Platone (427 a.c. - 347 a.c.)

L'assolutismo nel Crizia di Platone

di Claudio Simeoni

Cod. ISBN 9788827811764

La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume

 

Filosofia Aperta su Platone

 

Indice degli argomenti:

L'esistenza di Atene rende legittimo pensare che Atlantide sia esistita
Efesto ed Atena dèi padroni di Atene
L'inganno sulla natura degli Dèi
I cani da guardia degli ateniesi: i guerrieri
Platone e l'invenzione del "paradiso terrestre" in un'età dell'Oro
La città ideale di Platone nel Crizia
Le ricchezze del regime di Atlantide
La ricchezza che si produce da sola

 

Gli esoteristi sono alla perenne ricerca di un padrone dal quale far legittimare le loro convinzioni assolutiste. Che sia il Dio cristiano, la dea, il demiurgo o "la forza", il concetto lanciato dai film "Guerre Stellari", che non è altro che le idee positiviste di Buckner (vedi Forza e Materia) o l'Uno dei neoplatonici assunto dall'Uno platonico, non importa. Per l'esoterista l'importante è che si possa affermare l'esistenza di una superpotenza dalla quale trarre la legittimazione del suo dominio o del suo superpotere.

L'esoterismo non è altro che rielaborazione dell'idea cristiana del "super-potere" di Gesù offerto ai seguaci sotto forma di relazione personale con un'entità che, secondo gli esoteristi, cristiani, ebrei, islamici e buddisti, governerebbe, in vari modi, il mondo.

L'idea del Dio padrone, nel caso in esame Poseidone, è un'invenzione di Platone oppure, se preferite, Platone eleva l'idea del Dio padrone a dominatore del mondo. In Platone c'è l'idea del demiurgo ordinatore del mondo e, pertanto, padrone del mondo; poi c'è l'idea dell'Uno come il tutto che, analizzata in varie condizioni "logiche", porta sia all'interpretazione neoplatonica dell'Uno come intelligenza cosmica, sia all'idea dell'Uno come il nulla, l'assenza, della consapevolezza; infine, c'è l'idea del Dio padrone personale, padrone delle società, fonte dalla quale nascono i re e i dittatori, come per il possesso di Atlantide da parte di Poseidone.

Platone elabora tutto il sistema ideologico con cui sottomettere l'uomo, annullare la sua intelligenza, schernire il suo divenuto e rendere miserevole la sua vita portando l'uomo alla stregua del bestiame con cui condividerebbe il destino reincarnazionista.

L'invenzione di Atlantide fu fatta da Platone per legittimare la dittatura, l'assolutismo, contro la democrazia.

 

L'esistenza di Atene rende legittimo pensare che Atlantide sia esistita

se esiste Atene, che cosa vieta di pensare che un tempo Atlantide sia esistita?

Scrive Platone nel Crizia a pag. 1421 - 1422:

Per prima cosa non dimentichiamo che in totale sono passati novemila 9 anni da quando divampò la guerra fra gli abitanti delle terre situate oltre le colonne di Eracle e quelli che sono al di qua. Le fasi di tale conflitto vanno ora raccontate nei particolari.

A capo di una coalizione c'era la nostra Città che, a quanto si dice, sopportò il peso di tutta la guerra. Alla testa dell'altra c'era il re dell'isola di Atlantide, che si tramanda essere stata allora un'isola ancor più vasta della Libia e dell' Asia, mentre ai nostri giorni, sprofondata per l'azione di cataclismi, è ridotta a un bassofondo melmoso che, frapponendosi come ostacolo, impedisce la rotta fra le nostre terre e l'oceano aperto. Le innumerevoli tribù barbariche, e le diverse stirpi elleniche che c'erano allora le incontreremo e ci appariranno chiaramente una per una, man mano si tireranno le fila del discorso. Ma degli Ateniesi e degli avversari di allora con i quali si misurarono, della loro forza e delle loro istituzioni bisogna che vi parli fin d'ora che siamo agli inizi; proprio di questi, insomma, è bene anticipare la trattazione.

Di cosa sta parlando Platone?

Sta fantasticando inventando un racconto che vuole spacciare come storia al solo fine di promuovere principi sociali assolutisti. La sua storia vuole legittimare una struttura sociale e questa struttura sociale era già in atto in un'ipotetica età dell'oro dominata dai re figli di Poseidone. Era il re che determinava l'età dell'oro e non la democrazia che Platone stava combattendo in quel tempo.

