Cod. ISBN 9788891185778
Teoria della Filosofia Aperta - Volume uno
Scrive il Bignami di filosofia (ed.1984):
1) Anche la vita religiosa inizia da un'opposizione inconciliabile nei confronti della vita etica, ed ha alla sua base un paradosso
2) Abramo che ha ricevuto da dio l'ordine di uccidere il figlio di Isacco, "ha varcato col suo atto i confini di tutta la sfera morale. Il suo fine è più in alto; al di sopra dell'etica; in vista di questo fine egli sospende la morale".
3) L'amare dio e obbedire ai suoi ordini è un dovere assoluto di fronte al quale "la morale scende al livello del relativo".
4) Ma "se l'individuo si inganna sulla volontà divina, quale salvezza gli rimane?" L'individuo deve avere fede nella sua giustificazione da parte di dio, ma la fede gli può venire solo da dio. Perciò anche nella fede vi è un margine di rischio e di incertezza, che genera angoscia e disperazione.
5) Ma è da questa disperazione, propria dell'uomo "in rapporto con sé stesso", che nasce la salvezza, perché l'uomo avverte la propria finitezza la propria dipendenza da dio, che scende fino a lui per salvarlo.
Kierkegaard vede nell'ordine di dio ad Abramo di uccidere suo figlio come una decisione fuori dalla morale, al di sopra dell'etica, tale da sospendere la morale. Egli vede la stessa cosa nell'atto del suo dio al momento dello scatenamento del diluvio universale, allo scatenamento dei flagelli in Egitto, alla distruzione delle torri di Gerico, al massacro di Sodoma e Gomorra, all'annientamento del fico ad opera dell'arroganza di Gesù. In altre parole, egli vede la sospensione della morale ogni qual volta faccia comodo al padrone.
Kierkegaard, come schiavo angosciato di soddisfare i bisogni del proprio padrone all'interno del quale si annulla, concede al proprio padrone il diritto di falsare la morale ogni qual volta ha interesse a farlo.
Una morale fatta di obblighi e finalizzata alla sottomissione che si applica allo schiavo e non al dio padrone, al comando sociale, all'autorità civile che sono autorità in nome e per conto del dio padrone al di fuori della legge e della morale.
La morale non può essere accettata come regola con cui assoggettare il più debole: è un concetto da assassini; da cristiani.
La morale è quanto si impone a chi è socialmente più forte come suo limite nella relazione. Al Comando Sociale si deve imporre la morale. La limitazione dell'arbitrio va imposta a chi sta in alto nella scala gerarchica. A chi ha il "potere" di danneggiare le persone. Il cristianesimo impone la morale ai più deboli, ma il cristianesimo è una religione di vigliacchi che disprezzano il genere umano trasformandolo in pecore a disposizione del loro padrone. Nel far questo, Kierkegaard giustifica l'azione del Comando Sociale come annientamento dei più deboli che riescono a sopravvivere solo perché sono indispensabili per mantenere i personaggi come Kierkegaard.
L'assoggettamento agli ordini del padrone, per Kierkegaard, è un dovere assoluto. Egli non è in grado di uscire dalla relazione col proprio dio padrone e l'unica sua possibilità è quella di estendere la relazione fra l'uomo e il dio padrone all'intero esistente per giustificare sé stesso. Dunque, la morale diventa relativa davanti al soggettivismo del padrone.
Da questo nasce l'angoscia della compiacenza. Certo il padrone comprende e distingue gli errori fatti in buona fede dagli errori fatti per ingannarlo. Ma la comprensione del padrone può venire soltanto dal padrone stesso. Da una sua scelta, non dai doveri che il dio padrone si è imposto.
Kierkegaard giustifica il terrore ecclesiastico come volere imposto dal dio padrone. Giustifica l'assoggettamento. Giustifica l'annientamento degli individui. Giustifica ogni cosa che soddisfi le brame soggettive del suo dio padrone. Dunque, egli nega l'individuo; nega le trasformazioni; nega il bisogno di libertà. Kierkegaard giustifica lo schiavismo e l'annientamento degli Esseri Umani.
Con che animo un individuo può guardare Kierkegaard mentre percorre il suo cammino verso la sua autodistruzione di agnello che si sacrifica per la gloria del suo dio padrone e, mentre lo fa, annienta l'umanità per la gloria del suo dio padrone?
