Il cammino nella vita è come il cammino nella foresta. Per procedere ci si deve aprire un varco fra ciò che esiste.

Dio, creazione, Adamo ed Eva
La Stregoneria e il Dio dei cristiani
Quarta riflessione

Claudio Simeoni

L'invenzione del Dio dei cristiani

Continua dalla terza riflessione...

Dio, creazione, Adamo ed Eva
Quarta riflessione
Perchè il Dio cristiano ha creato l'uomo!

Nel cristianesimo vige il dogma della sottomissione.

Il dogma della sottomissione a Dio, per estensione ad ogni autorità che si fa Dio nei confronti di ogni sottomesso, non fa parte solo dell'ideologia ebraica, ma è proprio del cristianesimo in quanto il dogma è imposto da Gesù stesso: "Chi ama suo padre e sua madre più di me, non è degno di me!" (Mt 10,37).

Nell'ideologia della religione cristiana, amare qualcuno significa essere sottomesso a quel qualcuno al di là se quel qualcuno vi ama (Dio) o non vi ama (marito accoltellatore).

Nell'ideologia cristiana, l'idea di sottomissione devota è molto articolata anche se poi nella pratica si riduce all'affermazione: "O fai quello che voglio io o io ti ammazzo!"

Il cristianesimo giustifica la sottomissione degli uomini come risposta all'amore di Dio [carità] nei confronti dell'uomo. L'uomo deve dimostrare umiltà, sottomissione e deferenza a Dio e, per estensione, a Gesù e alla chiesa cattolica in tutti i gradi gerarchici in quanto, tutti i gradi gerarchici, rappresentano Gesù, Dio, rispetto a tutti coloro che sono sottoposti e che devono amare la gerarchia che pratica la carità, chiamata amore dai cattolici, nei confronti dei sottoposti.

Il problema teologico-cristiano, che prendo in considerazione per il mio ragionamento, viene sviluppato dal gesuita Orbe nella "Teologia dei secoli II e III – Il confronto della grande chiesa con lo gnosticismo" scritto negli anni '80 del secolo scorso e pubblicato dalla Piemme nel 1996.

Lo sviluppo della logica del gesuita Orbe parte dalla "creazione" di Dio. Tale presupposto è assunto a verità assoluta non solo come visione fantastica del divenuto del reale, ma come acquisizione del diritto di Dio nei confronti dell'uomo al di là delle implicazioni criminali che, l'affermazione di questo diritto, comporta nella società degli uomini come legittimazione del dominio assoluto dell'uomo sull'uomo.

Il discorso del gesuita Orbe inizia citando Teofilo di Antiochia morto nel 183/185 d.c.:

"L'albero stesso della scienza - scrive Teofilo Antiocheno (Ad Autol. II, 25) - era buono e buono era anche il suo frutto. Non causò - come alcuni sostengono - la morte; fu la disobbedienza a produrla. Nel suo frutto, in effetti, altro non v'era che scienza e la scienza è buona se ciascuno se ne serve debitamente",

Antonio Orbe, La teologia nei secoli II e III –Il confronto della Grande Chiesa con lo Gnosticismo" Editore Piemme, 1996, p. 345.

L'albero della scienza, o l'albero della conoscenza, come è più comunemente chiamato dai cristiani, fu l'albero che il Dio dei cristiani proibì a coloro che aveva creato. Mangiando il frutto, secondo i cristiani, Adamo ed Eva divennero coscienti del bene e del male.

Ora, Orbe riprende il quesito posto da Teofilo: è l'aver colto il frutto, cioè colto la conoscenza, che allontana Adamo ed Eva dal paradiso, o è la disobbedienza a Dio che allontana Adamo ed Eva dal paradiso?

Da questa questione possiamo iniziare a discutere dell'assolutismo insindacabile di Dio che i cristiani pretendono di legittimare. In realtà, Orbe fa molta attenzione a non uscire dalla questione perché non vuole commentare l'atto in relazione a Dio, ma solo in relazione ad Adamo ed Eva.

Scrive Orbe:

Vi sono cose proibite perché malvagie e cose malvagie perché proibite. Dio proibisce la bestemmia, perché cattiva, ben prima del divieto. E' il caso dei precetti naturali negativi. Dio li promulga con la natura. Nell'ordinare di non mangiare dell'albero della scienza, Dio proibiva una cosa lecita in sé, ma che a motivo del suo comando diventava cattiva. Il motivo dell'obbedienza per l'uomo consisteva nella sua sottomissione al Creatore, non nella malvagità di quanto gli veniva proibito.
Dio, in teoria, poteva scegliere come oggetto di proibizione qualcosa di tanto ineludibile nella vita dell'uomo quanto l'atto generativo, come scelse in seguito, per ordinarlo ad Abramo, qualcosa di tanto necessario per la sua discendenza quanto la vita dell'unico figlio Isacco. L'elemento più indispensabile al genere umano diveniva illecito in virtù del divieto divino.

Antonio Orbe, La teologia nei secoli II e III –Il confronto della Grande Chiesa con lo Gnosticismo" Editore Piemme, 1996, p. 345.

