Settimo volume:
cristianesimo, nazi-fascismo, identitarismo e sovranismo
la genesi dell'assolutismo
capitoli del settimo volume della Teoria della filosofia aperta
Premessa
Quando i filosofi dell'Accademia di Atene arrivarono in India iniziarono a discutere sulla realtà e sull'illusione del reale con dei filosofi che incontrarono. Si trattava dei jainisti, i gimnosofisti. Persone che vivevano nude "vestiti di cielo" e che i filosofi cinici, al seguito di Alessandro Magno trovarono, sia pur nella forma esteriore, molto simili al loro ideale di vita.
I jainisti spiegarono loro che la realtà non è un'illusione, ma che può essere percepita in vari modi e che l'uomo ha varie possibilità, a seconda di come è in grado di articolare la propria percezione nel mondo e nella vita, di percepire in maniera diversa la realtà vissuta.
In particolare, si può dividere, schematicamente, la percezione in cinque livelli e ad ogni livello corrisponde lo sviluppo della coscienza e della conoscenza dell'individuo.
Dividere le possibilità di percezione dell'uomo significa poterne parlare e poter determinare, ipoteticamente, i confini entro i quali una percezione è determinata e, superati i quali, si inizia ad entrare in un altro livello di percezione umana. Non esistono confini fra un modo e l'altro di percepire e vivere la realtà nella quale viviamo. Il nostro corpo fisico percepisce la realtà in tutti i suoi aspetti e a questa si adatta, ma la nostra attenzione, la nostra coscienza, seleziona aspetti del reale vissuto in base alle proprie trasformazioni e al proprio divento.
L'incontro dei filosofi vicini all'accademia e i jainisti portò alla nascita dello scetticismo greco. Quell'idea secondo cui le cose non sono esattamente quello che appaiono perché il loro apparire è ciò che noi interpretiamo della cosa e non la cosa in sé che può essere, sicuramente, ben altro di come noi vogliamo che sia.
Ovviamente, dato uno schema sulla formazione della conoscenza dei jainisti, la Stregoneria interpreta quel medesimo schema partendo dall'esperienza della pratica della Stregoneria trasformandola in filosofia metafisica propria della Religione Pagana.
Il mondo della ragione - ragione come parole
Il primo livello o il livello più immediato lo chiamavano Mati (io non so come si pronuncia, non esattamente come si scrive, ma mi interessano i contenuti).
La conoscenza importata dai jainisti, detti allora gimnosofisti, portò la fine dell'accademia platonica e l'avvento dell'era dell'accademia ad indirizzo scettico.
La Mati dei jainisti corrisponde alla conoscenza razionale. E' il conoscere del bambino che impara a parlare e nel parlare descrive il mondo dando un nome agli oggetti.
Questa conoscenza va sotto il nome di "ragione" e forma la coscienza dell'individuo mediante l'analisi del presente in cui vive. E' una conoscenza in cui gli oggetti vengono definiti e agli oggetti, che si presentano all'attenzione del bambino, viene dato un nome.
Questo tipo di conoscenza ha la sua massima conoscenza nel sapere scientifico. Il sapere scientifico è un'analisi sempre più approfondita dei meccanismi e delle forme che concorrono a formare i fatti che noi viviamo.
Questo tipo di percezione si scontra con la superstizione. La superstizione, all'analisi delle condizioni che concorrono a manifestare i fatti e le situazioni, contrappone una volontà o condizioni esterne ai fatti e alle situazioni. Superstizione come qualcosa che sta sopra, che governa, che determina, la realtà razionale che viene descritta.
Fu la guerra della ragione contro l'oscurantismo che caratterizzò le trasformazioni sociali nel XVIII e nel XIX secolo. La ragione doveva liberare la descrizione del mondo, che l'individuo formava, dalle ragioni altre che l'oscurantismo anteponeva come cause della descrizione che l'individuo viveva. Il mondo non veniva vissuto in quanto mondo, ma in quanto causa di Dio e in Dio doveva ricondurre ogni possibile riflessione sul mondo.
Oggi la vita sociale è regolata su principi che, anche quando non hanno una base scientifica, sono comunque frutto di sperimentazione, analisi o ipotesi di lavoro. Nonostante questo, un'enorme massa di cittadini è ancora costretto a sottostare alla superstizione, all'oscurantismo ideologico (vedi complottisti o commercianti di fake news) per essere controllati e manipolati.
Il conoscere scientifico e razionale, supportato dalle parole e dalla descrizione, è un cammino di sviluppo della coscienza che non dovrebbe mai essere interrotto.