Di una cosa si deve essere grati a Kierkegaard. Di averci illuminato sul meccanismo dell'angoscia in relazione all'accettazione della sottomissione da parte dell'Essere Umano alla morale e agli obblighi del dio padrone. Se da un lato la sua angoscia suscita in noi un'immensa rabbia per il metodo utilizzato con cui mette gli Esseri Umani in ginocchio, d'altro lato, assistere al meccanismo attraverso il quale ha costruito l'angoscia dentro di lui bloccando l'espressione delle sue emozioni nel mondo, ci aiuta a comprendere quanto grande sia la sconfitta dell'Essere Umano asservito all'immagine di un dio creatore. Ora sappiamo perché Kierkegaard punta sull'individuo. Egli necessita di sviluppare il meccanismo all'interno del quale mettere l'individuo in ginocchio.
La sottomissione di Kierkegaard diventa atrocità quando confronta gli eroi greci ad suo ideale: Abramo.
Scrive Kierkegaard in Timore e Tremore:
La differenza fra l'eroe tragico e Abramo balza agli occhi facilmente. L'eroe tragico rimane ancora dentro la sfera etica. Per lui ogni espressione dell'etica ha il suo "...." in un'espressione etica superiore; egli riduce il rapporto etico fra padre e figlio o fra padre e figlia a un sentimento che ha la sua dialettica nel suo rapporto all'idea di moralità. Non ci può essere questione di una sospensione teleologica dell'etica.
L'oggetto dell'azione dell'eroe tragico è il futuro della società in cui vive. La tragedia indica come per costruire un futuro possibile o un futuro desiderato, il dio, l'eroe, l'attore, sacrifica qualche cosa. Sacrifica il suo tempo, sacrifica parte del suo presente, in funzione di un futuro che non è mai suo, ma della società a cui appartiene.
Fare o non fare una guerra, vincere o perdere una guerra, o una contraddizione, aprono a futuri diversi. Futuri desiderati o futuri vissuti con apprensione e angoscia. L'eroe greco si fa dio nel suo presente e prende nelle proprie mani la formazione di un futuro possibile. Di un destino possibile che non è "nelle mani degli Dèi", ma è nelle sue mani e nelle sue scelte. Non abbandonarsi al destino comporta un sacrificio. Ma quanto più grande sarebbe il sacrificio se l'eroe, che ha la possibilità di agire per modificare il presente vissuto, rinunciasse a farlo?
E' Medea che ci indica il futuro possibile. Lei per Giasone ha rinunciato al ruolo di potere che rivestiva; lei che ha dato a Giasone la sua conoscenza, il suo sapere fino a rappresentare tutto ciò nella tragedia sotto forma di bellezza che ha donato a Giasone e che ha permesso a Giasone, attraverso lei, di partorire i suoi figli. I figli che Giasone ha avuto attraverso Medea si chiamano vello d'oro, potere, sopravvivenza, costruzione di un possibile futuro. E' Medea il dio che agisce nella vita di Giasone ed è Medea che partorisce il futuro possibile di Giasone.
Quando Giasone, con le sue scelte, condanna quel futuro per sostituirlo nella ricerca di un nuovo e diverso futuro, Medea distrugge il presente che lei ha costruito. E' Giasone che ha scelto di negare il dio che ha costruito quel presente rifiutando, con la sua scelta, il futuro che da quel presente germinava.
L'azione di Medea è tragica, ma solo nel suo aspetto estetico. Distruggere i suoi figli è distruggere il futuro a cui Giasone ha rinunciato. Giasone, ripudiando Medea, ha ripudiato la vita. La sua scelta è fatta nella speranza di diventare il padrone di Corinto. La brama di possesso induce Giasone a rinunciare alle trasformazioni della propria esistenza. Lo induce a rinunciare a vivere per poter possedere.
Se nella tragedia e nel mito la vendetta di Medea è violenta, nella realtà fattiva è un insegnamento degno di Ecate. Per lasciare la via della vita e imboccare la via del possesso è necessaria una morte come è necessaria la morte dell'individuo che abbandona la via del possesso per la via della vita.
Morire significa abbandonare gli strumenti fisici-psico-emotivi con cui si era attrezzati per affrontare la vita percorrendo quel tipo di via. La via del possesso e la via della vita necessitano di strumenti diversi, di strutture fisico-psico-emotivi diverse, spesso opposte e sempre alternative.