Accettando questo punto di vista, si accetta il diritto di Dio di stuprare l'uomo e si rivendica la libertà dell'uomo di essere stuprato da Dio senza che all'uomo sia riconosciuto il diritto di non essere stuprato da Dio.

Il concetto secondo cui: Dio non ha rispetto per l'uomo diventa, di fatto, il concetto fondamentale di ogni discussione teologica. Diventa la riflessione fondamentale per diventare consapevoli della condizione teologica che discrimina "il bene dal male" e che censura il male come atto discriminatorio del Dio cristiano nei confronti dell'uomo.

La proibizione del Dio dei cristiani è un atto di pura arroganza; di pura malvagità.

Dice Orbe che "E' il caso dei precetti naturali negativi. Dio li promulga con la natura." L'affermazione è arbitraria e priva di contenuti che la definiscono. Cosa sono i "precetti naturali negativi"? L'arbitrarietà di questa affermazione non è molto diversa dalla precedente: "Vi sono cose proibite perché malvagie e cose malvagie perché proibite." La natura è l'oggetto in cui noi viviamo e in cui noi abitiamo e ci modifichiamo. La mia modificazione nella natura, data la qualità della mia esistenza, è limitata dalla mia qualità dell'esistenza stessa, Non esistono cose aprioristicamente vietate nella natura, esistono cose non convenienti, non utili, dannose per me stesso che posso mettere in atto nella natura. Certamente, per quello che sono, non posso saltare in un dirupo sbattendo le ali, ma non è che non lo posso fare. Posso saltare da un dirupo, ma per quello che sono, risulta dannoso per me. Non è proibito saltare da un dirupo.

Per sapere se il cogliere dall'albero della conoscenza faccio un'azione malvagia o meno, devo conoscere il motivo per cui Dio impedisce all'uomo di cogliere dall'albero della conoscenza. Cosa vuole ottenere Dio?

Questa è la domanda a cui Orbe non risponde, o almeno non ora nella riflessione, perché l'idea che intende promuovere è la censura della disobbedienza dell'uomo a Dio qualunque sia l'ordine dettato dal desiderio di Dio di divertirsi a violentare l'uomo.

Orbe santifica il divertimento di Dio nello stupro dell'uomo quando dice:

"Dio, in teoria, poteva scegliere come oggetto di proibizione qualcosa di tanto ineludibile nella vita dell'uomo quanto l'atto generativo, come scelse in seguito, per ordinarlo ad Abramo, qualcosa di tanto necessario per la sua discendenza quanto la vita dell'unico figlio Isacco. L'elemento più indispensabile al genere umano diveniva illecito in virtù del divieto divino."

Il Dio cristiano, per divertirsi, ha scelto di ordinare ad Abramo di macellare suo figlio Isacco. La storia ci racconta come Abramo non lo abbia fisicamente macellato, ma come, in realtà, ha macellato l'intero suo "popolo" o "l'intera sua discendenza" rendendola schiava, e strumento di schiavitù fra gli uomini (e di uomini), funzionale all'odio che ha Dio per gli uomini e che esprime completamente nei fini per i quali ha proibito all'uomo di cogliere dall'albero della conoscenza:

Dice rammaricato il Dio dei cristiani:

"Ecco l'uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi e viva sempre!". 

Genesi 3, 22

Il motivo per cui il Dio cristiano proibisce all'uomo di cogliere dall'albero della conoscenza è perché la conoscenza rende l'uomo uguale a Dio. Permette all'uomo di discriminare fra ciò che gli è utile da ciò che gli è dannoso costruendo e modificando sé stesso all'interno delle necessità della sua esistenza. Non è più il Dio dei cristiani che determina la vita dell'uomo, ma la vita dell'uomo è determinata dalle scelte dell'uomo nella sua vita.

Dice Orbe;

"Vi sono cose proibite perché malvagie e cose malvagie perché proibite."

L'affermazione in sé esula da motivazioni oggettive e fa dei bisogni soggettivi di Dio il metro di misura della malvagità che qualifica il Dio dei cristiani. E' comprensibile che, secondo i cristiani, Dio ha creato l'uomo come suo giocattolo personale. Come assistiamo nella storia: Stati mandano uomini al macello, chiamato guerra, per il loro divertimento personale. Tuttavia questo non esime il Dio dei cristiani ad essere considerato "malvagio in sé", in quanto creatore, la cui azione rende sofferente la vita degli uomini.

L'affermazione "Vi sono cose proibite perché malvagie" non determina il parametro oggettivo della malvagità che, nelle affermazioni cristiane, rimane conchiusa nel desiderio di Dio di essere malvagio nei confronti dell'uomo. Lo stesso Dio cristiano, proibendo "e cose malvagie perché proibite." veicola la propria malvagità nei confronti dell'uomo a cui, secondo i cristiani, deve essere proibito di scegliere ciò che ritiene malvagio discriminando da sé ciò che non è malvagio.