Una volta che le persone sviluppano la loro descrizione del mondo, la Mati, attraverso l'analisi del mondo in cui vivono e dall'analisi deducono la descrizione e la realtà del mondo che descrivono, è necessario raggiungere un secondo livello di conoscenza che non inficia il precedente, ma lo amplia.
Il mondo della ragione - ragione come linguaggio non verbale
Questo viene chiamato dai jainisti Sruti.
In cosa consiste questo livello di conoscenza?
Mentre la ragione, chiamata Mati, è dominata dalle parole che descrivono il mondo, la Sruti è una ragione caratterizzata dal simbolismo e dal linguaggio non verbale che caratterizza la maggior parte della comunicazione fra gli Esseri della Natura. In sostanza, il linguaggio verbale, la Mati, è una parte specifica della Sruti, il linguaggio simbolico non verbale, dal quale la Mati si è separata. Come Esseri Umani, la prima cosa che insegniamo al bambino appena nato è parlare. Però, la specie umana ha imparato a parlare separandosi dalla Natura nel corso del suo divenuto in milioni e milioni di anni. Il linguaggio non verbale ha preceduto l'assunzione del linguaggio verbale da parte della specie umana.
Questa comunicazione, che è contenuta sempre nella ragione, è una comunicazione col linguaggio del corpo, con gli odori, con i gesti e con la presenza dei soggetti nel mondo. Nel caso della specie umana, anche con segnali corporei e con espressioni facciali.
Il cane che scodinzola invia un messaggio. Interpretare correttamente quel messaggio è fonte di conoscenza. Gli odori delle piante. i gesti, i suoni della natura, i segnali che si comprendono col il tatto. C'è un immenso che comunica attorno a noi e dal quale gli uomini, mediante l'assunzione del linguaggio, si sono separati.
C'è tutto un universo razionale che può essere definito col linguaggio, ma che non ha nella parola la fonte della comunicazione e della relazione.
Per sviluppare questo livello di conoscenza è necessario pensare all'altro o agli oggetti del mondo come Esseri uguali a noi, con la stessa intelligenza, ma diversi nella forma della comunicazione.
Ciò che allontana l'uomo da questo tipo di conoscenza è l'arroganza e la presunzione di essere superiori ai soggetti del mondo in cui viviamo
Per raggiungere questo tipo di conoscenza è necessario toglierci dal "centro del mondo". Uscire dal concetto di "superiorità di specie", "superiorità di razza", "esseri superiori creati da Dio" e quant'altro ci separi dal mondo.
Ogni persona, per fare un esempio, che vive a stretto contatto con un gatto riesce a capire, prima o poi, i segnali che il gatto gli invia. Il problema è che i gatti, tanto per fare un esempio, capiscono il linguaggio umano, ma spesso gli uomini non capiscono il linguaggio dei gatti.
Capire una parte dei segnali simbolici del mondo fa parte del secondo livello della conoscenza che i jainisti chiamano Sruti.
Una volta che siamo consapevoli della forma e della quantità del mondo, Mati, e siamo riusciti a comprendere come l'intelligenza ha altri linguaggi, non verbali, riconoscendo l'intelligenza in altri abitatori del mondo. Forse non saremo mai in grado di comprendere tutti gli infiniti linguaggi del mondo che ci circonda, ma assumiamo la consapevolezza che esistono. Cessiamo in questo modo di essere arroganti nei confronti di altri abitatori del mondo e sospendiamo il giudizio per ciò che, al momento, non capiamo nell'attesa della possibilità di comprenderlo. Questa consapevolezza è, secondo i jainisti, la Sruti.
La descrizione del mondo mediante le parole, la Mati, e la descrizione del mondo mediante il non-verbale, rappresentano aspetti diversi del mondo della ragione. Il nostro mondo quotidiano.
Non è necessario conoscere tutti i linguaggi, è necessario, però comprendere come tutto il mondo comunica con un infinito numero di linguaggi anche se noi siamo estranei a quei linguaggi.
Alcuni li comprendiamo, altri li intuiamo, di altri conosciamo la possibilità e, da altri ancora, probabilmente, saremo sempre separati, ma sappiamo che potrebbero esserci. Il "potrebbero esserci" non è un effetto dell'immaginazione, ma è la constatazione che alcuni fenomeni, che noi osserviamo, avvengono producendo scopi e fini che possono avvenire con un "accordo", una comunicazione.
Il mondo del tempo - il tempo come mondo
A questo punto si presenta, secondo i jainisti, il terzo livello della conoscenza, l'Avadhi.
