Platone (427 a.c. - 347 a.c.)

L'infanzia e il Mito

di Claudio Simeoni

Cod. ISBN 9788827811764

La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume

 

Filosofia Aperta su Platone

 

Platone e la manipolazione mentale per il controllo
dell'infanzia attraverso la distruzione del Mito

 

Il primo problema che Platone si pone nella "costruzione" dello Stato nella Repubblica è la manipolazione mentale dell'infanzia affinché i bambini, una volta adulti, siano obbedienti al despota.

Secondo le idee sull'istruzione all'infanzia di Platone, che saranno perfezionate dai cristiani per manipolare la struttura emotiva dell'infanzia, le storie che si raccontano ai bambini influenzano le loro idee e le loro scelte con cui affrontare le condizioni della loro vita. Per Platone le storie raccontate ai bambini devono essere controllate e devono esprimere quei principi che sono utili al tiranno, alla monarchia assoluta, al dio padrone e, oggi, alla chiesa cattolica e al Vaticano.

Ciò che Platone, attraverso Socrate, negava nel Protagora, cioè che la virtù non si insegna, nella Repubblica afferma la necessità della violenza sull'infanzia per imporre la sottomissione allo schema coercitivo sociale che Platone descrive. In sostanza, per Platone, non si può insegnare all'infanzia il comportamento virtuoso, ma si può insegnare all'infanzia il comportamento sottomesso al tiranno.

Platone introduce la categoria di "maturo" e di "immaturo" dove gli individui maturi sono coloro che corrispondono al modello morale ed etico imposto dal tiranno e gli individui immaturi sono coloro che si allontanano da quel modello.

Scrive Platone nella Repubblica:

"E poi non sai che in ogni cosa, e specialmente quando si abbia a che fare con esseri ancora giovani e immaturi, ciò che più conta è l'inizio, perché proprio questo è il momento ideale per plasmarli e per forgiarli secondo l'impronta che a ciascuno di essi si vuol dare?"
"Esattamente"
"Allora concederemo, così, a cuor leggero che i giovani ascoltino dal primo venuto favole inventate, non importa come, e che accolgano nell'anima principi addirittura opposti rispetto a quelli che, a nostro giudizio, dovrebbero condividere una volta adulti?"
"Non lo permetteremo assolutamente!"
"Dunque, a quanto pare, la prima cosa da fare è tener d'occhio gli ideatori delle favole: quando ne inventassero una bella la approveremmo, in caso contrario la scarteremmo. E poi ci toccherà far opera di convinzione presso le madri e le nutrici, perché raccontino ai loro piccoli le favole ammesse, in modo da plasmare con esse le loro anime, molto più che, con le mani, i loro corpi. Invece delle favole che oggi si raccontano, parecchie sarebbero da buttare".

Oggi vediamo con orrore l'epurazione della cultura, come vediamo con orrore l'attività con cui la chiesa cattolica bruciò i libri che metteva all'indice.

Nel definire La Repubblica, Platone si erge a "padrone che concede", si erge a tiranno e despota pur senza avere una cultura sufficiente per gestire il dispotismo che presenta con tanta violenza.

La necessità di chiudere l'infanzia entro muri culturali che ne limitano l'apprendimento è un'esigenza primaria nella costituzione della Repubblica di Platone. Questa esigenza, realizzata in tutta la sua violenza dal cristianesimo è, di fatto, la necessità che spinge una società civile che vuole uscire dall'assolutismo cristiano ed aprirsi al mondo e alla vita con qualsiasi mezzo che riesce a mettere in atto. E' tanto grande la violenza di Platone che giustifica ogni violenza contro la tirannia. E' la tirannia che mette in atto la violenza criminale, non quella dei cittadini che vogliono sottrarsi alla tirannia.

Il campo di concentramento emotivo pensato da Platone ha lo scopo di privare le persone di modelli, di fenomeni, di informazioni nelle quali veicolare i loro bisogni e le loro necessità. Le persone, per Platone, devono diventare macchine in funzione della necessità dello Stato che, nella sua visione razionale, può funzionare solo se le persone, fin dall'infanzia, sono private delle loro emozioni e del loro piacere esistenziale.