Scrive il gesuita Orbe:

Il comando di Gn 2, 16 s. - si presume - toccava una cosa buona in sé, sommamente desiderabile, necessaria alla vita normale dell'uomo e rendeva, di conseguenza, particolarmente meritoria l'obbedienza. Cosa avrebbe meritato Adamo, se Dio gli avesse proibito, per esempio, di bestemmiare o mentire? In uno stato di integrità nulla di tutto questo presentava difficoltà. Una natura retta, aiutata dal rigore dello Spirito, avrebbe provato ripugnanza nel trasgredire i precetti naturali.
Adamo era appena uscito dalle mani di Dio ed Eva pure. Fisicamente maturi, ma psicologicamente bambini. Dovevano prima imparare a essere uomini (cfr. Adu. haer. IV, 38, 4), alla sequela del Verbo, fino alla sottomissione alla disciplina di Dio in corpo e anima. Destinati l'uno all'altra, sebbene fosse ineludibile l'unione matrimoniale per "crescere e moltiplicarsi", tutto sarebbe avvenuto al tempo stabilito.

Antonio Orbe, La teologia nei secoli II e III –Il confronto della Grande Chiesa con lo Gnosticismo" Editore Piemme, 1996, p. 346.

In sostanza Dio proibisce, dice Orbe che presume che la proibizione di Genesi 2, 16 una cosa buona, sommamente desiderabile. Il problema non sta nella semplice proibizione, ma nelle conseguenze prospettate da Dio nell'imporre quella proibizione.

Cosa dice precisamente la proibizione di Genesi 2, 16?

"e dette all'uomo quest'ordine: "Tu puoi mangiare liberamente di ogni albero del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male, non mangiare! Poiché il giorno in cui ne mangerai, certo morresti."

Dio dice all'uomo: "Io lo dico per il tuo bene, non mangiare il curaro perché il giorno che ne mangerai di certo morirai."

Per Dio, la conoscenza del bene e del male da parte dell'uomo equivale all'uomo come l'assunzione del curaro.

Questa è la menzogna di Dio all'uomo. Infatti, dopo che l'uomo ha mangiato dall'albero della conoscenza, l'uomo non muore, ma si eleva a livello di Dio. Se preferiamo, muore come uomo e rinasce come un Dio.

E la frase chiave per comprendere questo è in Genesi 3, 22:

"Poi il signore Dio disse: "Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi, avendo la conoscenza del bene e del male: che non stenda ora la sua mano, e non colga dall'albero della vita per mangiarne e vivere in eterno"."

E' evidente che Dio ha paura dell'uomo tanto da precludergli l'accesso all'albero della vita.

In queste frasi di Orbe troviamo due elementi che rintracciamo nel Mito greco. La conoscenza del "bene e del male" è il corrispettivo della scintilla del fuoco che Prometeo ruba agli Dèi per darla agli uomini e l'albero della vita ha il suo corrispettivo nell'albero del Giardino delle Esperidi. Lo stesso vale per alcuni gnostici, come il vangelo di Giovanni Apocrifo, in cui si dice che Sophia, indignata per l'arroganza del Demiurgo, Dio, abbia messo nell'uomo la scintilla divina trasformando l'uomo in un Dio alla pari del Demiurgo.

Il gesuita Orbe non analizza il testo dei suoi libri sacri, ma si ferma a fantasticare sul cosa avrebbe potuto succedere se Adamo si fosse dimostrato docile e sottomesso a Dio. Dice Orbe che se Dio avesse proibito ad Adamo qualche cosa di "naturale", Adamo non avrebbe acquisito nessun merito: troppo facile, secondo Dio, non mangiare carne il venerdì.

Appena creati da Dio, in un corpo maturo, ma in una psiche fanciullesca, dovevano essere addestrati da Dio alla sottomissione e all'obbedienza che Adamo ed Eva dovevano dimostrare a Dio.

Dio ha creato Adamo ed Eva, fisicamente adulti, ma con una psiche fanciullesca. Questo potrebbe stare a significare che Dio era assolutamente incapace di gestire la qualità della propria creazione.

Quella di Orbe non è una spiegazione. E' espressione di un desiderio che tende a giustificare qualcosa che non è giustificabile. Che il teologo venga a dire che cosa egli desidera e pensa e perché lo pensa, lo può fare solo all'interno delle condizioni predeterminate. Non esiste nella Bibbia "psiche fanciullesca", non se ne parla e nemmeno c'è traccia. Lo stesso Gesù non parla di psiche e nemmeno, proprio per l'interpretazione cristiana della teologia, non può parlare nemmeno di "anima fanciullesca". Si può parlare di un individuo fiducioso che si abbandona agli inganni del mondo; compresi quelli di Dio.

Semmai, nella consapevolezza acquisita mediante il frutto dell'albero della conoscenza, la bibbia dice che Adamo, mangiato il frutto:

"Ma il signore Dio chiamò Adamo e gli domandò. "Dove sei?" Egli rispose: "Ho sentito la tua presenza nel giardino, ma ho avuto paura perché ero nudo e mi sono nascosto". Dio rispose: "Chi ti ha fatto conoscere che eri nudo? Non hai forse mangiato dell'albero che ti avevo proibito di mangiare?"