La percezione del mutamento e della trasformazione come momento dell'esistere è chiamato dai jainisti l'Avadhi. Una conoscenza che inizia a formarsi nel momento stesso in cui iniziamo a pensare che il giorno dopo non è più come il giorno prima. Un coscienza che nasce dentro di noi come necessità di modificare la forma e la rappresentazione di come si presenta il mondo attorno a noi.
La prima idea di quando l'Avadhi emerge è: cambiamento.
Normalmente, le persone che arrivano a questa conoscenza tendono a modificare il mondo, arano i campi, allevano animali, lavorano. In sostanza, partendo dal loro desiderio, modificano il presente degli oggetti per ottenere un fine, uno scopo, un risultato.
Lavorare, agire, è il fondamento magico dell'Avadhi.
L'Avadhi è mutamento e diventare il padrone e signore del mutamento, del mutare e della direzione in cui le cose devono mutare è il fine e lo scopo del lavoro come arte della costruzione della conoscenza.
L'Avadhi è composta di due aspetti: il mondo che muta e noi stessi che mutiamo in un mondo che muta.
Questo "mutare nel mutamento" è il secondo livello dell'Avadhi dei jainisti.
Capire che si possono cambiare le cose e le situazioni nelle quali viviamo, è un atto di consapevolezza che porta l'uomo ad agire in contrapposizione ad un non agire prodotto, esclusivamente, dalle religioni assolutiste che impongono all'uomo l'attesa di un intervento esterno, di una provvidenza, degli effetti di una reincarnazione, di un karma, di un disegno divino capace di determinare migliori condizioni per la loro esistenza.
Se la conoscenza si ferma a questo punto, viene a fissarsi una sorta di "delirio di onnipotenza", nel senso che l'uomo che agisce finisce per pensare sé stesso come una sorta di "padrone" della realtà in cui agisce e che tende a modificare in funzione delle proprie necessità.
Questo modo di essere si eleva ad ideologia e va a formare l'idea del Dio dei cristiani a cui i cristiani attribuiscono ogni azione ed ogni modificazione della realtà in quanto detentore del potere assoluto che modifica il mondo in modo assoluto.
Questa fase viene superata attraverso la consapevolezza che l'uomo stesso, noi stessi, ci modifichiamo all'interno di una realtà che si modifica e che, a nostra volta, ci induce ad adattarci alle modificazioni della realtà sia quando tali modificazioni sono introdotte nella realtà quotidiana da soggetti altri, sia quando siamo noi stessi ad introdurre nella realtà delle variabili alle quali ci adattiamo trasformandoci.
Questo grado di consapevolezza, non porta l'individuo a progettare la modifica del mondo in cui vive, ma lo porta a progettare la modifica di sé stesso, della propria percezione, della propria psiche, del proprio fisico in funzione dei migliori adattamenti in una realtà che si trasforma. L'atleta non adatta forse il proprio corpo alla specialità sportiva che vuole praticare? Lo stesso vale per tutte le possibilità sia fisiche che psichiche dell'uomo.
In questo livello di coscienza l'uomo che agisce tiene conto sia di sé stesso che si trasforma, sia della realtà nella quale si trasforma arrivando spesso a soggettivare i bisogni della realtà facendoli propri.
Il secondo livello della conoscenza che i Jainisti chiamano Avadhi è il riconoscimento della trasformazione soggettiva nelle trasformazioni dell'oggettività.
Il raggiungimento di questa consapevolezza permette all'uomo di accedere al cuore della conoscenza dell'Avadhi che può comprendere tutto il mondo dell'esistenza dell'uomo.
Il mondo della forma, della ragione, non ha vocaboli o immagini per descrivere la rappresentazione del mondo del tempo. Tuttavia ci si deve provare per tentare di rendere l'idea di una realtà che può essere solo vissuta e non descritta.
Già il fatto che affermiamo che può essere vissuta e non descritta implica la "morte" della ragione nel controllo della coscienza e una diversa coscienza, formata da una trasformazione continua che diventa una coscienza priva di memoria di sé perché continuamente distrutta e continuamente ricostruita.
Provate a pensare un oggetto fermo. Nel mondo del tempo un oggetto fermo è invisibile. Non esiste.
Nel mondo del tempo un oggetto appare solo nel momento in cui esprime azioni. La sua qualità e la sua forma sono quelle delle azioni che quell'oggetto mette in atto.
Un oggetto è mentre si trasforma, o trasforma l'ambiente, e non è nel momento in cui cessa la trasformazione di sé o dell'ambiente.