Scrive Platone nella Repubblica:

"Di quali parli?", chiese?
"Nelle grandi favole – dissi – noi potremo vedere incluse anche le piccole, perché, per forza di cose, sia le une che le altre vengono dalla stessa matrice e causano i medesimi effetti. O non sei di questo avviso?".
"Sarà – ammise lui –, però non capisco che cosa intendi per favole maggiori".
"Quelle – risposi – che Esiodo, Omero e gli altri poeti ci hanno raccontato. Sono loro gli inventori di questi miti fantasiosi, e ancora loro li hanno propagati e tutt'ora li propagano alle genti".
"E quali miti in particolare hai di mira e per quali motivi?".
Ed io risposi. "Questa accusa va a loro addebitata, ed essa è la più grave e la più pesante, tanto più se uno non sa inventare come dovrebbe".
"Di che si tratta?".
"Quando uno nel descrivere la natura degli eroi e degli Dèi, la raffigura in maniera errata, come se un pittore dipingesse immagini per niente simili al modello che ha in mente".
"E' giusto – ammise – il rimprovero che muovi a tali azioni. Ma quali miti dovremmo raccontare, e in che modo?".
"In primo luogo – incominciai a dire –, l'inganno più grave, perché rivolto a temi della massima gravità lo fece chi – fra l'altro mentendo malamente – ascrisse ad Urano quel comportamento che Esiodo gli aveva attribuito, e a Crono la responsabilità di averlo punito. Ma, posto pure che quel che fece Crono e quello che ebbe a subire dal figlio fosse vero, non direi proprio che sia materia da doversi raccontare a giovani ancora immaturi. Penserei, anzi, che andrebbe, in linea di massima, tenuto segreto, e se proprio non si potesse fare a meno di dirlo, che andrebbe riferito sotto il vincolo del silenzio a pochissimi ascoltatori, dopo aver immolato, non dico un maiale, ma un qualche animale possente e raro, così da restringere ancor più il numero di possibili uditori".
"Effettivamente - riconobbe – questi sono discorsi scabrosi".

La rivoluzione di Platone consiste nella distruzione degli Dèi come compartecipi alla vita dell'uomo. Per Platone gli Dèi vengono trasformati in "dio padrone" ai quagli gli uomini si devono prostrare e si devono sottomettere fin dall'infanzia. In questo modo sono pronti per prostrarsi e sottomettersi al tiranno, al padrone, a Platone, a Hitler.

Non ci sono "opere esecrabili" in Urano Stellato. Urano Stellato è l'emozione che pervadendo il cosmo e porta in essere la vita. Urano è la vita, la coscienza che si separa dalla non coscienza. Cronos è il tempo, il mutamento, della vita stessa che si trasforma e Cronos mette in moto la trasformazione là dove la vita, Urano, è venuto in essere. Mettere in moto la vita avviene per condizione e contraddizione e il linguaggio figurato, usato da Omero ed Esiodo per definire gli atti di volontà che permettono alla vita di trasformarsi, vengono ignorati da Platone che ferma l'atto nella forma e nella rappresentazione facendo della forma e della rappresentazione la realtà dell'atto che viene, nella sua ideologia, privato della sua volontà e del senso di realtà.

I bambini vengono privati, secondo Platone, dell'idea che nella vita è necessario affrontare i problemi con passione e volontà, diventano servi sottomessi ed obbedienti agli ordini del tiranno che è l'unico soggetto in "diritto" di praticare la propria volontà e che, per questo, usa questi bambini sottomessi, una volta adulti, come braccio armato nella società per imporre la sua volontà.