E' il delirio di onnipotenza, costruito nella propria psiche da Giasone per la vicinanza di Medea e del suo potere di trasformazione, che prende il sopravvento in Giasone e lo spinge a farsi padrone di Corinto. Il delirio di onnipotenza lo porta a perdere tutto.
Questa è la tragedia di Medea.
In tutte le tragedie greche l'eroe paga col suo presente la possibilità di costruire un futuro. Paga con qualche cosa che gli è caro. Questo è tragico. Ma non paga, tanto per pagare. L'eroe vive una tragedia nel presente per aprire un futuro alla società in cui vive. L'eroe è colui che si fa dio e, modificando il presente con la sua volontà e con la sua azione, costruisce un futuro che diventa "destino" o se vogliamo, possibilità per la società in cui l'eroe vive.
Scrive Kierkegaard in Timore e Tremore:
Diversa è la situazione di Abramo. Egli ha cancellato con la sua azione tutta l'etica ottenendo il suo "...." superiore fuori di essa, rispetto al quale ha sospeso questa. Infatti mi piacerebbe sapere come si può mettere l'azione di Abramo in rapporto al generale e se è possibile scoprire un punto di contatto qualsiasi fra ciò che Abramo ha fatto e il generale, se non quella trasgressione che Abramo ha compiuta. Non per salvare il popolo, non per affermare l'idea dello Stato, non per placare l'ira degli dei Abramo lo fa. Se fosse in ballo l'ira della divinità, Dio dovrebbe prendersela solo con Abramo, l'azione non sta in nessun rapporto col generale ma è un'impresa puramente privata. Perciò, mentre l'eroe tragico è grande per la sua virtù morale, Abramo è grande per una virtù puramente personale. Nella vita di Abramo non c'è espressione etica più alta che questa: il padre deve amare il figlio. L'etica nel significato di moralità qui non entra assolutamente in questione. Qualora il generale fosse presente, esso sarebbe celato in Isacco e come nascosto, per così dire, nei lombi d'Isacco". Si dovrebbe allora gridare con la bocca d'Isacco: non lo fare, tu distruggi tutto!
Con la sua azione Abramo ha cancellato la vita.
Non ha scelto fra la vita e il possesso, ma ha scelto fra la vita e l'essere posseduto dal suo dio padrone.
Kierkegaard immagina l'esistenza di un "ideale superiore" nell'azione di Abramo. Per Kierkegaard non c'è ideale superiore alla sottomissione e all'annientamento soggettivo per la gloria del dio padrone.
Il dio padrone ordina ad Abramo di ammazzare suo figlio, di sacrificargli il suo futuro. In realtà, il dio padrone vuole il possesso di Abramo. Il dio padrone vuole che Abramo non ambisca a nessun futuro, ma solo a servirlo. A diventare un oggetto di possesso; un oggetto che egli possiede.
Abramo non è Medea che ha costruito il futuro di qualcuno. Abramo non è Giasone che aspira a farsi padrone della città di Corinto. Abramo è lo schiavo che ambisce alla benevolenza del proprio padrone.
Abramo è pronto ad uccidere suo figlio: glielo ordina il suo dio padrone.
Abramo è pronto a costruire i campi di sterminio: glielo ordina il dio padrone.
Abramo è pronto a vendere sua moglie per il profitto.
Abramo pensa al mondo come oggetti senza volontà, senza emozioni, senza capacità di progettare o di vivere il loro futuro. Oggetti, cose nelle mani del suo dio padrone che ne dispone a piacere.
Abramo si è dimesso dal consesso degli uomini e della vita per diventarne il suo aguzzino in nome del suo padrone.
Per questo Abramo compie il volere del suo dio padrone: per la più spregevole delle motivazioni.
Scrive Kierkegaard in Timore e Tremore:
E allora perché Abramo lo fa? In nome di Dio ed è del tutto identico, in questo caso, in nome proprio. Lo fa in nome di Dio, perché Dio esige questa prova della sua fede; lo fa in nome proprio per poter portare questa prova. L'umiltà è espressa benissimo dall'espressione con cui sempre s'indica questa situazione: è una prova, una tentazione. Una tentazione, ma cosa questo vuoI dire? VuoI dire di solito ciò che vuoI distogliere l'uomo dal compiere il proprio dovere: ma qui la tentazione è la stessa etica che vuoI distogliere l'uomo dal fare la volontà di Dio. Ma cos'è allora il dovere? Il dovere è appunto l'espressione de la volontà di Dio. Qui si mostra la necessità di una nuova categoria per comprendere Abramo. Un simile rapporto verso la divinità è sconosciuto al Paganesimo. L'eroe tragico non si presenta con un rapporto privato alla divinità, ma è l'etica la realtà divina: qui perciò il paradosso si dissolve nella mediazione dell'universale. Per Abramo non ci può essere mediazione, e questo si può anche esprimere dicendo: Abramo non può parlare. Appena parlo, io esprimo il generale e se non lo faccio nessuno mi capirebbe. Appena allora Abramo vuole esprimersi in termini generali, deve dire che la sua situazione è una tentazione", poiché egli non ha un'espressione più alta del generale che stia al di sopra del generale ch'egli trasgredisce.