Il movimento, la trasformazione, è la realtà tangibile dell'esistenza mentre la non esistenza è data dalla mancanza di movimento, dalla mancanza di trasformazione.
Si tratta di una realtà che noi viviamo continuamente e dalla quale la nostra ragione ci ha separati perché la nostra ragione, che controlla la nostra coscienza e la nostra conoscenza, ha un prima e un dopo. Non ha un durante. Il mondo del tempo è il mondo di Cronos da cui Zeus ha separato il mondo della ragione. E' il tempo che ha generato la ragione.
Quello è il mondo che i jainisti definiscono dell'Avadhi. Un mondo senza memoria come noi la pensiamo ma è il mondo che costruisce noi e la vita.
Nella formula reichiama di tensione-accumulo-carica-scarica-rilassamento, l'Avadhi si colloca nella scarica. Si tratta del momento che porta dal prima al dopo senza lasciare memoria del passaggio fra l'uno e l'altro. La nostra coscienza razionale ha memoria della tensione-accumulo-carica, poi muore, perché la scarica la destabilizza, per poi ricostruirsi nella fase di rilassamento.
Aver coscienza dell'Avadhi, del mondo del tempo, significa aver la coscienza di agire per costruire. Essere immersi in quel mondo significa essere immersi in una trasformazione che inghiotte tutto l'apparato percettivo della persona che può funzionare solo se la persona si stacca dalla forma e dalla quantità. Nel mondo del tempo i soggetti diventano pura azione. Un'azione che diventa sostanza, ma che non ha la capacità di permanere. Diventa disastroso quando la persona vive nel mutamento, ma vuole far sì che il mutamento coincida con la sua ragione e con la forma.
La disciplina per agire nella coscienza del mutamento separandolo dalla coscienza razionale necessita dell'addestramento dello Stregone. Un addestramento fatto di azioni ed esperienza, trasformata in modificazioni della ragione, fino a diventare capace di separare i vari mondi dentro sé stesso nei diversi momenti della vita, anche se inevitabilmente questi interferiscono l'uno dell'altro.
Il mondo emotivo - l'emozione come mondo
Il quarto livello di conoscenza è la consapevolezza del mondo emotivo. I jainisti chiamano questo Manahparyaya. Il mondo si rappresenta per le emozioni che i soggetti riversano nel mondo. Noi siamo le emozioni che rappresentiamo nel mondo.
In questo mondo gli oggetti sono le emozioni. Le emozioni sono l'oggetto che manifesta sé stesso come soggetto alla percezione delle emozioni di ogni soggetto che si manifesta come emozioni nel mondo.
Diventare consapevoli che dietro ad ogni azione, ad ogni trasformazione, c'è il concorso di intelligenze che agiscono in base ai propri bisogni e alle proprie necessità, porta a diventare consapevoli che quei bisogni e quelle necessità sono espressione di desideri emotivi che vengono veicolati nel mondo.
L'emozione, espressa da un corpo desiderante è la prima espressione di vita, la base di ogni vita della natura e di tutto l'universo. Il primo attimo, in cui una frazione di materia divenne consapevole di sé stessa, separando sé stessa dal mondo circostante, fu "desiderare" e, in quel desiderare, riversare la propria vita: le proprie emozioni. Il desiderare è la forza che costringe l'emozione ad esprimersi.
Tutti i viventi, tutti i consapevoli che compongono l'universo, comunicano attraverso le emozioni.
Le emozioni sono il fondamento di ogni comunicazione, di ogni conoscenza e di ogni consapevolezza. La relazione fra ogni soggetto e ogni oggetto, comunque noi lo pensiamo, dell'universo è relazione emotiva. La vita stessa è emozione. L'emozione è effetto del desiderio. La vita desidera e comunica il proprio desiderio con le emozioni. Nella comunicazione emotiva viene manifestato il proprio desiderio e, perciò, i propri intenti, le proprie aspirazioni, i propri progetti, le proprie intenzioni. Dall'emozione sorge l'azione. Noi assistiamo a soggetti che mettono in atto la loro volontà per agire; noi non assistiamo all'insorgere dell'emozione che costringe il soggetto ad agire sospendendo la sua ragione nell'azione.
Il mondo emotivo, quando le persone vi immergono la loro coscienza e la loro consapevolezza, appare come un mondo di nebbia, privo di forma, dove tutto respira. In quel respiro c'è tutto il soggetto con cui si entra in relazione. Quel respiro (non ho altri termini con cui definirlo anche se non è respiro, ma è percepito come tale) è portatore di tutto il soggetto con cui entriamo in relazione e permette di percepire tutto il soggetto in sé stesso. Come due innamorati che entrano in sintonia e i cui cuori battono all'unisono.