Eliminando i "discorsi scabrosi", si disarmano i bambini. Una volta che i bambini sono disarmati e sottomessi; non è detto che sia Platone ad usarli come oggetti con cui imporre il suo dominio sul mondo e nel mondo. Se fosse possibile trasformare dei bambini in oggetti di possesso soltanto facendoli diventare muti meccanismi della volontà di un padrone, nessuno può garantire che l'unico padrone che può usare quelle persone ridotte a macchine possa essere Platone per far funzionare la società ridotta ad una galera. Può essere anche Hitler, per far funzionare i campi di sterminio.

Il metodo di manipolazione dell'infanzia descritto da Platone, l'ho già analizzato nell'attività di manipolazione dell'infanzia messo in atto dalla chiesa cattolica con tutti i suoi effetti che oggi vediamo nella devastazione delle relazioni sociali:

http://www.stregoneriapagana.it/educazionecristiana.html

Togliere il Mito dal patrimonio della conoscenza dei ragazzi, significa togliere ai ragazzi la consapevolezza che essi stessi sono i protagonisti di quel Mito. Loro sono Urano Stellato che manifesta la vita. Loro sono Cronos che mette in moto i mutamenti e le trasformazioni del presente in cui vivono. Togliere il Mito, come vuole fare Platone, significa togliere al ragazzo la consapevolezza di essere un cittadino che agisce nella società in cui vive per tentare di trasformarlo in un servo obbediente. Dal momento che quella che Platone odia, la struttura emozionale dell'uomo, è quella manifestazione del corpo che Platone chiama "istinti", Platone odia la struttura della vita che si esprime nell'uomo. Se non viene dato al ragazzo una direzione "mitica" in cui veicolare le sue pulsioni vitali, i suoi "istinti", nella sua esistenza, dal momento che la vita tenta sempre di spezzare le catene e le costrizioni "spezzare le membra o sciogliere i legamenti", Platone finisce per incanalare le pulsioni dei ragazzi, una volta adulti, su binari autodistruttivi per la società in cui queste persone vivono.

Platone costruisce dei "distruttori sociali" che vorrebbe usare per il suo dominio pensando di poter dominarli e controllarli per i suoi scopi.

Scrive Platone nella Repubblica:

"E nella nostra città – aggiunsi – non andranno fatti, caro Adimanto. E tanto meno andranno riferiti ad un giovane, perché in tal modo egli si sentirebbe ripetere che non c'è nessuno scandalo a commettere iniquità, anche le più gravi, e che neppure ce ne sarebbe a punire con qualsiasi mezzo il proprio padre quando le abbia commesse, perché in tali casi non farebbe che seguire l'esempio dei primi e sommi Dèi".
"No, per Zeus – esclamò –, neppure a me sembrano discorsi da fare".
"E poi – ripresi – se davvero vogliamo che i futuri custodi della città ritengano assolutamente negativo l'azzuffarsi fra loro per futili motivi non bisogna neppure sostenere – anche perché il fatto non corrisponde a verità – che gli Dèi si combattono e tramano l'uno contro l'altro alimentando reciproche contese. E inoltre facciamo di tutto per evitare a loro racconti o rappresentazioni di gigantografie, o di episodi in cui Dèi o eroi si dimostrano ostili ai propri congiunti o parenti; se invece in qualche misura volessimo inculcare l'idea che mai nessun cittadino ha avuto motivi di attrito con un altro cittadino, perché ciò sarebbe un'azione illecita, toccherebbe ai vecchi e alle vecchie il compito di dire ciò fin dall'inizio ai bambini. E poi, quando i giovani si siano fatti adulti, toccherebbe ai poeti creare racconti dello stesso tenore. E le catene di Era impostale dal figlio, e l'episodio di Efesto precipitato dal padre, mentre accorre in difesa della madre percossa, e anche le battaglie fra Dèi inventate da Omero non devono aver posto nel nostro Stato, né se sian fatte in senso allegorico, né se non lo siano. In effetti i giovani non sono in grado di distinguere il significato allegorico da quello letterale, e d'altra arte l'opinione che si fa a quell'età, risulta poi immodificabile e difficile da correggersi. Per questo motivo, sarebbe della massima importanza che i primi racconti che recepiscono siano finalizzati alla virtù, quanto meglio è possibile".