Non esiste una nuova categoria entro la quale conchiudere il comportamento di Abramo: si tratta di viltà ed empietà. La viltà che lo porta a macellare le persone più deboli per sottometterle al proprio padrone e l'empietà come disprezzo per le forze della vita dalle quali è germinato.
Abramo diventa il modello comportamentale per l'ebreo, come il Gesù sacrificato diventa il modello comportamentale del cristiano con cui sacrificare i popoli glorificando il "dolore" del suo dio padrone. Si tratta di due modelli con cui definire i comportamenti delle rispettive "religioni" nel mondo e nella società. Gli ebrei che devono macellare i bambini degli altri popoli che non si sottomettono al popolo eletto da quel dio padrone. Sterminare i bambini per trasformare in deserto il futuro degli Esseri Umani esaudendo il desiderio del dio padrone di Abramo. La strategia di dominio dei popoli mediante il genocidio dei bambini, esiste solo la bibbia ebrea e cristiana e viene messa in pratica ogni volta che l'ebreo o il cristiano ne ha occasione.
Vedi alcuni passi della bibbia di ebrei e cristiani:
"E il dio padrone disse a Mosé: "Non temere perché io ti ho dato nella mani lui, tutti i suoi e il suo paese; trattalo come hai trattato Seon, re degli Amorrei, che abitava in Esebon". E [gli ebrei] percossero lui, i suoi figli e tutto il suo popolo, al punto che non rimase nessuno in vita, e ne conquistarono il paese." Numeri 21, 34-35
"Beato chi prenderà e sbatterà i pargoli tuoi contro i macigni!" Salmo 137 (136), 9
"Egli voltatosi li guardò e li maledisse nel nome del dio padrone; allora due orse, sbucate dal bosco, sbranarono 42 di quei ragazzi" II Re 2, 24
"I loro bambini saranno sfracellati sotto i loro occhi, le loro case saccheggiate, le loro donne violate. Ecco, io susciterò contro di essi i Medi che non badano all'argento e non hanno cupidigia d'oro" Isaia 13, 16-17
"I figli di Levi fecero secondo la parola di Mosé e in quel giorno perirono fra il popolo circa tremila uomini." Esodo 32, 28
"Verso mezzanotte il dio padrone degli ebrei percosse tutti i primogeniti d'Egitto, dal primogenito del Faraone, erede al trono, al primogenito del prigioniero che era in carcere come tutti i primogeniti degli animali." Esodo 12, 29
"Io pure mi ostinerò con furore contro di voi, e vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati. Al punto che mangerete la carne dei vostri figliuoli e la carne delle vostre figliuole." Levitico 26, 28-29
"E percossero lui, i suoi figli e tutto il suo popolo, al punto che non rimase nessuno in vita, e ne conquistarono il paese." Numeri 21, 35
"Mosé, il gran sacerdote Aleazaro e tutti i capi della comunità andarono loro incontro fuori del campo. ma Mosé s'addirò contro i comandanti dell'esercito, capi di migliaia e capi di centinaia, che tornavano da quella guerra e disse loro: "Perché avete lasciato in vita tutte le donne? Furono proprio esse, che per suggerimento di Balaam, sedussero i figli d'Israele trascinandoli verso l'infedeltà verso il dio padrone, nel fatto di Fegor, per cui scoppiò il flagello in mezzo al popolo del dio padrone. Or dunque, uccidete tutti i bambini maschi e tute le donne, che hanno avuto rapporti intimi con un uomo; invece le fanciulle vergini, che non hanno ancora conosciuto l'uomo, serbatele in vita per voi"." Numeri 31, 13-18
"In quel tempo prendemmo tutte le sue città, le quali furono votate allo sterminio con i loro abitanti uomini, donne e bambini: non lasciammo nessuno in vita." Deuteronomio 2, 34
"Noi le votammo alla distruzione, come avevamo fatto con quelle di Seon, re di Esebon, votando all'anatema uomini, donne e bambini di ogni città." Deuteronomio 3, 6
E così avanti, per pagine e pagine di deliri e di macelli per la gloria del dio padrone di Kierkegaard. La vita viene calpestata. Le persone annientate in maniera sistematica. Uomini donne e bambini vengono macellati affinché quelle persone non abbiano nessun futuro.
