Cod. ISBN 9788891185785
Teoria della Filosofia Aperta - Volume due
Scrive il Bignami di filosofia (ed.1984):
1) Sul sentimento morale, oltre che sul metodo dell'esperienza, Stuart Mill fonda anche le sue teorie economico-politiche, che si possono sintetizzare in un liberalismo progressista.
2) Egli crede in un sistema democratico rappresentativo, nel quale anche le minoranze vengano ascoltate e nessuna classe sociale possa "respingere le altre ai margini della vita politica".
3) Il benessere della comunità, e in particolare delle classi popolari, deve essere la conseguenza dell'autogoverno e della giustizia, con un'opportuna distribuzione della ricchezza.
4) Mill non accetta le teorie del socialismo, perché teme che, "per amore dell'uguaglianza", possano mettere in forse la libertà individuale
Stuart Mill fonda le proprie teorie economico-politiche sulla legittimità di trafficare in schiavi e di danneggiare la società degli individui. Nel suo trattato "Della libertà di pensiero e discussione" Stuart Mill esalta la malvagità assoluta in contrasto con la necessità di libertà dell'uomo.
Scrive Stuart Mill in "Della libertà di pensiero e discussione" edito da Stampa Alternativa 1994 a pag. 26-27
Questo riconosciuto maestro di tutti i pensatori illustri vissuti in seguito -la cui fama, ancora crescente dopo più di duemila anni, quasi supera tutti gli altri nomi che rendono celebre la sua città natale - fu messo a morte dai suoi concittadini, dopo una condanna del tribunale, per empietà e immoralità. Empietà, per aver negatogli Dèi riconosciuti dallo Stato; anzi il suo accusatore sostenne (vedi l'Apologia) che non credeva in nessun dio. Immoralità, per aver "corrotto la gioventù" attraverso le sue dottrine e i suoi insegnamenti. Esistono fondati motivi per credere che il tribunale lo trovò in tutta onestà colpevole, e condannò l'uomo, che probabilmente, fra tutti quelli nati fino ad allora, avrebbe meritato ciò che di meglio può offrire l'umanità, ad essere messo a morte come un criminale.
Passiamo da questo al solo altro caso di iniquità giudiziaria la cui menzione, dopo la condanna di Socrate, non può certo essere considerata un anticlimax: l'evento del Calvario più di mille e ottocento anni fa. L'uomo che ha lasciato nella memoria di quelli che testimoniarono la sua vita e la sua parola una tale impressione della sua grandezza morale, al quale i diciotto secoli successivi hanno reso omaggio come l'Onnipotente fatto persona, fu ignominiosamente messo a morte. Perché? Perché blasfemo. Gli uomini non solo non riconobbero il loro benefattore, ma lo scambiarono per ciò che era il suo esatto contrario, e lo trattarono come quel prodigio d'empietà che oggi riteniamo essi furono, per il modo in cui lo trattarono. I sentimenti con cui l'umanità oggi giudica queste azioni deplorevoli, specialmente la seconda, li rendono estremamente ingiusti nel giudizio degli infelici protagonisti. Questi ultimi, secondo ogni apparenza, non erano malvagi, non peggiori di quanto siano comunemente gli uomini, piuttosto il contrario; uomini che condividevano in giusta misura, o forse in misura eccessiva, i sentimenti religiosi, morali, e patriottici del loro tempo e della loro gente: il tipo di persone che, in ogni tempo, compreso il nostro, hanno ogni probabilità di trascorrere la loro vita nell'onore e nel rispetto. Il sommo sacerdote che si strappò le vesti quando furono pronunciate le parole che, secondo tutte le idee del suo paese, rappresentavano la colpa più nera, era con ogni probabilità tanto sincero nel suo orrore e nella sua indignazione quanto lo è, nei sentimenti religiosi e morali che oggi professa, la generalità degli uomini rispettabili e pii. E la maggioranza di quelli che oggi inorridiscono a quella sua condotta, se fossero vissuti in quel tempo, e fossero stati ebrei, avrebbero agito esattamente nello stesso modo.
Davanti a due individui come Gesù e Socrate, malvagi assoluti, Stuart Mill non ha nulla da obbiettare. E' la questione della ricerca della legittimità del traffico di schiavi. Sia Gesù che Socrate si presentano davanti agli uomini affermando di essere "messaggeri", "inviati", "figli" del dio padrone a cui gli uomini si devono sottomettere in quanto loro sono i loro padroni. Questa condizione viene indicata da Stuart Mill come il modello della libertà sociale.
