Il cammino nella vita è come il cammino nella foresta. Per procedere ci si deve aprire un varco fra ciò che esiste.
L'invenzione del Dio dei cristiani
Continua dalla prima riflessione...
I cristiani stanno tentando di costruire una diversa definizione del loro Dio assoluto tentando di trovare una "novità" nel panorama religioso nel II e III secolo d. c.
L'idea ebraica del Dio che crea e del demiurgo platonico è entrata nel panorama religioso. Solo che il termine "creazione" stava ad indicare la modificazione di un presente che permetteva la nascita di qualche cosa di diverso dal presente. Il Dio "crea" nella misura in cui modifica il proprio presente dando origine ad una trasformazione.
Affermare l'esistenza di un soggetto, Dio, al di fuori di un presente abitato da Dio, era una novità nel panorama religioso
Scrive Orbe:
Cadrebbe in errore chi tentasse di definire la condizione eterna di Dio in riferimento a quanto coesiste con Lui. Alcuni valentiniani concepiscono il Dio supremo in un'unità e solitudine miticamente assolute: come un Dio senza consorte. Altri, della medesima scuola, lo presentano in matrimonio.
"Essi (i valentiniani) pure ammettono come principio di tutto una Monade ingenerata, incorruttibile, incomprensibile, inconcepibile, feconda e causa della generazione di tutte le cose. La Monade, di cui parliamo è chiamata "Padre". Grande divergenza però c'è fra loro a questo punto. Gli uni, per salvaguardare in tutta la sua purezza la dottrina pitagorica di Valentino, ritengono che il Padre sia senza elemento femminile, senza consorte e solo. Gli altri, ritenendo impossibile che dal solo essere maschile si sia avuta la nascita delle cose, si pensano costretti ad associare come consorte al Padre dell'universo, affinché possa diventare Padre, la Sigè". [citazione dei valentiniani di Orbe]
Antonio Orbe, La teologia dei secoli II e III, Editore Piemma Theologica, 1996, Pag. 55
NOTA: Sigè: Personificazione del Silenzio, le cui raffigurazioni sono state identificate in figure femminili nude, con la mano o il dito della mano destra portata alla bocca, usate come amuleti.
NOTA: Monade: Entità unitaria, semplice, indivisibile; nella filosofia pitagorica, l'elemento primo matematico dell'universo; accezione ripresa da G. Bruno (1548-1600), che ne fa l'unità indivisibile, spaziale e psichica, in antitesi agli atomi di Democrito; secondo G.W. Leibniz (1646-1716), ciascuna delle infinite sostanze inestese o centri di forza (o di coscienza) che, come unità autonome, costituiscono l'universo.
Prima che Dio creasse, in che mondo viveva Dio nella sua eternità?
Il diverbio inizia ora. I cristiani costretti ad affermare che "Dio è eterno; è sempre stato e sempre sarà". Questo in contrapposizione ai Pagani secondo cui "gli Dèi nascono".
La realtà che viviamo non è eterna, ha avuto un inizio e potrebbe avere una fine. Per quanto enorme possa essere il tempo dell'inizio e della fine del presente universale, il "sempre è stato e sempre sarà" è infinitamente maggiore.
A questo punto, i cristiani devono spiegare; dal momento che il loro Dio non ha trasformazioni, cosa ha indotto il loro Dio a vivere in un tempo infinito prima di "creare" l'universo? Che cosa lo ha spinto a creare l'universo e qual è stato il bisogno che è sorto in lui per creare l'universo?
Rispondere a questo significa entrare in un coacervo di contraddizioni delle quali i cristiani sono ben coscienti.
Per questo i cristiani affermano che tutto è: "mistero di Dio".
Dopo aver fatto un'affermazione delirante, "Dio è sempre stato e sempre sarà", proteggono il proprio delirio nascondendosi nel "mistero di Dio" che, a questo punto, diventa un bisogno di natura psichiatrica. Giustificare "Dio che sempre è stato e sempre sarà" è un'esigenza psicologica che, davanti al fallimento delle giustificazioni logiche, c'è solo il ritiro nel "mistero" per difendere l'illogicità dell'affermazione.