Descrivere il mondo emotivo attraverso la ragione è impossibile perché quando l'emozione sorge potente in noi, la ragione muore, sparisce dal controllo della coscienza. La ragione è estranea all'emozione e l'emozione è "nemica" della ragione. Atena, la ragione, porta sul petto Medusa, l'emozione, perché la ragione, per quanto ampia, da sola, non è in grado di abitare il mondo.
Il tratto più forte che collega l'insorgenza emotiva con la vita razionale, quotidiana, è l'innamoramento e l'orgasmo.
Questo aspetto di relazione fra quella che i Jainisti chiamano "Mati", la ragione, e la Manahparyaya, il mondo emotivo, non è mai stato reciso e la ragione si è adattata ad accogliere l'emozione salvo porre limiti, condizioni e paletti. Quando l'emozione sessuale insorge travolge il controllo della coscienza da parte della ragione, la ragione si annulla, muore, poi riprende il controllo della coscienza nella fase di rilassamento una volta prodotto l'orgasmo.
Solo che l'orgasmo, come espressione emotiva, è solo una frazione dell'insieme emotivo col quale ogni Essere partecipa al mondo, ma è talmente importante per la vita che anche la ragione deve riconoscerlo a fondamento della vita stessa.
Infatti, nel mito si dice che Zeus (la ragione) combatte i Titani che rinchiude nel Tartaro, ma apre le porte ad Afrodite, nata dal pene di Urano, perché Afrodite è l'emozione a fondamento della vita e la ragione, senza la vita, non esiste.
Il mondo che i jainisti chiamano Manahparyaya è, dunque, il mondo emotivo e corrisponde, più o meno, alla distinzione monoteista di "corpo e anima" con la differenza che l'emozione si può esprimere nel mondo solo attraverso il corpo perché solo la materia può emozionarsi e senza la materia, il corpo, l'emozione non può esistere.
Potremmo dire che la materia per emozionarsi diventa "materia vivente". Rispetto alla nostra percezione, la materia vivente è un "cambiamento di stato" rispetto alla materia che pensiamo "non vivente" e nel momento in cui la materia diventa vivente il mondo in cui la materia abita, cambia di stato perché non è più un mondo per-sé e in-sé, ma diventa un mondo percepito per-sé da una materia che si fa soggetto modificando quel mondo attraverso il proprio desiderio.
Il mondo continua ad essere per-sé e in-sé ma viene coinvolto dalla materia vivente attraverso le sue emozioni date dalla sua necessità di essere in-sé e per sé.
La materia emozionata e la materia non-emozionata (quello che consideriamo vivente e non vivente) interagiscono in una relazione dove a modificarsi non è il mondo, che noi pensiamo come statico, ma la materia che si emoziona e che tende a modificare continuamente sé stessa per preservare il suo desiderio emotivo che esprime nel mondo.
L'emozione è l'oggetto stesso di espressione del corpo vivente nel mondo e l'emozione, espressa nel mondo, modifica il soggetto affinché il soggetto possa meglio esprimere l'emozione nel mondo.
L'emozione è materia che si esprime nella materia per agire in un mondo materiale e sviluppare l'emozione. La materia non è solo quella che i sensi razionali individuano come materia perché la materia e l'energia, in realtà, sono la stessa cosa: elementi materiali organizzati in maniera diversa e in maniera diversa percepiti dal soggetto. Che la si chiami materia o la si chiami energia, sempre un corpo materiale è.
Pertanto, la materia che si emoziona manipola la materia emotiva e la materia emotiva manipola la materia da cui è manifestata per esprimere il desiderio di vita nel mondo in cui quella coscienza desiderante è venuta in essere.
L'emozione è materia organizzata in un modo specifico che pervade ogni materia organizzata in un diverso modo.
L'emozione è energia organizzata in un modo specifico che pervade ogni energia organizzata in un diverso modo.
E' sempre lo stesso mondo percepito e vissuto in modo diverso a seconda dell'organizzazione soggettiva da cui si manifesta la coscienza soggettiva.
Noi soggettivamente, nel mondo della ragione, distinguiamo, genericamente, la materia dall'energia come se fossero due cose distinte. La scienza ci dice che sia la materia che l'energia sono molte cose, si presentano in vario modo e la loro struttura interna è diversa. Come dire che, un conto è un fotone e un altro conto un bosone. Come dire che, la materia che costituisce la cellula di un mammifero è diversa da ciò che compone un frammento di roccia carsica.