Genesi, 3, 9-11

Dalla dinamica degli eventi descritti dalla bibbia appare che Adamo ed Eva mangiando il frutto proibito sono entrati nella possibilità di consapevolezza di sé stessi e della loro posizione nel mondo. Al contrario, in Dio la conoscenza diminuisce. Dio non è in grado di sapere dove sia Adamo e non è in grado di sapere se ha o non ha mangiato il frutto proibitogli da Dio. E non è legittimo attribuire a Dio un atto d'astuzia nei confronti di Adamo.

Pertanto, dal punto di vista logico, non si tratta di una disobbedienza al padrone da parte di Adamo, ma di un atto con cui Adamo ed Eva riaffermano sé stessi come Dèi. Dio ha paura di Adamo ed Eva. Ora sono Dèi al suo pari. Ora, il Dio dei cristiani non ha altra possibilità che uccidere questi nuovi Esseri che si elevano a Dio, ma che non hanno ancora mangiato dall'albero della vita eterna. Dunque, a Dio rimane la possibilità di ammazzarli, ma non quella di privarli della possibilità di diventare Dèi.

Scrive ancora Orbe:

Ma Jahvé non aveva altro modo per provare la docilità dei progenitori? La prima tradizione cristiana distinse con Paolo (1 Cor 7, 5) la comunione dell'uomo con Dio e il rapporto con la moglie. Le due unioni le sembravano di segno opposto. La relazione con Dio faceva dell'uomo uno spirito con lui e il rapporto con la donna una sola carne con essa. Da qui l'incompatibilità concreta della preghiera con l'atto coniugale.
Prima dovevano raggiungere l'intimità con Dio, fino a divenire una cosa sola con Lui e raggiungere la maturità di chi, senza dimenticarsi di Dio, genera figli per il cielo. Il Signore non poteva abdicare ai suoi diritti e non c'era nulla di meglio che vincolarli per qualche tempo, richiedendo loro il sacrificio più squisitamente umano come testimonianza della loro sottomissione al Creatore.
Alla pari della proibizione (temporale) delle gioie carnali - nel Giardino delle delizie - il comando divino includeva la promessa, ancorché non esplicita, di altre superiori. La docile sottomissione alla Parola di Dio nascondeva due aspetti: il primo, materiale, la continenza; il secondo, spirituale, la comunione con il Verbo.

Antonio Orbe, La teologia nei secoli II e III – Il confronto della Grande Chiesa con lo Gnosticismo" Editore Piemme, 1996, p. 346.

Il gesuita Orbe si chiede: "Ma Jahvé non aveva altro modo per provare la docilità dei progenitori?"

La domanda vera è: ma il Dio onnipotente dei cristiani, creatore dell'universo, è così squallido da dover trovare un modo per provare la docilità di Adamo ed Eva?

Rimaniamo pure all'interno della concezione della creazione come descritta dalla bibbia, siamo davanti ad un personaggio, il Dio cristiano, che da un lato viene magnificato quale "creatore dell'universo" e, dall'altro lato, come squallido e miserabile individuo che ha bisogno che l'uomo dimostri la sua docilità e la sua sottomissione.

L'esigenza di controllare gli uomini attraverso la loro sessualità costringe ebrei e cristiani a descrivere il loro Dio come un Dio sessualmente disturbato, più preoccupato di imporre una morale coercitiva agli uomini che presentare una propria morale che non produca sofferenza e non sia offensiva per l'uomo e per le condizioni per le quali quel Dio avrebbe creato l'uomo.

Per giustificare la mania sessuofobica di Dio, funzionale al controllo dell'uomo e l'emarginazione della donna da parte dei cristiani, si vuole censurare l'azione di Adamo e di Eva adottando elementi estranei alla bibbia anche acquisiti in un secondo tempo come giustificazione teologica della mania sessuofobica dei cristiani.

L'intimità con Dio, citata da Orbe in Paolo di Tarso, non è altro che veicolazione consolatoria dell'impotenza sessuale di Paolo di Tarso che trova conforto nella negazione e nella condanna della sessualità. Le altre persone si devono sottomettere e riconoscere la sua impotenza sessuale come dono di Dio nonché indizio di santità. L'impotenza di Paolo di Tarso, ufficialmente, diventa elemento cristiano circa 500 o 600 anni dopo che la Genesi è stata scritta. In sostanza è un elemento estraneo alla Genesi che non nega la sessualità, ma la circoscrive per "dare figli a Dio".

Il reato di disobbedienza al padrone, diventa una necessità di comunione con Dio prima della comunione con la donna (che non è considerata una persona).

Il reato che viene imputato da Dio ad Adamo ed Eva, secondo ebrei e cristiani, consiste nella disobbedienza al padrone, un concetto ideale che nasce dalla condizione di schiavitù nella quale lo schiavo, immaginandosi di essere a sua volta un padrone, idealizza l'obbedienza che gli schiavi gli dovrebbero se fosse padrone a sua volta.