E' la vigliaccheria di Abramo che consegna suo figlio al suo dio padrone esaltando il diritto al genocidio del suo dio padrone. Abramo commette il delitto di vigliaccheria rispetto alla vita. Si dedica al genocidio e all'empietà della vita e non ha giustificazioni se non nel delirio dedito al genocidio nel desiderio di Kierkegaard di compiacere il suo dio padrone.
Come Abramo non ha saputo sottrarre suo figlio dal piacere del suo dio padrone di farglielo macellare, così, per compiacere il dio padrone, gli ebrei metteranno alla base della loro ideologia il genocidio dei bambini di ogni città, di ogni etnia, di ogni religione a maggior gloria del loro dio padrone. In questo modo pensano di dare una patente di legittimità alla vigliaccheria sottomessa di Abramo, padre del loro "popolo", che con quell'atto intende legittimare ogni delitto per la gloria del dio padrone: non lo faccio per la carne, lo faccio per lo spirito. Dice Paolo di Tarso. Ma il dolore che provochi in nome del tuo dio padrone è il dolore della vita che invoca Nemesi contro il tuo dio padrone.
Scrive Kierkegaard in Timore e Tremore:
Perciò mentre Abramo suscita la mia ammirazione, nello stesso tempo mi spaventa. Colui che rinnega se stesso e si sacrifica per il dovere, rinunzia al finito per afferrare l'Infinito, ne è abbastanza sicuro; l'eroe tragico lascia il certo per ciò ch'è ancor più certo e l'occhio dell'osservatore riposa tranquillo su di lui. Ma colui che lascia il generale per afferrare qualcosa di ancor più alto del generale, che fa? è possibile che questa non sia altro che una tentazione? Se questo è possibile, il Singolo che sbagliasse, che salvezza ci sarebbe mai per lui? Egli soffre tutto il dolore dell'eroe tragico annientando la sua gioia mondana, rinunzia a tutto e forse nello stesso momento si sbarra la via per la gioia superiore che gli era cara e ch'egli vorrebbe comperare a ogni prezzo. L'osservatore non lo può comprendere, né posare su lui l'occhio tranquillo. Forse neppure è possibile fare ciò che il credente intende, poi- ché questo è impensabile. Oppure se si facesse questo, se il Singolo avesse frainteso la divinità, quale salvezza ci sarebbe per lui? L'eroe tragico ha bisogno di lagrime e reclama le lagrime, e dov'è l'occhio invidioso che fosse così sterile da non piangere con Agamennone, ma dov'è colui dall'animo così traviato da 'Osar piangere su Abramo? L'eroe tragico compie la sua azione in un momento di tempo determinato; ma nello scorrere del tempo, egli compie qualcosa che non è da meno, egli visita colui la cui anima è stretta dal dolore, il cui petto è soffocato dai singulti, i cui pensieri si librano pregnanti sopra di lui, fecondati dalle lagrime; egli si presenta a lui, gli toglie la fattura del dolore, gli scioglie i lacci dal busto, gli asciuga le lagrime affinché il sofferente dimentichi le proprie sofferenze in quelle di lui. Su Abramo non si può piangere. A lui ci si avvicina con un horror religiosus come Israele si avvicinò al monte Sinai (Exod., 20, 18 sgg.). - Se allora l'uomo solitario che sale il monte Moria, il quale con la sua cima svetta com'è alto il cielo sopra la pianura di Aulide; s'egli non è un sonnambulo che cammina sicuro sull'abisso, mentre chi sta ai piedi del monte e lo sta a guardare trema di angoscia, di rispetto e spavento senz'osare di chiamarlo una volta pensando: chissà se quell'uomo non si confonde in se stesso, chissà se non sta commettendo uno sbaglio! - Grazie tante! ancora grazie a colui che porgesse a chi è stato sopraffatto dai dolori della vita e abbandonato nudo, la frase, la foglia della parola (Gen., 3, 7) con cui potesse nascondere la sua miseria.