Che cos'è la libertà sociale per Stuart Mill?
E' la libertà di trafficare in schiavi.
Le considerazioni che fa Stuart Mill dei due processi serve a legittimare il diritto di trafficare in schiavi. Mill non discute del delitto di Socrate e non discute del delitto di Gesù. Discute della condanna di Socrate e quella di Gesù. Parte dal presupposto che la condanna sia ingiusta. Non parte dal presupposto che Socrate e Gesù erano dei criminali. E' la condanna l'oggetto di discutere di Mill e non il delitto sottoposto a processo né le implicazioni sociali del delitto stesso.
Il trafficante di schiavi non ha obblighi nei confronti degli schiavi. Gli schiavi, oggetti di possesso privati di ogni diritto, non devono processare il loro padrone né possono chiedere giustizia per i suoi delitti.
Per Mill la società può essere distrutta dal padrone o dai padroni di quella società e, per estensione, da tutti coloro che considerano sé stessi dei padroni di quella società. La società, nell'ideologia di Mill, è formata da schiavi che devono subire passivamente l'attività di distruzione dei padroni sociali esattamente come lo schiavo, data la sua condizione, deve subire passivamente l'attività del suo padrone.
Il processo non è contro le idee di Socrate o le idee di Gesù. I processi contro Socrate e contro Gesù sono processi contro le implicazione dell'organizzazione sociale imposta con la violenza da Socrate e da Gesù. Il processo è contro l'attività di eversione dell'ordine democratico ad opera di un eversore che attenta alla società civile e non contro la manifestazione del pensiero.
Analizziamo ciò che afferma Socrate come descritto nell'Apologia di Platone:
Or da questi esami mi son nate molte inimicizie, o Ateniesi, e molto aspre e fierissime, dalle quali sono nate molte calunnie, fra l'altre questa: ch'ei mi chiamano sapiente. Imperocché ogni volta che argomento contro gli altri, mostrando che non sono sapienti, quelli che stanno lí credono che sapiente sia io. No, cittadini, quel che pare è questo: sapiente davvero essere Iddio, e volere Egli dire per quell'oracolo che la umana sapienza vale poco o nulla: ed è chiaro che non intende Socrate, e che usa del mio nome a fine di porre me a esempio, come se dicesse: - Colui tra voi, o uomini, è sapientissimo, il quale come Socrate conosciuto ha ch'ei non vale nulla in sapienza -. Onde anche ora vo guardando intorno, e cerco tra i cittadini e forestieri chi io creda essere sapiente; e, secondo l'Iddio, lo esamino; e se poi non mi pare tale, aiutando io l'Iddio, gli mostro che non è sapiente. Cap. IX
Tratto da:
Platone - L'apologia di Socrate (IV secolo a.C.)
Traduzione di Francesco Acri (XIX secolo)
Acri 19 marzo 1834 21 novembre 1913 XIX secolo/XX secolo, filosofo
Tratta dal sito:
http://it.wikisource.org/wiki/L%27apologia_di_Socrate
è con questa indagine, cittadini ateniesi, che mi sono attirato l'ostilità più aspra e profonda di parecchia gente: donde sono poi nate le varie calunnie, fra cui quest'etichetta di sapiente che mi porto addosso. Ogni volta, infatti, gli ascoltatori concludono che sia io il sapiente nel campo in cui confuto altri. Ma probabilmente, cittadini, davvero sapiente è il dio, e con quel suo oracolo intende dire che la sapienza umana vale poco o niente. Solo in apparenza si riferisce a questo Socrate qui: al mio nome ricorre perché mi usa come un esempio, come per dire: "Il più sapiente fra voi, uomini, è colui che come Socrate si sia reso conto che quanto a sapienza non val nulla". Ecco perché continuo le mie peregrinazioni cercando e ricercando, secondo l'indicazione del dio, chi fra cittadini o forestieri possa giudicare sapiente: e quando mi sembra che non lo sia, reco aiuto al dio mettendone in piazza l'insipienza. Così indaffarato, non ho avuto temp o da dedicare a faccende pubbliche né private, per importanti che siano, e insomma rendere questo servizio al dio mi ha gettato nella più grande miseria.
Tratto da:
Apologia di Socrate di Platone a pag. 113 Fabbri Editori 1996:
NOTA: In questo caso ho usato due traduzioni per il medesimo brano. La prima traduzione di Francesco d'Acri ci permette di capire la relazione fra Socrate e il dio come suonava nella testa dei filosofi nel XIX secolo. La seconda traduzione è oggi di più facile lettura.