L'intimità con Dio, di cui parla Orbe, non è altro che la schiavitù con tutto il cuore e con tutta l'anima. Quella schiavitù che ha come ideale la libertà dello schiavo di scegliere di essere schiavo.

Una volta imposta questa "intimità" fra Dio e il suo schiavo, allo schiavo è concessa la donna ridotta a "schiava dello schiavo" per partorire figli che verranno costretti all'intimità con Dio. Per Orbe, prima deve venire la libera scelta della schiavitù a Dio e, poi l'unione con la donna, il possesso della donna che, come schiava, farà figli per Dio.

Il Dio padrone proibisce il rapporto "carnale", il rapporto d'amore, perché attraverso il rapporto d'amore, l'uomo viene allontanato dall'intimità con Dio. Sotto certi aspetti teologici, si potrebbe dire che, dal punto di vista del Dio dei cristiani, mangiando il frutto proibito l'uomo ha scelto la libertà dalla schiavitù di Dio.

Al gesuita Orbe piace immaginare le delizie che Dio avrebbe dato ad Adamo se Adamo avesse nutrito Dio con la sua "docile sottomissione", ma immaginare questo è arbitrario. Non esiste nessuna promessa di Dio per la docile sottomissione di Adamo che, proprio per volontà assoluta di Dio, per quanto Adamo si sottomette, Dio si sarebbe divertito a tormentarlo per il proprio piacere: Giobbe insegna. Immaginare gioie derivanti dalla sottomissione a Dio, equivale allo schiavo che immagina gioie nel farsi frustare dal padrone.

La docile sottomissione a Dio, dice Orbe, consisteva in due aspetti: permettere a Dio di gestire e disporre della sua sessualità fisica e vivere in comunione, emotivamente sottomesso, ai desideri emotivi di Dio: oggetto posseduto da Dio a suo uso e consumo.

Scrive Orbe:

Solo chi preferisce il Verbo di Dio alla propria consorte è adatto a realizzare poi definitivamente il matrimonio.
L'idea del connubio dell'uomo con il Logos, esemplificato (cfr. Epid. 12) nella frequente conversazione di Adamo con lui, evoca il motivo del matrimonio tra la sarx [carne] e lo Spirito, nel quale consisterà la salvezza dell'uomo. Ed è probabile, data l'abituale profondità dell'antico pensiero cristiano, che mediante l'intimità (quasi matrimoniale) dell'uomo con lo Spirito del Logos meglio ancora che con la conversazione orale Adamo ravvicinasse, essendo più plasma che psiche, la futura incarnazione del Verbo.
Ireneo, molto esplicito sul comando di Dio, sottolinea in modo particolare il suo fine ultimo. Adamo ed Eva si baciano e abbracciano castamente come bambini. E aggiunge (Epid. 15):
"Ma affinché l'uomo non nutrisse pensieri di superbia e si inorgoglisse, quasi non avesse un signore, a causa dell'autorità conferitagli e del libero accesso a Dio; affinché non cadesse in errore, oltrepassando i propri limiti, né, compiacendosi di se stesso, sviluppasse pensieri presuntuosi verso Dio, gli fu data da Dio una legge, perché riconoscesse come suo padrone il Signore dell'universo. E (Dio) gli impose alcune norme in modo che, se avesse osservato il comandamento di Dio, tale sarebbe stato e rimasto sempre, quale egli era, cioè immortale. Se invece non l'avesse osservato, sarebbe divenuto mortale, dissolto nella terra donde era stato assunto il suo plasma".

Antonio Orbe, La teologia nei secoli II e III – Il confronto della Grande Chiesa con lo Gnosticismo" Editore Piemme, 1996, p. 346-347.

La dimensione dell'esistenza umana, per Orbe, diventa legittima solo se l'uomo è uno schiavo sottomesso a Dio, al suo Verbo, a quella parola con cui Dio pretende di violentare la natura sessuale dell'uomo e, attraverso questa, il futuro della specie umana. La stessa idea di Orbe di legittimità della vita umana solo in comunione con Dio, sottomesso a Dio, la troviamo nella pratica criminale e colonialista con la quale i gesuiti hanno aggredito il mondo di uomini a cui non importava nulla del Dio dei cristiani.

Il gesuita Orbe pretende che ogni uomo, in nome e per conto di Dio, eseguisse il sacrificio di Isacco in nome e per conto di Dio, per diventare un Abramo che sacrifica sé stesso e la gente con cui vive sull'altare dell'odio che Dio manifesta per l'uomo. Per quell'uomo che, avendo colto dall'albero della conoscenza, è diventato un Dio come lui e che, attraverso la sottomissione, la docile sottomissione al Verbo di Dio, impedisce a sé stesso e ai suoi figli di cogliere dall'albero della vita e vivere in eterno.

Diventa, a questo punto necessario chiarire il concetto di "salvezza" proprio del cristianesimo.

In cosa consiste la "salvezza" nel cristianesimo?