La sottomissione che Platone propone all'immagine del dio padrone in sostituzione agli Dèi di Omero ed Esiodo che vivono continua con l'imperativo di sottomettere il "figlio" al "padre".

Siamo talmente abituati dall'applicazione fatta dal cristianesimo di questa idea di Platone che non ci passa per la testa che il padre e il figlio sono due persone distinte che si caratterizzano per la qualità di due diversi futuri. Nel cristianesimo l'idea di Platone si traduce nell' "Onora il padre e la madre". Un'idea imposta con la violenza che costringe il figlio a negare il proprio futuro in funzione del sostentamento del padre e della madre. Il figlio sacrifica sé stesso in funzione di un padre e di una madre che avrebbero dovuto fornire al figlio i mezzi con cui liberarsi da ogni obbligo e da ogni condizionamento sociale. Lo hanno costretto nella prospettiva che anche lui, che un giorno sarà vecchio, potrà rivendicare il possesso dei suoi figli affinché provvedano alla sua esistenza. E' il futuro negato che viene costretto a ripiegarsi su sé stesso negando alla società uno sviluppo futuro.

Ci si chiede: che cosa avrebbe dovuto fare il "padre" e la "madre"? Non vivere in funzione del dominio sui figli, ma vivere da persone sociali che costruiscono una società capace di essere solidale. Essere, prima di tutto, dei cittadini che modificano il loro presente e che forniscono ai figli gli strumenti per costruire il loro futuro in questo presente.

In Platone, invece, ogni futuro possibile è negato in funzione del dominio del tiranno che deve essere garantito contro ogni possibile modificazione capace di mettere in pericolo il suo assolutismo. Dopo il cristianesimo, per rimuovere l'assolutismo cristiano fu necessario attendere la Magna Carta inglese e la Rivoluzione Francese.

Gli Dèi tramano l'un contro l'altro ed alimentano le contese. La vita nella natura non sarebbe se Ade non avesse portato Persefone, la piccola Demetra, nell'Ade. Ma a Platone non interessa che Ade abbia costruito le condizioni affinché nasca la vita, a Platone interessa che nessuna azione possa essere fatta affinché non vengano modificate le condizioni del presente e il tiranno possa dominare senza dover affrontare le trasformazioni della società. Non si tratta di impedire, come dice Platone, che i guardiani si azzuffino fra di loro diventando meno efficienti nell'azzuffarsi con i cittadini o con i nemici del tiranno, si tratta di impedire ai bambini, una volta diventati adulti, di creare, attraverso le loro azioni, le condizioni affinché germini un presente diverso da quello che loro stanno vivendo. L'azione di Ade è rappresentata come un atto di violenza contro la persona di Persefone, ma ogni volta che noi costruiamo la nostra conoscenza, modifichiamo le nostre idee sul mondo, modifichiamo il modo di percepire la realtà, questo avviene mediante un atto di violenza perché ogni modificazione del presente, sia soggettivo che oggettivo, è un atto di violenza che nega e disgrega il presente precedente per riaggregarlo in un nuovo presente. Al sistema del Mito, con cui gli uomini costruiscono la conoscenza, Platone contrappone la "rimembranza". In sostanza, Platone si inventa il sistema delle reincarnazioni nel quale la conoscenza non è costruita nelle relazioni vissute dall'individuo, ma viene ricordata quale prodotto delle vite precedenti.

Platone non condanna la violenza perché questa fa del male ai più deboli. Non condanna la violenza del tiranno come i cristiani non condannano la violenza del loro dio padrone, ma condanna la violenza con cui i più deboli tendono a liberarsi dalle angherie e dalle prepotenze del più forte. In questo modo garantisce il diritto del tiranno di tiranneggiare le persone più deboli mantenendole nello stato di schiavitù.