Qual è l'azione di Socrate?
E' quella di andare da ogni costruttore, artigiano o poeta, a chiedere spiegazioni. Come se lo scalpellino conoscesse le ere geologiche e il poeta l'espressione della struttura emotiva delle persone. Costoro, secondo Socrate, non sono sapienti nella loro arte perché non rispondono ai requisiti di sapienza stabiliti da Socrate che agisce su indicazioni del dio mettendo, per conto del dio, in piazza l'insipienza. Lui, Socrate, il padrone della sapienza che "sa di non sapere" aggredisce ogni soggetto che agisce svuotandolo della volontà e dell'intelligenza con cui agisce attraverso una dimostrazione della sua insipienza.
Carneade gli ha dato del presuntuoso!
Che ne direbbe Socrate di discutere della struttura neuronale e delle sue funzioni con i moderni ricercatori biologici?
Dimenticavo: lui sa di non sapere e certamente i moderni ricercatori biologici, avendo molto da imparare, apparirebbero a Socrate come degli insipienti.
Socrate ha detto di "sapere di non sapere", mica lo puoi fare fesso.
Già, ma il maestro d'ascia che costruiva una nave non conosceva la sintesi clorofilliana, non per questo non ha costruito navi con cui Atene ha solcato i mari. La sua saggezza e il suo sapere erano palesi mentre, Socrate, nell'aggredirlo per dimostrarne l'insipienza, agiva per impedire che quella saggezza mettesse in mare navi con cui solcare il mondo. Ogni artigiano e ogni poeta aveva le sue idee sulla realtà del mondo. Al pari di Socrate tali idee oggi le consideriamo parziali o errate, ma non per questo tali persone hanno smesso di agire per migliorare la società nella quale vivevano. Cosa che non si può dire per Socrate.
Socrate mangiava il pane che mani sapienti cuocevano.
L'azione di Socrate è un'azione malvagia e criminale: aggrediva ogni individuo per "ridurre a nulla quelli che sanno!" (Paolo di Tarso).
Umiliare le capacità di una società di guardare al proprio futuro, in nome del dio padrone di cui Socrate era l'artefice.
L'azione di Socrate è un'azione distruttiva per la città. Socrate, stando all'Apologia di Platone, non oppone idea ad idea. Non dice a questa persona: "Tu fai questo anziché fare quell'altro!". Socrate si limita a distruggere ciò che viene fatto danneggiando la città e i cittadini sia nelle condizioni di benessere economico (rinuncia alle ricchezze) che nel benessere fisico (rinuncia al benessere del corpo).
Dice ancora Socrate nell'Apologia scritta da Platone a pag. 35 e 37 Fabbri Editori 1996:
Perciò anche se ora mi lasciate andare senza prestare ascolto ad Anito, secondo il quale o non bisognava fin dall'inizio farmi arrivare sin qui oppure, una volta che vi sono giunto, non è possibile non condannarmi a morte, in quanto - osservava - se me la cavassi i vostri figli, continuando a praticare gli insegnamenti di Socrate, finirebbero per corrompersi del tutto ... se influenzati da tali considerazioni mi diceste: "Socrate, ora ti lasciamo andare senza dar retta ad Anito, ma a condizione che tu non passi più il tempo nelle tue ricerche e smetta di filosofare: e se sarai trovato recidivo, morirai» ... se insomma mi lasciaste andare alle condizioni che ho detto, vi ribatterei che, pur nutrendo per voi amicizia e affetto, concittadini, preferisco obbedire al dio piuttosto che a voi, e finché avrò vita e forze non cesserò di far filosofia e di esortarvi, rivolgendomi a chi di voi incappi sul mio cammino col mio solito predicozzo dimostrativo: "Ehi tu, eccellentissimo fra gli uomini e cittadino di Atene, che è la città più grande e gloriosa per sapienza e potenza, non ti vergogni di rivolgere le tue cure alle ricchezze, per accumularne il più possibile, e alla fama e al prestigio, anziché curarti e darti pensiero di saggezza e verità e della perfezione dell'anima?». E se qualcuno di voi ribatterà che invece se ne cura, non lo congederò subito né me ne andrò io, ma lo interrogherò, lo esaminerò, lo confuterò; e se lo troverò privo di virtù, e se ne dichiarasse tuttavia dotato, gli rinfaccerò il poco conto in cui tiene le cose di maggior valore, privilegiando invece quelle vili. Farò lo stesso con chiunque incontrerò, giovane o vecchio, forestiero o cittadino: ma soprattutto con voi, cittadini, che più vicini mi siete per nascita. Non faccio che seguire un comando divino, sappiatelo: sono convinto, anzi, che la missione che svolgo per il dio sia il bene massimo che vi è toccato in questa città. Il mio girovagare ha la sola funzione di persuadervi, giovani e vecchi, di non curarvi del corpo né delle ricchezze più o altrettanto che della perfezione dell'anima, rammentandovi che non dalle ricchezze viene la virtù, ma dalla virtù le ricchezze e tutto ciò che fa bene all'uomo, sia nella sfera privata che in quella pubblica. Se con siffatti discorsi corrompo i giovani, vorrà dire che sono dannosi; ma affermare che son diversi da questi sarebbe una falsità. "Perciò, Ateniesi" vi direi "fidatevi di Anito o no, lasciandomi andare o no: io comunque non muterò la mia condotta, neanche dovessi morire più d'una volta.»