Per alcuni, Sigé, come personificazione del silenzio, diventa la compagna di Dio. Dio è vissuto eternamente prima della creazione perché in coppia con Sigé. Il Sigé, il silenzio, è la femmina di Dio.
Dio diventa "padre", soggetto maschile, dell'universo per la presenza di Sigé. Diventando "padre" non necessita più di Sigé perché la sua creazione si fa femmina davanti a Dio.
Scrive Orbe:
Cambia il mito, ma non il contenuto. Con o senza consorte il Dio supremo è lo stesso in sostanza e dynamis. Il mito ha il compito di attribuire alla consorte la fecondità divina o di conferirla al Dio maschile. Sensibilizza, moltiplicando eoni e nomi, il contenuto della polivalente sostanza divina, così da assegnare ad essa una moltitudine di attributi - Dio sapiente, potente benevolo e gratuito, generoso ... - come per mitificare a titolo di consorte la Sapienza, Dynamis, Charis (Grazia), Sigé (Silenzio). La coesistenza ab aeterno di tali attributi non pregiudica l'assoluta solitudine, non compromessa neppure dalla coeternità di una o più consorti mitiche, espressioni della complessità dinamica della natura di Dio.
E' quanto si percepisce, senza allontanarsi dai valentiniani, nel mito del Dio "solitario".
[dicono i valentiniani citati da Orbe]
"Nulla (esisteva) di generato. C'era solo un Padre ingenerato, privo di luogo, tempo, consigliere e di qualsiasi altra sostanza, che si possa in qualche modo concepire. Era solo (monos), in tranquillità, come dicono, riposando solitario in se stesso. Ma poiché era fecondo, ritenne un giorno di generare ciò che di meglio e di più perfetto possedeva nel suo intimo e di darlo alla luce. Non era amante infatti della quiete (e della solitudine). Era, infatti, tutto amore e l'amore non è tale se non esiste l'oggetto amato. Il Padre, solo come era, emise e generò l'Intelletto e la Verità, cioè la Diade-
[fine citazione dei valentiniani di Orbe]
Solo (monos), secondo il mito senza consorte e maschile, eppure fecondo (gonimos). Univa la solitudine (maschile) alla fecondità (femminile). Per di più Agape, femminile in greco e, per entrambi i titoli, orientato verso l'"Amato", frutto dell'Amore, cioè l'Intelletto e la Verità.
Antonio Orbe, La teologia dei secoli II e III, Editore Piemma Theologica, 1996, Pag. 55-56
NOTA: Gonimos Il termine 'Gonimos' significa fecondità, produttività, capacità di promuovere, di far sì che altri diventino protagonisti.
NOTA: Àgape o agàpe (in latino: caritas) significa amore disinteressato, immenso, smisurato del più forte sul più debole nella misura in cui il più debole accetti di essere sottomesso al più forte. Viene utilizzato nella teologia cristiana per indicare l'amore di Dio nei confronti dell'umanità.
L'intero dibattito per inventarsi un Dio che precede il mondo diventa assolutamente fumosa dove quelle che dovrebbero essere le qualità del soggetto diventano, di fatto, oggetti estranei al soggetto al punto tale che nell'infinito dell'esistenza del soggetto gli oggetti (la solitudine (maschile) alla fecondità (femminile) l'Agape ), in relazione al soggetto, modificano la qualità del soggetto stesso che, in quel momento manifesta dei bisogni: tutta l'imperfezione è presente nel Dio dei cristiani che viene spacciato come perfetto.
La guerra teologica consiste nel costruire una preminenza del Dio dei cristiani ingenerato ed eternamente esistente rispetto agli Dèi "pagani" che, al contrario, sono generati. Nascono e si trasformano con un mondo in continua trasformazione.
Il "Dio che è sempre stato" pone dei problemi sul perché, in un momento del sempre, sorge la decisione di creare. Le spiegazioni che danno i valentiniani e i cristiani risultano assolutamente strumentali e prive di valore logico e fattuale.
Si tratta di materiale espresso in una seduta di analisi psichiatrica dove, alla base delle esigenze del malato, c'è il bisogno di affermare l'eternità di Dio e la superiorità di Dio rispetto ad altre concezioni di Dio, ma, al contempo, le giustificazioni che il malato psichiatrico espone per giustificare tale bisogno sono assolutamente incoerenti e farneticanti. Incoerenza e farneticazione che può essere manifestata e legittimata in un ambiente di persone che soffrendo di bisogno di dipendenza, sono pronte ad avallare ogni farneticazione pur di attenuare il dolore prodotto da quel bisogno.