Sono i vecchi e le vecchie, secondo Platone, che devono rendere andicappati i giovani in modo da trasformarli in loro servi e poi devono essere i poeti a costruire storie funzionali alla sottomissione una volta che i giovani si siano fatti adulti. Va da sé che il sospetto che i vangeli di Luca, Marco, Matteo e Giovanni siano confezionati rispondendo a queste direttive platoniane tradotte in pratica da qualche neoplatonico.

Non più storie di Dèi che combattono la battaglia della vita sotto le mura di Ilio, ma storie di un padrone onnipotente, il Gesù padrone figlio del padrone, che come un novello Socrate pretende che tutti si sottomettano a lui perché come il dio ha detto che Socrate è l'uomo più saggio del mondo, così il dio di Gesù ha dichiarato che quello è suo figlio e tutti si devono mettere in ginocchio davanti a lui.

Se le storie di Omero e la Teogonia di Esiodo erano storie della crescita in cui gli individui veicolavano le loro emozioni per aprirsi alla costruzione del loro futuro, con Platone e i vangeli il futuro è negato perché Platone e Gesù sono la verità alla quale tutti vengono costretti a riconoscere e a sottomettersi. Con Platone e Gesù l'umanità non ha più futuro. Non più battaglie per la vita da combattere sotto le mura di Ilio, ma una tetra cella di una prigione che i carcerieri chiamano: verità!

Platone non è in grado di distinguere il significato simbolico del Mito dal significato razionale o narrativo.

Efesto è gettato dalla montagna da Zeus.

Ma Zeus non è un uomo che getta dalla montagna un altro uomo. Zeus è il costruttore della vita razionale, colui che ha costruito le condizioni affinché la natura, Hera, potesse germinare una volta che è stata vomitata da Cronos e il figlio di Hera, della natura, è Efesto. Un figlio tanto terribile che nella Teogonia di Esiodo Hera partorisce da sola come risposta alla nascita di Atena dalla testa di Zeus dopo aver fagocitato Meti. Efesto è l'unico Essere, a parte Tifone, che ha la capacità di azzerare un presente che sta degenerando e Zeus non è in grado di tollerare facilmente la distruzione di ciò che ha costruito per ricominciare da capo a costruire.

Ciò che noi costruiamo, qualora ciò che noi costruiamo si ritorca contro la vita, deve essere azzerato da un Efesto che sorge ardimentoso spazzando via ogni legame che tende a costringere la realtà nella quale viviamo.

Può un tiranno consentire a qualcuno solo di concepire questa possibilità? Per questo Platone, fingendo di non conoscere il mito e volendo trasformare gli Dèi in super uomini onnipotenti, accusa Zeus di violenza o di malvagità che non deve essere comunicata ai giovani.

Si tratta di motivi per i quali si pensa siano stati scritti il vangelo di Matteo, Marco, Giovanni e Luca, affinché ai giovani si diano esempi di sottomissione. Con un solo particolare: chi vieta ai giovani, anziché sottomettersi, di rivendicare il ruolo dell'onnipotenza di Gesù violentando gli uomini in suo nome?

Scrive Platone nella Repubblica:

"Ciò effettivamente non manca di logica – ammise –, ma se qualcuno ci chiedesse quali siano questi discorsi e quali miti, che dovremmo dire?".
"Al che gli risposi: "Caro Adimanto, almeno fino ad oggi, né io né tu siamo poeti, ma fondatori di uno Stato; e chi fonda uno Stato non è tenuto ad ideare lui stesso dei racconti mitologici, ma ad averne chiare in mente le linee direttive attenendosi alle quali i poeti avranno da costruire i loro miti. E anzi, a loro non sarebbe neppure permesso di comporre opere che esulino da questi orientamenti".
"Va bene – disse – ma tali direttive inerenti la teologia, quali potrebbero essere?".
"Più o meno queste – risposi –: come dio si trova ad essere, così andrebbe sempre raffigurato, sia che lo si faccia in versi epici, o lirici, o nel testo di una tragedia".
"E' necessario".
"Dunque, siccome nella realtà dio è buono, così va raffigurato".
"Come no?".
"Ma non c'è bene che sia nocivo; o non sei di quest'avviso?".
"A me non sembra".
"E potrebbe mai ciò che non è nocivo arrecare danno?".
"Assolutamente no".
"E ciò che non reca danno potrebbe fare del male?".
"Neppure questo è possibile".
"E ciò che non fa male potrebbe essere all'origine di qualche male?".
"E come potrebbe?".
"E il bene non è forse qualcosa di utile?".
"Sì!".
"Allora dal bene non deriva ogni cosa, bensì esso è causa solo di effetti positivi, e di quelli negativi non è causa".
"Assolutamente", disse lui.
"Di conseguenza – continuai –, dio, in quanto è buono, non potrebbe essere responsabile di tutti gli avvenimenti, come i più sostengono; al contrario, nelle vicende umane solo una minima parte gli può essere addebitata, della maggior parte, invece, è incolpevole. Per noi uomini, infatti, i beni sono molto più scarsi dei mali, e se dei primi non si deve trovare nessun altra causa , dei secondi ne dovrà assolutamente trovata un'altra che non sia dio".
"Quel che sostieni sembra assolutamente vero", disse.