Socrate non dice che finché avrà vita lavorerà per il benessere della società, ma dice che finché avrà vita inciterà gli uomini a rinunciare alle ricchezze e a non dedicarsi alla cura del corpo. Con quale diritto di saggezza, se non per viltà e per violenza, Socrate si permette di considerare alcune cose vili e altre nobili? E' un atto di eversione. Nessuno di coloro che curano il corpo dicono a Socrate che non deve curare l'anima. Nessuno di coloro che coltivano le ricchezze dicono a Socrate che non deve curare la povertà. Ma se aggredendo le ricchezze Socrate induce a pessime condizioni di vita per la città, non si tratta di idee, ma di attività di eversione finalizzata a distruggere la città.
E per quali fini Socrate fa questo? Per obbedire ad un dio padrone. Solo che la sua obbedienza al dio padrone che gli ordina di fare ciò, lo certifica come padrone della città. Un padrone al quale la città, per seguire la virtù indicata dal dio, deve rinunciare alla ricchezza, pertanto alla capacità di difendersi dalle aggressioni esterne, e deve far ammalare i corpi in funzione dell'anima. Un'anima la cui esistenza viene millantata mediante un atto di fantasia patologica da Socrate che non è in grado di dimostrare la presenza di un'anima senza un corpo che la manifesti.
Platone nella sua Apologia vuole dirci come sia ingiusto il processo a Socrate. Come sia ingiusto processare chi intende distruggere la società. Non ci dice che Socrate era un criminale. Platone ci dice che Socrate aveva il diritto di distruggere la società ateniese e il processo contro di lui era ingiusto perché lui, Socrate, parlava in nome del dio padrone.
Ora, le stesse azioni, con incitamento all'odio armato, le troviamo anche in Gesù. Sia nell'Apologia che nei vangeli appaiono i cambiavalute. I banchieri dell'epoca contro cui Gesù usa la frusta e Socrate inveiva.
La distruzione della ricchezza e la distruzione del corpo per impossessarsi dell' "anima", cioè della struttura psichica delle persone, era sia il progetto di virtù di Socrate che quella di Gesù
Questa non è libertà di pensiero: questa è libertà di trafficare in schiavi.
E' la pretesa di avere la libertà di distruggere la società in funzione della sottomissione a Socrate o a Gesù che si ritengono i padroni della città stessa e, come tali, in diritto di imporre le regole ai cittadini.
Contro di loro Stuart Mill non inveisce, ma si identifica in loro e, come funzionario della Compagnia delle Indie, si ritiene in diritto di colonizzare il pianeta trasformando i popoli in suoi schiavi.
Come spesso accade nei filosofi che hanno al centro del loro discorso una ricerca ossessiva del diritto di trafficare schiavi, non analizzano le posizioni delle "parti in conflitto" perché non considerano il loro filosofare un conflitto con una realtà che la loro "logica" tende a modificare o dominare. Nell'educazione platonica e cristiana il filosofo è espressione del dio padrone, una sorta di "padrone del pensiero filosofico della società". Non fa eccezione Stuart Mill che, anziché analizzare le pulsioni sociali che generano il conflitto ideale nella società, si erge al di sopra di essa come un novello Socrate o un novello Gesù.