E' sempre materia organizzata in maniera diversa e tendenzialmente predisposta a diventare coscienza di sé anche se la nostra ragione non la percepisce in quanto tale. Nel momento che diventa coscienza di sé l'emozione si muove in quella materia e quella materia veicola l'emozione nel mondo che viene percepita, in diverso modo, da ogni altra emozione che è compartecipe alle medesime o simili trasformazioni.
Il mondo del Manahparyaya è il mondo dell'emozione che abita il mondo. Un mondo antico che era prima che i frammenti della materia mettessero in atto azioni e trasformazioni nel mondo e prima che nascesse la ragione che distingueva il mondo in forme e in quantità.
Il mondo, definito dai jainisti con la parola "Manahparyaya", è il mondo da cui scaturisce quella che noi chiamiamo vita perché l'insorgenza emotiva è la causa stessa della vita. L'insorgenza emotiva è un mondo in sé stesso. L'insorgenza emotiva è il sorgere di Afrodite dalle acque.
Nel Mito, questo è il mondo di Urano Stellato. Urano Stellato, come emozione in sé, esprime Eros Primordiale, Fanete, l'Intento, che, nato dal primo respiro dell'universo, è qualità in potenza della materia e dell'energia di tutto l'universo.
Può essere annullato il mondo della forma e della ragione, la vita continua. Se sparisse il mondo di Cronos, quello che i Jainisti chiamano "L'Avadhi" la vita non si trasformerebbe nella forma, ma nemmeno l'emozione, come materia, potrebbe espandersi.
Se sparisse il mondo che i jainisti chiamano "del Manahparyaya" sparirebbe la vita stessa. Sparirebbero le coscienze da tutto l'universo.
Tutto ciò ci porta all'ultimo stadio dello sviluppo della coscienza e della consapevolezza che i jainisti chiamano "Kevala".
L'emozione plasma il corpo luminoso - il corpo luminoso guida la vita
La materia che si emoziona si esprime nella materia esprimendo materia emotiva.
Materia che ha l'intento di essere materia emotiva e materia emotiva che ha l'intento di esistere e di persistere.
Materia che agisce nel mondo mediante la volontà soggettiva e che, nel farlo, compatta e plasma la materia emotiva soggettiva che si adatta alle condizioni del mondo per potersi esprimere.
Come una cellula procariota che si genera per scissione, così (più o meno) la coscienza del soggetto si scinde a mano a mano che la sua attività plasma la sua materia emotiva esprimendola nel mondo sotto forma di energia che coinvolge la sua volontà.
Il mondo Kevala è il mondo inconoscibile. Non perché sia un diverso mondo da quello che noi abitiamo, ma perché la qualità del mondo che la coscienza emotiva percepisce e dal e nel quale elabora la sua conoscenza, per le sue necessità, è inconoscibile da parte sia della coscienza razionale che dalla coscienza in grado di abitare e padroneggiare il mutamento.
Dentro ogni Essere della Natura, Essere Umano nel nostro caso, abitano coscienze e consapevolezze diverse di noi stessi. Coscienze che percepiscono e abitano in maniera diversa lo stesso mondo che noi razionalmente abitiamo, ma di quel mondo traggono conclusioni diverse perché diverse sono sia le necessità soggettive che i fenomeni percepiti (e la diversa qualità percepita del medesimo fenomeno).
Fra queste coscienze dentro di noi si ergono poderosi sbarramenti. Ogni coscienza deve essere separata dall'altra. Ne va della sanità psichica delle persone.
Per quanto Zeus abbia separato la coscienza razionale dalle altre possibili coscienze mediante "porte di bronzo", dall'ampio tartaro, da altre coscienze soggettive che abitano in noi, ogni tanto giunge, alla coscienza dominante la persona, informazioni e intuizioni di una realtà diversa che la scuotono e la rendono consapevole dell'immenso da cui è separata come un'isola in un oceano di acque sconosciute.
La coscienza che abita il mondo del Kevala (che poi non è un solo livello di mondo, ma questo esula da queste riflessioni) è separata dalla coscienza che abita il mondo della vita quotidiana.
Ma la coscienza razionale non può esistere senza emozionarsi, necessita dell'emozione e, proprio per questa necessità, la coscienza che domina la nostra quotidianità ha costruito, giorno dopo giorno, una coscienza emotiva che la abita mentre l'Avadhi, il mutamento, costruisce una sorta di ponte fra la coscienza quotidiana e la coscienza emotiva che si plasma e si costruisce azione dopo azione.