A proposito dell'uso dei poeti, dice Platone, noi li usiamo, non siamo noi a dire loro che cosa dire, ma se non lo dicono rispondendo ai criteri che noi abbiamo stabilito, li ammazziamo: come fecero i cristiani!

"E' una legge che mi piace – dice Platone a sé stesso – e tutti condividono l'idea di Platone nel votarla". Anzi, dice Platone, ai poeti non sarebbe permesso di comporre opere che esulano da questi orientamenti. Platone inaugura la creazione della censura nelle opere letterarie. Quella censura che ha insanguinato tutto il periodo del dominio cristiano dove le opere, per essere pubblicate, dovevano avere il timbro dell'inquisitore o dei vari addetti alla censura letteraria. Quella censura che ha portato alla distruzione di tutte le opere filosofiche antiche a parte quelle di Platone.

La censura letteraria di Platone deve essere imposta per salvaguardare il tiranno.

Platone, dopo aver offeso i poeti che parlano degli Dèi, nella sua follia delirante ci dice che il dio andrebbe figurato come si trova ad essere sia che lo si descriva in versi epici o lirici.

Come si trova ad essere il dio?

Siccome nella realtà, dice Platone, dio è buono va raffigurato e descritto come buono.

Né gli Dèi di Omero ed Esiodo, nemmeno quelli degli Orfici, possono essere descritti come "buoni". Gli Dèi vivono le condizioni e le contraddizioni della loro esistenza e, dunque, non sono buoni, ma sono attivi. Sono vivi. Progettano ed agiscono in funzione del loro intento in relazione agli intenti di ogni soggetto nel mondo.

Per Platone la vita degli Dèi deve sparire perché questo "turberebbe le coscienze dei giovani". Il dio va fissato nella dimensione della "bontà" nella quale è statico, lontano dalla vita e padrone della vita e degli uomini: un tiranno. Oppure, se preferite, un dio padrone.

Perché un dio va raffigurato come un "bene", anziché come le condizioni che permettono la vita?

La Terra non è buona. Non è un bene. E' un dio che costruisce sé stesso e, nel costruire sé stesso, costruisce le condizioni affinché noi possiamo esistere. Può la Terra, come Dio, arrecare danno? I terremoti sono azioni della terra e producono danni agli uomini; perché non devo accettare l'esistenza dei terremoti come azione della Terra?

Il bene non è qualche cosa di utile, ma a differenza di quanto afferma Platone, è ciò che mi è utile che assume, eventualmente, l'appellativo di bene.

Dice Platone (parafrasi per comprendere):

"Di conseguenza, il tiranno, Hitler, il macellaio di Sodoma e Gomorra, in quanto buoni non sono responsabili degli avvenimenti delittuosi, come i più sostengono; al contrario, nelle vicende umane solo una minima parte può essere addebitata loro, della maggior parte, invece, è incolpevole. Per gli uomini, i mali prodotti da Hitler, dal tiranno, da Gesù, dal macellaio di Sodoma e Gomorra (come esecutori e mandanti) sono molto maggiori che non le cose positive e funzionali alla vita, come arare, seminare, pascolare e raccogliere i prodotti del lavoro.