Consiste nella rinuncia dell'uomo a cogliere dall'albero della vita, rinuncia a trasformarsi in un Dio che abita il mondo in cui è nato, per sottomettersi docilmente a Dio che, impossessandosi della sua sessualità, del suo futuro, in quanto uccisore del proprio futuro e del futuro dei suoi figli mediante l'unione matrimoniale dell'uomo con Dio, spera (speranza) che la sua sottomissione sia ripagata da Dio. In sostanza, il concetto di "salvezza" nel cristianesimo è giustificazione dell'azione di immiserimento e di disperazione imposta da Dio, e dai cristiani per suo conto, agli uomini.

E qui Orbe cita Ireneo secondo il quale Adamo ed Eva si abbracciano e si baciano come bambini.

La cosa, ad Ireneo, appare molto sessualmente eccitante. Tant'è che la pedofilia e la pederastia praticata sistematicamente dai cristiani nei confronti di bambini molto piccoli è una costante nella chiesa cattolica e nel cristianesimo in generale. Questa volontà di possesso, in nome e per conto di Dio che eccita le fantasie erotiche di gesuiti come Orbe, è stata una pratica costante in tutta la storia del cristianesimo. Se non consideriamo questo, ignoriamo l'intero fine della teologia cristiana. Gli abusi sessuali sui minori sono sempre stati praticati dai cristiani e legittimati attraverso la morale della bibbia. I figli abusati dai genitori, i bambini dai preti cristiani e le donne dagli uomini. L'idea di Ireneo e dei cristiani è questa: lui è ingenuo e io mi approprio di lui come persona. Solo negli ultimi 30 anni, da quando molte legislazioni hanno classificato la violenza sessuale come una violenza contro la persona, anziché contro la morale di Dio, un po' di persone hanno iniziato a ribellarsi allo stupro praticato dai cristiani e a chiedere un risarcimento danni nei tribunali civili.

Solo che il responsabile della violenza sui minori non è solo chi la pratica, ma il Dio della bibbia. Non è forse considerato onnipotente?

Ed è sempre Ireneo che racconta delle intenzioni di Dio, solo che non sta parlando delle intenzioni di Dio, ma della sua volontà che si fa Dio mentre parla ai suoi seguaci in ginocchio e prostrati dicendo loro:

"Affinché voi non nutriate pensieri di superbia e di orgoglio, quasi non aveste un padrone e signore, a causa dell'autorità conferitagli e del libero accesso a Dio; affinché non cadeste in errore, oltrepassando i vostri limiti, né, compiacendovi di voi stessi, sviluppaste pensieri presuntuosi verso Dio, fu data da Dio una legge perché riconosceste come vostro padrone il Signore dell'universo."

Questo è il senso teologico dell'affermazione di Ireneo che, in quanto affermazione teologica, non può essere separata dagli effetti reali nella vita dell'uomo che tale affermazione produce. Il significato di un'affermazione teologica non è rintracciabile nella logica assunta dal teologo, ma è rintracciabile negli effetti sociali che tale affermazione produce.

Ireneo continua spiegando il vantaggio per l'uomo di essere schiavo di Dio (e di chi lo rappresenta) giocando con la sua fantasia e i desideri dei suoi ascoltatori. In sostanza, Ireneo si comporta come un imbonitore da piazza che deve vendere un servizio di piatti ad acquirenti in fremente attesa di farsi truffare.

Dice Ireneo citato da Orbe:

E (Dio) gli impose alcune norme in modo che, se avesse osservato il comandamento di Dio, tale sarebbe stato e rimasto sempre, quale egli era, cioè immortale. Se invece non l'avesse osservato, sarebbe divenuto mortale, dissolto nella terra donde era stato assunto il suo plasma".

Scusate, ma il secondo albero da cui attingere, non era forse l'albero che avrebbe garantito la vita eterna? E il Dio creatore cristiano non ha impedito all'uomo di cogliere dall'albero della vita e vivere in eterno? Questa privazione, messa in atto da Dio, sottrae la possibilità dell'uomo di vivere in eterno perché impossibilitato a cogliere dall'albero della vita. Pertanto, Ireneo teologicamente mente, è un bugiardo, perché la schiavitù dell'uomo sottomesso a Dio è la vera barriera che separa l'uomo dall'albero della vita impedendo all'uomo di cogliere dall'albero della vita e vivere in eterno.

Dio non promette niente all'uomo se non morte, distruzione e dannazione per il proprio divertimento costringendo l'uomo ad attendere una salvezza che potrebbe ottenere solo avendo mangiato dall'albero della conoscenza e ribellandosi alla schiavitù che Dio gli impone per impedirgli di cogliere dall'albero della vita.