Se i valentiniani si sforzano di dare delle spiegazioni, i cristiani, che vengono dopo nel panorama della speculazione filosofica, non accettano più di spiegare, preferiscono semplicemente uccidere chi non accetta e fa propria l'idea che "Dio è sempre stato e sempre sarà".
Scrive Orbe:
I fautori del Padre con-consorte e quelli del Padre senza-consorte differiscono solo nel linguaggio. Poco importa che, per attenersi a una tradizione pitagorica, lo dipingano solitario, se lo rendono poi fecondo con un amore (Agape) sufficiente a costituirlo Padre dell'Intelletto (e della Verità). Non dicono di più quanti lo presentano in matrimonio.
Gli ecclesiastici ignorano tali miti. Tuttavia, anch'essi a volte si compiacciono nell'accentuare la solitudine assoluta di Dio ab aeterno. Un Dio che da sempre è Dio, ma non Signore, perché non ha un mondo su cui esercitare il suo potere, e neppure Padre, poiché non ha, da sempre, un Figlio del quale è Padre. Dio, nome assoluto di sostanza, concerne da sempre l'Essere supremo; Signore, nome relativo di potestà, non gli appartiene da sempre; l'universo da Lui dominato non esiste da sempre.
Antonio Orbe, La teologia dei secoli II e III, Editore Piemma Theologica, 1996, Pag. 56
I cristiani "tagliano la testa al toro". Non più discussioni. Il mistero di Dio non si discute, lo si accetta o si muore.
L'invenzione del Dio dei cristiani si impone in questo modo nella filosofia metafisica che dalla scolastica in poi non poté più fare a meno del concetto di Dio come fondamento del pensiero filosofico.
In questo contesto la filosofia cessa di essere:
Attività spirituale autonoma che interpreta e definisce i modi del pensare, del conoscere e dell'agire umano nell'ambito assoluto ed esclusivo del divenire storico.
Diventa esercizio ideologico che giustifica il dominio di Dio sull'uomo e, per estensione, il diritto dei rappresentanti di Dio di dominare l'uomo. Poi, la filosofia, continua il cammino affermando che "chiunque domina l'uomo" è legittimato da Dio e non può esserci altra filosofia che non il pensiero della bontà di Dio che legittima uomini a dominare altri uomini.
In tutto questo, il disprezzo per gli uomini dominati e stuprati fugge dall'orizzonte di Dio (tanto, sono peccatori puniti per i loro peccati; sia per la volontà di Dio che per volontà della reincarnazione o dell'eterno ritorno), fugge dall'orizzonte filosofico per diventare mero rumore di fondo con cui i conquistatori e macellai acquistano gloria e meriti agli occhi di Dio.
L'invenzione del "Dio che è sempre stato e sempre sarà" nasce come opposizione e guerra agli Dèi antichi che, al contrario sono nati.
Il Dio dei cristiani è fuori dal mondo e, come creatore, è padrone del mondo; gli Dèi antichi sono il mondo, nati e divenuti con esso, partecipano alle trasformazioni e alla vita del mondo. Per questo motivo il Dio dei cristiani può legittimare il diritto al genocidio con il diluvio universale. Lui è fuori dal mondo, cosa che non avrebbero mai fatto gli antichi Dèi che sono parte del mondo. Certo, c'è il mito di Deucalione narrato da Ovidio, ma Ovidio muore nel 18 d. c. e ciò che scrive nelle metamorfosi non è mito, ma storie tratte da racconti religiosi, ebrei compresi. Con Cesare e l'imperatore si sta delineando l'idea del Dio padrone che legittima l'imperatore e questa esigenza concorrerà non poco a forgiare l'idea che "l'imperatore è sempre stato e sempre sarà come il Dio, padrone e signore del creato, è sempre stato e sempre sarà".
Marghera 01 marzo 2023
Fine Seconda Parte - continua
L'invenzione del Dio dei cristiani
La Teoria della Filosofia Aperta
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
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