi chiamiamo "giustizia" per conto del dittatore, del tiranno, del despota, è ingiustizia sociale e allora, può capitare, che tu, giovane amante, ti trasformi in un Pericle che in Tucidide proclama:
Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così. Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell'eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. Qui ad Atene noi facciamo così. La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l'uno dell'altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi facciamo così. Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso. Qui ad Atene noi facciamo così. Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell'Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero. Qui ad Atene noi facciamo così.
Discorso di Pericle in Tucidide
(Scaricata per brevità da internet)
La guerra di Platone alla democrazia era profonda. La tirannia, la monarchia, l'aristocrazia e la violenza con la quale sottomettere è l'ideale di Platone che viene esposto da Socrate.
Platone con Socrate sono terrorizzati dall'erudizione al punto che nel dialogo Socrate non risponde mai alla citazione di Solone fatta dal giovane amante.
Il filosofare può apparire inutile quando si portano mattoni e ghiaia sulle spalle per molte ore durante il giorno e solo per avere il minimo con cui vivere. Il filosofare non diventa inutile quando devi contrattare le ore per le quali devi portare mattoni e ghiaia sulle spalle.
Il giorno che alla filosofia, con cui il tiranno giustifica il suo dominio sugli uomini, si opporrà la filosofia con la quale si costruisce la libertà degli uomini, il potere del tirano, di Socrate e di Platone, vacilla e dimostra di essere ciò che è: fallimento esistenziale nascosto dietro la violenza della frusta.
Marghera, 08 settembre 2017
Nota: Il testo da cui son state tratte le citazione è Platone "Tutti gli scritti" a cura di Giovanni Reale ed. Bompiani 2014 traduzione de Gli Amanti a cura di Maria Luisa Gatti (il numero di pagina alla citazione si riferisce a questo testo).
La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume
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Quando un percorso sociale fallisce o esaurisce la sua spinta propulsiva, è bene tornare alle origini. Là dove il pensiero sociale è iniziato, analizzare le incongruenze del passato alla luce dell'esperienza e abbattere i piedistalli che furono posti a fondamento del percorso sociale esaurito. |
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Marghera, 09 febbraio 2015 Claudio Simeoni Meccanico Apprendista Stregone Guardiano dell'Anticristo Tel. 3277862784 e-mail: claudiosimeoni@libero.it |
Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.