[...]
Ma quando ora l'etica è sospesa teleologicamente, come esiste il Singolo nel quale essa è sospesa? Egli esiste come il Singolo in contrasto al generale. Pecca egli allora? Infatti questa è la forma del peccato, visto nell'Idea; proprio come il bambino, anche se non pecca (poiché egli non ha coscienza della sua esistenza come tale), la sua esistenza vista nell'Idea è peccato e l'etica reclama la sua esigenza a ogni momento. Se si nega che questa forma si può ripetere in modo che non sia peccato, Abramo allora è condannato. Egli credette (Rom., 4, 3). Il tutto si conclude con l'esaltazione dell'uomo che ha avuto il "coraggio" di sterminare i deboli e gli indifesi. Si esalta colui che si è separato dalla vita per diventare braccio armato ed esecutore della volontà stragista del dio padrone. Kierkegaard esalta l'assoluta assenza di capacità critica di Abramo e ne esalta la perfezione con cui si è sottomesso al suo dio padrone pronto ad uccidere il proprio futuro e pronto ad usare quel futuro per praticare il genocidio delle persone affinché queste non avessero nessun futuro.
Tutto è perversione in Abramo.
Tutto è viltà.
Tutto è negazione della vita.
Abramo fonda l'ideologia del campo di sterminio del XX secolo.
Come possono gli ebrei essere diversi da Hitler?
Non sono forse uguali nello sterminare donne, uomini e bambini prigionieri che non si possono difendere?
Il delirio di onnipotenza di Hitler non prende forse forma proprio nella bibbia? Nel suo identificarsi con gli ebrei sterminatori di ogni popolo a maggior gloria del loro dio padrone? Non è forse l'ideologia della bibbia che ha formato il delirio della razza eletta che prima ha macellato i Rom e i nemici politici e poi gli stessi ebrei?
Macellare i popoli è l'unico fine della religione ebraica. Macellare i popoli per costringerli a sottomettersi al dio padrone degli ebrei, è il fine del cristianesimo: non fu questo l'effetto principale con cui si giustificò il colonialismo?
L'angoscia e la melanconia che Kierkegaard ha suscitato in sé stesso per l'incapacità di veicolare la propria libido nel mondo, lo ha trasformato in profeta del genocidio in nome del suo dio padrone. Se il processo di Norimberga ha condannato gli esecutori del genocidio, un processo di filosofia condanna Kierkegaard all'infamia perpetua.
Non esiste in Kierkegaard un respiro di vita. Non esiste uno spiraglio di pensiero aperto ad un futuro possibile per quanto risibile. Esiste solo l'esaltazione alla volontà di sottomissione al proprio dio padrone. Esistono solo dimissioni dal consesso della società civile.
Su Kierkegaard c'è la condanna della società civile, come la condanna giuridica per i fatti di genocidio, dovrebbe essere comminata al dio dei cristiani e ad ogni cristiano che assume su di sé la responsabilità della sua esecuzione sia materiale che morale.
Questa è la vita religiosa agognata da Kierkegaard. La vita religiosa che Kierkegaard vuole estendere a tutte le persone come amabile e desiderabile.
Nota le citazioni:
Kierkegaard scritto sotto lo pseudonimo di Johannes de Silentio "Timore e tremore" ed. BUR 1986
Kierkegaad ha scritto sotto lo pseudonimo di Victor Eremita "Aut-aut" ed Mondadori 1956
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Nel 1995 (mese più, mese meno) mi sono posto questa domanda: se io dovessi confrontarmi con i filosofi e il pensiero degli ultimi secoli, quali obiezioni e quali argomenti porterei? Parlare dei filosofi degli ultimi secoli, significa prendere una mole di materiale immenso. Allora ho pensato: "Potrei prendere la sintesi delle loro principali idee, per come hanno argomentato e argomentare su come io mi porrei davanti a quelle idee." Presi il Bignami di filosofia per licei classici, il terzo volume, e mi passai filosofo per filosofo e idea per idea. Non è certo un lavoro accademico né ha pretese di confutazione filosofica, però mi ha permesso di sciacquare molte idee generate dalla percezione alterata nel fiume del pensiero umano. |
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Marghera, 24 luglio 2012 Claudio Simeoni Meccanico Apprendista Stregone Guardiano dell’Anticristo Tel. 3277862784 e-mail: claudiosimeoni@libero.it |
Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.