L'arte sofista di Platone è quella di rubare agli uomini l'onore per le cose utili e attribuire il merito del prodotto del lavoro al dio padrone, al tiranno, al macellaio di Sodoma e Gomorra, allo stesso modo di come attribuisce la costruzione di Atlantide a Poseidone e la costruzione di Atene ad Atena e Efesto. Nello stesso tempo Platone vuole attribuire il fallimento degli uomini, quando obbediscono al dio padrone, a Hitler, a Gesù, all'incapacità degli uomini per non aver obbedito abbastanza. Sono gli uomini che falliscono, che portano il male, perché il dio padrone, il macellaio di Sodoma e Gomorra, il tiranno o Hitler, sono i padroni buoni e dai padroni buoni non può altro che procedere il bene.

E Platone dice a sé stesso che: "quel che sostiene Platone sembra assolutamente vero!".

Miserabile!

La vita è fatta di condizioni e di contraddizioni che il soggetto, ogni soggetto, deve affrontare per trasformare sé stesso. Negare questa trasformazione a fondamento della vita significa negare la vita stessa riducendo l'uomo ad oggetto di possesso a cui è stata strappata la volontà di vita per sottometterlo alla volontà del tiranno.

Il mondo nel quale nasciamo è il mondo di Zeus e ci trasformiamo per la forza di Crono manipolando le nostre emozioni, la nostra sostanza divina, che è l'essenza di Urano dentro di noi. Ogni Essere Umano evira continuamente Urano per modificare l'Urano che è in funzione dell'Urano che diventa mediante la falce dentata di Cronos. E quel Cronos, ogni Cronos in cui ci trasformiamo, lo rappresentiamo in Zeus per rivendicare ad ognuno di noi stessi, in ogni presente del nostro divenuto, il riconoscimento del nostro essere nel mondo. E ci rappresentiamo allo stesso modo con cui Apollo, con l'arco e la freccia pronta a scoccare, si presenta all'Olimpo e allo stesso modo con cui Atena, nascendo, punta il giavellotto alla gola di Zeus. Può Platone tollerare che l'uomo possa puntare il giavellotto contro la gola del tiranno? Di Hitler? Del macellaio di Sodoma e Gomorra? Di Gesù?

Per Platone è fondamentale negare l'aspetto divino dell'Essere Umano per trasformarlo in schiavo sottomesso.

In questo modo Platone ordina di brucare i libri. In questo modo Platone ordina di distruggere la cultura in onore di quell'oscurantismo che serve al tiranno per dominare gli uomini.

In questo modo Platone legittima la violenza sull'infanzia in modo da costringere l'infanzia a non avere modelli e strumenti con cui affrontare il suo futuro, ma sia costretta alla sottomissione e all'obbedienza al dittatore, al macellaio di Sodoma e Gomorra, all'Hitler, a Gesù, perché per lei non c'è futuro se non nell'obbedienza e nella sottomissione.

Scrive Platone:

"E allora non si può scusare l'errore di Omero, né quello di alcun altro poeta, quando senza alcun fondamento di verità affermano che "due vasi sono posti sulla soglia di Zeus, / ed essi contengono le sorti: l'uno le sorti felici e l'altro quelle funeste"; che colui al quale Zeus consegna una sorte risultato della mescolanza di ambedue i vasi "si imbatte tal volta nel volere del male, tal altra nel bene" e che quello a cui venga dato un destino non attinto da ambedue i vasi, ma per intero dal secondo "sulla terra divina è sospinto da una fame crudele".
"Né si può dire che "Zeus per noi è dispensatore di beni e di mali". Quanto poi alla violazione di patti giurati, di cui Pandaro fu responsabile, se uno dicesse che fu opera di Zeus e Atena, non avrebbe la nostra approvazione, e neppure l'avrebbe se parlasse della contesa fra gli Dèi e del giudizio fatto da Temi e da Zeus. Neppure lasceremo che giunga alle orecchie dei giovani quanto racconta Eschilo: "E' dio che suscita la causa per i mortali, /quando decide di mandare in completa rovina una casa".
"Ma se nel contesto di questi versi giambici, qualcuno cantasse le vicende di Niobe, o quelle dei Pelopidi o le vicende di Troia, o qualche altro tema di questi; o gli si impedirebbe di dire che ciò sia opera di un dio, oppure, che se si ritiene dio responsabile, bisognerebbe escogitare per questi casi una soluzione analoga a quella che noi ora andiamo perseguendo, quando affermiamo che l'azione di dio fu giusta e buona, e che essi nel ricevere la punizione ne trassero vantaggio.
Dunque, ciò che non si deve lasciar dire al poeta è che sia infelice chi paga il fio delle proprie colpe, allorché chi punisce è dio. All'opposto sarebbe lecito definire infelici quei malvagi finché ebbero bisogno di una pena e, invece, beneficiati da dio quando stavano subendola. Insomma, quello che va evitato in ogni modo è che si attribuisca a dio, che è buono, la responsabilità dei mali. Pertanto, nessuno potrà sostenere un tale principio nella sua città se si vuole che questa continui a godere di sane istituzioni. Nessuno, né giovane né vecchio, dovrà prestare orecchio a siffatti discorsi, sia in prosa, in quanto, dicendo ciò, si direbbe empietà, e per giunta opinioni di nessuna utilità per noi e contraddittorie in sé stesse".
"E' una legge che mi piace – disse – e sono d'accoro con te nel votarla".
"Questa, dunque – suggerii –, potrebbe essere una delle leggi che riguardano gli Dèi, e altresì il principio che dio non è responsabile di ogni cosa, ma solo dei beni è una delle linee direttive secondo le quali i narratori dovranno narrare e i poeti comporre".
"Ma a tale proposito – conclude – si è detto abbastanza".

Il principio secondo cui il dio, il tiranno, il macellaio di Sodoma e Gomorra, il Gesù, l'Hitler, non siano responsabili dei delitti che mettono in atto per riaffermare il loro dominio nei confronti degli uomini è un atto criminale che distinguendo uomo da uomo costruisce quella gerarchia dell'assolutismo che seminerà di violenza e di terrore la storia dell'umanità.

Di questa violenza, del terrore, di ogni sterminio per il quale l'uomo, in nome di questo o quel dio, ha insanguinato la storia è attribuibile come responsabilità giuridica e morale alla violenza criminale di Platone.

Platone, con Gesù e il macellaio di Sodoma e Gomorra sono i sanguinari criminali che hanno aggredito il divenire umano nel tentativo di imporre l'ideologia assolutista con cui costringere gli uomini all'obbedienza e alla sottomissione.

Quando è in discussione la vita degli uomini, non si tratta di "estetica", ma di crimini e di legittimità dell'azione, per quanto violenta, per uscire dall'assolutismo che distruggendo la struttura emotiva dell'uomo mediante la sottomissione impedisce all'uomo di liberare il dio che porta dentro di sé sciogliendo ogni legamento o spezzando ogni membra che costituisca coercizione e sofferenza.

L'infamia, che ho attribuita a Gesù, per la sua vigliaccheria di uomo che pretende di essere il padrone, va estesa a Platone. Un uomo immorale, vigliacco, che ha bisogno di imporre sottomissione e dolore perché incapace di vivere in un mondo fatto di Dèi che chiamano gli uomini a combattere la loro battaglia della vita sotto le mura di Ilio.

Marghera, 06 luglio 2017

 

Nota: Il testo da cui son state tratte le citazione è Platone "Tutti gli scritti" a cura di Giovanni Reale ed. Bompiani 2014 traduzione de La Repubblica a cura di Roberto Radice. da pag. 1125 a pag. 1128

 

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Marghera, 06 luglio 2017

Claudio Simeoni

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Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.