Scrive ancora Orbe:

Per quanto il destino dell'uomo sia elevato, Dio può comandare o proibire all'uomo, creatura, al fine di santificarlo meritoriamente attraverso l'obbedienza e, inoltre, attraverso agevoli percorsi. Nello stato di integrità, il vigore divino preveniva nell'uomo pensieri e immagini cattivi, ma non suggestioni e intenti di orgoglio.
Le esperienze di Adamo nel paradiso superavano quelle usuali della terra. Aveva ricevuto tutto con generosità. Rischiava di credere che tutto fosse suo, a titolo naturale, e di abusare del libero arbitrio fino al disprezzo del Donatore. Ad impedirlo sopraggiunse il comando; come un vincolo concreto bastava a evidenziare la distanza tra il Signore e l'uomo, tra l'Ingenerato e il creato (cfr. Epid. 15).
L'uomo recentemente plasmato da Dio va educato, in coerenza con la sua imperfezione, come un lattante. Trattarlo con la sola l'ex naturae, come gli angeli, avrebbe significato formarlo come un essere perfetto, esponendosi al rischio che imputasse alla natura i doni e il destino ricevuti. Il comando positivo offriva l'occasione per un'obbedienza più meritoria e idonea alla formazione umana. Lo stato di innocenza non rimuove la naturale imperfezione dell'uomo "recentemente fatto". Altra cosa è l'atteggiamento "positivo" di Dio, adattato alla condizione infantile dell'uomo. "Dio gli impose alcuni limiti" conformemente alla sua naturale fragilità e debolezza, onde potesse, fedele al comando "positivo" - con il rispetto del puro beneplacito divino, al di sopra dell'ordine naturale -, raggiungere a tempo debito la vita eterna e realizzare l'economia "positiva" della salvezza. Le due prerogative si completavano: la naturale imperfezione dell'individuo corporeo in ordine al fine "divino" gratuitamente assegnatogli.

Antonio Orbe, La teologia nei secoli II e III – Il confronto della Grande Chiesa con lo Gnosticismo" Editore Piemme, 1996, p. 347.

Orbe riafferma il diritto assoluto del padrone Dio nei confronti dell'uomo, al di là di come giustifica tale diritto privando l'uomo di ogni forma di diritto nei confronti di Dio, per estensione uomo privo di diritti davanti ad ogni autorità, al fine di sacrificarlo per il suo divertimento. Dio si diverte ad imporre all'uomo ogni suo capriccio in maniera insindacabile costringendo l'uomo nel dovere di accettare insindacabilmente il volere di Dio a discapito della propria vita.

Quando Orbe dice: "Nello stato di integrità..." ovviamente intende lo stato dell'uomo prima di aver colto dall'albero della conoscenza e, dunque, nello stato di ignoranza rispetto a sé stesso e al mondo in cui vive. In quello stato, dice Orbe il "vigore divino" (poi sul vigore divino espletato dai preti cattolici nei confronti dei bambini ci rifletteremo) non permetteva all'uomo pensieri e immagini che Orbe riteneva "cattivi". Erano pensieri, secondo Orbe, di sottomissione passiva a Dio come il neonato è passivamente sottomesso alla madre e al padre, come il bambino violentato è sottomesso a Gesù. In questa condizione l'individuo non manifesta orgoglio per sé stesso o per i risultati raggiunti attraverso l'uso della propria volontà. Quando sarà un adulto consapevole, allora sarà orgoglioso dei successi che raggiunge mediante il suo lavoro e questo è un orgoglio che qualifica il Dio che quel singolo uomo sta diventando. E il Dio dei cristiani ha paura di questo orgoglio; vorrebbe che ogni risultato raggiunto dall'uomo fosse attribuito al suo intervento in modo di privare uomini e donne della loro dignità.

Quando Orbe dice che: "Le esperienze di Adamo nel paradiso superavano quelle usuali della terra", noi questo non lo sappiamo. La bibbia non dice come viveva Adamo nel paradiso terrestre. Ad essere benevoli viveva in una noia mortale dove lo stato di inconsapevolezza uccideva le emozioni che sorgevano in lui. Al contrario, nel paradiso terrestre, per come descritto nella bibbia di ebrei e cristiani, Dio aveva ottenuto tutto senza dare nulla. Aveva ottenuto quell'uscita dal nulla della sua esistenza che si cortocircuitava su sé stessa e si era fatto un giocattolo, chiamato paradiso, in cui poteva divertirsi a ricattare l'uomo minacciandolo se non avesse obbedito. Dio che si compiace della sofferenza che impone, a chi non si compiace di vivere la sofferenza che Dio si diverte a distribuire, altra sofferenza con minacce e azioni cattive.

Adamo non aveva ricevuto nulla.

Viveva nell'inconsapevolezza della qualità dell'odio di Dio allo stesso modo che i popoli, costretti alla miseria, vivono nell'inconsapevolezza dei meccanismi fisici e psicologici messi in atto dai padroni colonialisti nei loro confronti.

Adamo non aveva nulla finché con Eva non decise di mangiare il frutto della conoscenza. Solo allora ebbe qualche cosa: la consapevolezza di sé stesso. Una cosa che Adamo ed Eva presero, ma che Dio a loro non avrebbe mai dato.

A differenza di quanto affermato da Orbe, Adamo non abusò di un bel niente. Adamo ed Eva, come i popoli schiavizzati da Dio attraverso i suoi rappresentanti, ha rivendicato il diritto alla conoscenza che l'odio di Dio gli negava. Esattamente come i popoli oppressi dai colonialisti cristiani rivendicano il diritto di riprendersi la coscienza di società civile che costruiscono il loro futuro liberandosi dai dominatori.