Scrive Stuart Mill in "Della libertà di pensiero e discussione" edito da Stampa Alternativa 1994 a pag. 70-71
Credo che per produrre una rigenerazione morale del genere umano qualsiasi altra etica che non derivi esclusivamente da fonti cristiane debba coesistere con quella cristiana; e che il sistema cristiano non costituisca l'eccezione alla regola secondo cui, nella condizione imperfetta del pensiero umano gli interessi della verità richiedono la diversità d'opinione. Non è necessario che gli uomini, smettendo di ignorare le verità morali che il cristianesimo non contiene, debbano ignorare alcuna di quelle che contiene. Pregiudizi o sviste del genere, se solo capitano, sono un male totale; ma non possiamo mai sperare di esserne immuni, e dobbiamo considerarli come il prezzo da pagare per un bene inestimabile. Si deve protestare contro la pretesa esclusiva di una parte della verità di essere l'intera verità; e se un impulso di reazione rende chi protesta a sua volta ingiusto, questa unilateralità, come l'altra, può essere deplorata, ma deve essere tollerata. Se i cristiani insegnano ai pagani ad essere giusti nei confronti del cristianesimo, debbono essi stessi essere giusti nei confronti del paganesimo. Non rende alcun servizio alla verità chiudere gli occhi di fronte al fatto, noto a chiunque abbia una minima conoscenza della storia letteraria, che molti dei più validi e più nobili insegnamenti morali sono opera non solo di uomini che non conoscevano la fede cristiana, ma di uomini che la conoscevano e la rifiutavano. Non pretendo che il diritto d'esercitare illimitatamente la libertà di affermare una qualsivoglia opinione possa porre fine ai danni del settarismo religioso e filosofico. Ogni verità della quale gli uomini di mentalità ristretta si sentono assolutamente convinti sarà certamente asserita, inculcata, e spesso verrà applicata come se non esistesse al mondo altra verità, o in ogni caso come 'se non ve ne fosse alcuna che possa limitarla o precisarla. Riconosco che la più libera discussione non cura la tendenza delle opinioni a diventare settarie, anzi spesso l'accresce e l'inasprisce; la verità che avrebbe dovuto mostrarsi ma non si è mostrata subisce un rifiuto tanto più violento perché asserita da chi è considerato un oppositore.
Mill si guarderà bene da quelle teorie sociali che tenderanno a rendere l'uomo uguale al dio padrone e che potrebbero chiedere al dio padrone di rispondere dei reati commessi: come con il re o come la Compagnia delle Indie.
Non è sufficiente affermare: ascolto tutte le parti. Quando si usano gli eserciti per macellare una parte non si sta ascoltando nessuno. Quando il cristiano, per ordine di Gesù, ammazza chi non si mette in ginocchio davanti al suo dio o alla Compagnia delle Indie, sta macellando la società. Quando Socrate schernisce l'artigiano o il poeta o il politico per il solo fine di dimostrarne l'insipienza convinto di possedere una saggezza che è solo negazione dell'esistenza, sta aggredendo la società. Non sta esprimendo un'opinione. Quando si usano gli eserciti per macellare una parte, significa che ciò che si vuole ascoltare è solo ciò che si è deciso di voler ascoltare. Ascoltare non significa sentire delle parole. Ascoltare significa analizzare quanto viene detto e rispondere nel merito: quando si esalta chi incita ad annientare la vita, come Gesù o Socrate, non si sta ascoltando ma aggredendo. Si sta spargendo terrore in nome di un padrone . Sia esso Gesù, Socrate, il dio padrone dei cristiani, il re d'Inghilterra o la Compagnia delle Indie. E' allora che non si è uguali: uguali nei diritti e nei doveri al dio padrone dei cristiani, a Gesù, a Socrate, al re d'Inghilterra o alla Compagnia delle Indie. Questa è l'uguaglianza che terrorizzava il pensiero "filosofico" di Stuart Mill.
Questa è l'ideologia sociale liberale.
Teoria della Filosofia Aperta - Volume due
vai indice del sito |
Quando un percorso sociale fallisce o esaurisce la sua spinta propulsiva, è bene tornare alle origini. Là dove il pensiero sociale è iniziato, analizzare le incongruenze del passato alla luce dell'esperienza e abbattere i piedistalli che furono posti a fondamento del percorso sociale esaurito. |
Vai all'indice della Filosofia Aperta |
Marghera, 20 dicembre 2012 Claudio Simeoni Meccanico Apprendista Stregone Guardiano dell’Anticristo Tel. 3277862784 e-mail: claudiosimeoni@libero.it |
Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.