Affinché il ponte funzioni e dalla coscienza emotiva, che si sta via via rafforzando dentro alle persone, possa emergere l'intuizione o l'illuminazione, è necessaria l'azione della coscienza quotidiana: l'Avadhi. L'intuizione e l'illuminazione non emerge "tanto per emergere", ma emerge data la necessità del soggetto di agire nel modo più profittevole possibile. E' la necessità d'azione che apre le porte della coscienza razionale all'intuizione.
L'azione crea una particolare necessità nella coscienza razionale che la costringe ad attingere alla coscienza emotiva e alla sua qualità di percezione del mondo per poter portare a buon fine il suo agire. Per portare il mutamento ad essere vantaggioso per sé stessa.
Ciò che giunge alla coscienza dominante va sotto il nome di intuizione o illuminazione. Un'idea che accende per un attimo la coscienza. Un'insorgenza emotiva che per un attimo porta la coscienza dominante a variare la sua "idea" di mondo.
La coscienza emotiva, costruita dall'individuo, protegge l'individuo e la coscienza quotidiana perché deve continuare a crescere. Fintanto che la coscienza razionale può agire nel mondo, la coscienza emotiva può continuare a crescere.
Quando un individuo nasce è materia emozionata che si adatta alle condizioni del mondo in cui è venuta in essere.
La materia emozionata si trasforma in coscienza e in consapevolezza che cresce. La materia emozionata è il corpo dell'individuo. E' l'Avadhi, l'azione con cui la materia emozionata ha pervaso la materia crescendo e formando un corpo alimentando la coscienza di quel corpo nei suoi processi attraverso i quali si adatta al mondo.
Il corpo umano, una volta nato, sembra quasi fermare l'Avadhi. In realtà il corpo pratica l'Avadhi in sé stesso, crescendo, e fuori di sé stesso alimentando la comprensione del mondo e adattandosi ad esso.
La coscienza di quel corpo, un po' alla volta, abbandona la coscienza e la conoscenza del mondo emotivo, Manahparyaya, per fissarsi nel mondo della ragione, la Mati. Un po' alla volta l'individuo, crescendo, fissa la sua coscienza sulla Mati perché la Mati, la ragione con cui descrivere il mondo, è più funzionale (riceve risposte migliori) nelle relazioni con il mondo in cui è venuto in essere.
In questo processo la Manahparyaya diventa "espressione dell'emozione nella Mati" e l'azione non è il mondo dell'azione, ma diventa la cronaca della successione di presenti in cui la ragione, la Mati, ricorda sé stessa.
In tutto questo processo di crescita rimane il "potere della nascita" che si trasforma in necessità di relazione fra sé e il mondo. Una necessità talmente forte da impegnare tutta l'energia disponibile del soggetto che attraverso la sua volontà cerca la soddisfazione del proprio desiderio.
Giorno dopo giorno l'individuo prende la sua energia emotiva e la impasta come un fornaio che impasta acqua, farina e lievito. Amalgama la sua energia emotiva, la Manahparyaya, attraverso le azioni, l'Avadhi, per ottenere un mondo della ragione, la Mati, diverso dalla Mati che sta vivendo.
Impasta, impasta giorno dopo giorno e mentre l'individuo vive impastando produce dentro di sé il Kevala: un corpo cosciente di sé di energia emotiva.
L'uomo e la donna producono il sé stesso, l'altro sé stesso, che è sé stesso che vive in sé stesso.
Può apparire come una scissione della coscienza, ma non è una scissione perché l'uno non può vivere senza l'altro e l'uno e l'altro si alimentano vicendevolmente. Interagiscono per il solo fine di poter continuare ad agire nel mondo e continuare ad interagire.
E' tuttavia un corpo e una coscienza fisica che abita un corpo fisico e che, pur separato dalla coscienza razionale (la separazione o l'interazione sono soggettivi e dipendono sia dalla volontà che dall'attività di ogni singolo soggetto), diventa la forza progettuale della coscienza razionale perché i suoi desideri e le sue necessità diventano i desideri e le necessità della coscienza razionale al di là di come la coscienza razionale può rappresentarli nel mondo.