C'è una distanza che Orbe sottolinea, la distanza fra padrone e schiavo. Solo che, se avesse letto attentamente la sua bibbia, Orbe avrebbe letto che Eva ed Adamo non avevano nessuna intenzione di diventare padroni di uomini, ma volevano solo diventare padroni di sé stessi, nella propria vita.

L'odio di Dio per gli uomini si chiama carità che prevede compiacenza di Dio per gli uomini sottomessi che rinunciano a cogliere dall'albero della vita. Uomini che distruggono la loro vita per nutrire la voracità di Dio. In questo sì c'è un'enorme distanza fra il Dio creatore cristiano, cannibale e vampiro di uomini, e l'uomo e la donna che colgono dall'albero della conoscenza. La domanda da fare ad Orbe sarebbe: noi chi siamo? Cannibali di uomini in nome di Dio o uomini che costruiscono il loro futuro?

Secondo il gesuita Orbe l'uomo, plasmato da Dio, va educato, in coerenza con la sua imperfezione, come un lattante. Orbe assume la stessa posizione teologica assunta da Socrate nel dialogo "Amanti" in cui la filosofia funge da giustificazione del dominio per educare gli uomini all'obbedienza come se fossero cavalli.

Ovviamente il gesuita Orbe racconta cosa sarebbe successo se Dio, il creatore dell'universo di cui conosce le intenzioni al di là del ragionamento sui suoi testi "sacri", avesse proceduto in maniera diversa facendo di Dio, creatore dell'universo, una dimensione logica come se fosse logico, nell'esistenza di Dio, creare l'universo per come lo ha creato. Da quanto è dato sapere, secondo la teologia cristiana, Dio avrebbe potuto creare un universo con una gravità inversa dal momento che nessun cristiano ha mai discriminato sulla logicità di Dio sulla creazione.

Risulta un assurdo teologico affermare una logica, tratto puramente razionale, all'interno di una situazione assolutamente irrazionale come la creazione del mondo da parte di Dio.

Ed è irrazionale, ciò che afferma il gesuita Orbe, irrazionale fino all'assurdo, l'ipotesi secondo cui l'uomo e la donna: "... avrebbe significato formarlo come un essere perfetto, esponendosi al rischio che imputasse alla natura i doni e il destino ricevuti." qualora il Dio cristiano avrebbe proceduto in maniera diversa. E' ovvio il tentativo del gesuita Orbe di allontanare da Dio l'imputazione di delitti e crimini commessi nei confronti dell'uomo per la sua scelta sul come creare l'uomo e la situazione nella quale, secondo i cristiani, lo avrebbe creato. Orbe non fa altro che procedere in linea con l'idea di Paolo di Tarso secondo cui Dio ha creato gli uomini padroni e gli uomini schiavi e gli schiavi devono obbedire ai loro padroni perché in questo modo fanno la volontà di Dio.

Il gesuita Orbe afferma, alla fine di questo ciclo di riflessioni, che Dio aveva un atteggiamento positivo nei confronti dell'uomo mentre imponeva all'uomo la rinuncia alla conoscenza, sia di sé stesso che del mondo, perché l'uomo era infantile in quanto Dio voleva che rimanesse infantile per meglio violentarlo come e quando voleva nella sua fragilità. I limiti che Dio impose all'uomo altro non erano che la negazione dell'uomo stesso, esattamente come i conquistatori colonialisti cristiani imponevano ai popoli colonizzati di rinunciare alla loro cultura e al loro modo di vivere per accettare il ruolo di schiavi dei colonialisti.

Dio aveva un solo scopo.

Quando l'uomo mangiò il frutto della conoscenza, divenne un Dio come il Dio dei cristiani. Dio divenne geloso e arrogante. Ebbe paura dell'uomo e doveva impedirgli di cogliere dall'albero della vita eterna. Solo l'uomo e la donna coraggiosi possono cogliere dall'albero della vita eterna e Dio volle distruggere il coraggio nell'uomo e nella donna attraverso la paura che imponeva sottomissione a Dio e allontanava l'uomo dall'albero della vita eterna costringendo l'uomo a nutrire l'arroganza di Dio privando la sua stessa società umana di tutte le condizioni che avrebbero permesso agli uomini di diventare eterni cogliendo dall'albero della vita.

Per questo fine, gli emissari di Dio spacciano l'illusione dell'eternità promessa da Dio per sottomettere gli uomini rubando loro la possibilità di cogliere dall'albero della vita e di vivere in eterno.

Appare ovvio che degli schiavisti abbiano ideato un Dio a loro immagine e somiglianza e gli schiavisti di oggi, come il gesuita Orbe, alimentano questa ideologia schiavista per assicurarsi il controllo di uomini e donne.

Ciò non toglie che l'oggetto inventato dagli schiavisti è diventato un oggetto in sé che, imposto nella struttura emotiva dell'infanzia, garantisce il perpetuare di una società fatta di schiavi e di schiavisti che si identificano con Dio.

Marghera, 16 marzo 2023

Fine Quarta Parte - continua

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Claudio Simeoni

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