Non si progetta la propria vita perché si pensa (descrive) un progetto di vita, ma è il corpo luminoso che cresce e intuisce le possibilità alimentando l'intuizione nella coscienza razionale che si "illude" di progettare e, invece, si limita a descrivere e a giustificare l'intuizione emersa dentro di sé. Il corpo luminoso, Kevala, progetta in base alla percezione emotiva del mondo; trasforma la sua necessità in una forza emotiva che travolge la ragione portando il soggetto ad agire mentre la ragione, quando riprende il controllo della coscienza, giustifica razionalmente le necessità e gli scopi razionali dell'agire anche se l'agire, in realtà, non obbediva a nessuna descrizione razionale. Se poi doveste trovare un individuo che ha fermato la "descrizione del mondo", lui stesso non saprà dirvi quali sono i suoi progetti perché lui stesso non lo sa pur progettando e agendo per fini e scopi che gli spettatori interpretano proiettando i loro scopi attribuendoli alle sue azioni.
Il Kevala è il corpo, il noi stessi, che va oltre la morte del corpo fisico. Il Kevala è la coscienza divina che noi costruiamo vivendo. Vivendo noi costruiamo una coscienza divina, amalgamando la nostra energia emotiva, che i jainisti chiamano Kevala.
Come questa coscienza agisce e interagisce dentro di noi, è tutto soggettivo. Tanto più forte è dentro di noi questo "corpo luminoso" e maggiore è la necessità dell'individuo di morire perché tutto il nostro desiderare si trasferisce dalla sfera razionale alla sfera emotiva.
E a questo punto: IO MI FERMO!
Conclusioni
La conoscenza è una perenne penetrazione e svelamento della realtà in cui il soggetto è nato. Questa realtà non comprende solo la realtà in essere, ma anche una realtà sconosciuta dalla quale l'essere nato proviene e che comprende una trasformazione della materia, di cui egli è, da inconsapevole a consapevole. Mondi inabitati che hanno consentito il venir in essere di materia emotiva nella materia e il "venir" come atto di volontà soggettiva. Il suo germinare.
Dal momento che l'unica percezione della realtà che persiste dopo la morte del corpo fisico è la percezione della coscienza detta Kevala che non ha nessuna relazione con la forma e con la quantità propria della coscienza della ragione che pretende di dominare la coscienza del corpo fisico mediante la propria specifica percezione del mondo, tutto il mondo e l'esistente può essere pensato come un'illusione.
Tutto è illusorio perché nulla, della descrizione razionale, persiste dopo la morte del corpo fisico e la stessa vita, nel mondo razionale, può essere pensata come una vita illusoria.
Sta di fatto che, però, è l'unica vita che, praticandola, può costruire quella capacità di percezione del mondo detta kevala (il corpo luminoso), che può afferrare una percezione del mondo quando la percezione della quantità e della forma cessano, può avvenire solo nel mondo razionale, nel mondo della forma e della quotidianità. Veicolando nel mondo razionale della ragione sia la volontà come trasformazione, sia le emozioni che insorgono nella coscienza durante l'azione, il soggetto plasma la sua energia emotiva e costruisce il proprio "corpo luminoso".
Mettere in atto strategie esistenziali che negano il desiderio e negano l'attività del vivere nel mondo razionale, non portano a superare il mondo della forma e della quantità, ma uccidono la possibilità di costruire quel corpo luminoso che ha la capacità di percepire in maniera diversa la realtà nella quale viviamo.
Il bisogno e il desiderio guidano il cammino dell'uomo, sia nella ragione che nei mutamenti. Guidano le emozioni dell'uomo e la sua attività nella vita di tutti i giorni.
L'uomo non può prescindere dal bisogno e dal desiderio. Qualunque siano le condizioni nelle quali l'uomo è nato, il desiderio pretenderà sempre di essere veicolato nel mondo. Se la società ha offerto ai nuovi nati condizioni favorevoli, otterrà dei cittadini attenti e premurosi. Se la società ha preteso di stuprare i nuovi nati per sottometterli a morali aprioristiche, i nuovi nati si adatteranno cercando vie attraverso le quali veicolare il loro desiderio, magari in contrasto con le esigenze sociali.
Se ami, costruisci una situazione; se stupri, costruisci una diversa situazione dalla quale possono nascere vittime che vogliono far in modo che ciò non accada più o accaniti violentati che cercano una vendetta o, ancora, violentati che riproducono la violenza che hanno subito nel mondo perché solo in questo modo il loro desiderio viene soddisfatto.
Il desiderio è la chiave dell'universo. Comprimete i desideri dell'uomo e ottenete degli schiavi rubando loro la possibilità di infinito.
Marghera, 11 febbraio 2022
Riflessioni su Platone, il buddismo e la conoscenza jainista
capitoli del settimo volume della Teoria della filosofia aperta
Sito di Claudio Simeoni
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell'Anticristo
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Ultima formattazione febbraio 2022
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