Novemila anni prima di Platone, Atene non esisteva. Anche quando, dopo il 3000 a.c. era un piccolo centro Miceneo, Athene non esisteva.

Non si tratta dunque di leggere una storia antica come spesso è stato detto portando molte persone a cercare la mitica Atlantide. Atlantide è una condizione virtuale, fantastica, un gioco letterario, con cui Platone vuole alimentare le aspettative delle persone. Atlantide è un non-tempo in cui Platone vuole inserire la sua storia. Un po' come gli ebrei parlano della creazione, del giardino dell'Eden e di Adamo ed Eva.

A quei tempi, dice Platone, gli Dèi si erano divisi la terra.

La terra era, gli uomini erano e gli Dèi, quegli Dèi concepiti da Platone, si sono autoeletti i padroni della terra e si sono divisi la terra decidendo la propria proprietà privata di uomini e terre.

La proprietà privata non è stata costruita, ma è stata destinata da Giustizia che ingiustamente l'ha attribuita, tirandola a sorte, fra vari Dèi e ignorando gli abitanti di quelle terre e i loro diritti.

La prima ingiustizia che fa Platone è determinata dall'assoluto disprezzo per gli uomini tanto da trasformali in bestiame a disposizione di un Dio padrone che viene determinato da Giustizia. L'ingiustizia assume il volto di Giustizia che nega agli uomini la proprietà e la determinazione nella loro esistenza.

 

Efesto ed Atena dèi padroni di Atene

Scrive Platone nel Crizia a pag. 1422:

A quei tempi gli dèi si erano divisi a sorte, paese per paese, tutta quanta la terra senza che insorgesse alcun motivo di lite. Sarebbe, infatti, inconcepibile che gli dèi ignorassero ciò che a ciascuno di loro conveniva, oppure che, ben sapendo quello che più era confacente ad altri, alcuni avessero voluto impossessarsene al prezzo di contese. Avvenne dunque che essi ottennero, per via del sorteggio fatto da Giustizia, proprio quelle regioni che desideravano, e così si misero a colonizzarle. Dopo di che, come fa il pastore coi suoi armenti, così anch' essi allevarono noi uomini che eravamo per loro possesso e gregge. Con una differenza, però: che gli dèi non usavano corpi per costringere altri corpi, nel modo che i pastori usano per tenere il gregge, cioè a suon di bastonate, ma come per lo più si condurrebbe un animale domestico: cioè guidandolo da tergo. Così appunto gli dèi conducevano e dirigevano la stirpe umana:
secondo il loro disegno, con la forza della persuasione ne tenevano l'animo quasi ne reggessero il timone. Ma, mentre tutti gli altri dèi, chi in un posto chi nell'altro accudivano alle terre ottenute in Sorte, Efesto ed Atena forse perché avevano natura affine essendo figli dello stesso padre, o forse perché avevano le stesse aspirazioni, mossi com'erano dall'amore per il sapere e per l'arte - ebbero ambedue in sorte quest'unica regione, come loro terra di elezione, spontaneamente fertile di virtù e saggezza. Così in essa fecero nascere uomini virtuosi, e ispirarono nelle loro menti l'ordine politico.

Gli Dèi Efesto ed Atena diventano, secondo Platone, i padroni dell'Attica.

Perché unire gli Dèi Efesto e Atena?

Diciamocelo subito, l'ignoranza di Platone è enorme.

A Platone interessa stabilire la gerarchia di padroni che possiedono e in questo caso, Efesto e Atena, possiedono Atene. Dal possesso di Atene, Platone fa declinare la sua ideologia del possesso.

Se Platone fosse stato meno borioso, meno arrogante e meno ignorante avrebbe saputo che il fabbro Efesto non avrebbe potuto forgiare il bronzo senza l'ulivo di Atena.

La boria e l'arroganza di Platone è un insulto all'intelligenza umana. E' un insulto alla società civile. E' un insulto al diritto di libertà dell'uomo.

Oggi, a differenza dei tempi di Platone, sappiamo come l'unità di Efesto e di Atena abbia permesso la fusione e la lavorazione del bronzo anche in situazioni, a differenza dell'Attica, in cui la scarsità di materiale da bruciare poteva comunque portare la temperatura di fusione del bronzo a oltre mille e cento gradi.

Senza la fusione del bronzo non c'erano armi, non c'erano strumenti di lavoro. Solo l'unione fra Efesto e Atena permetteva di forgiare strumenti di bronzo e, con essi, la nascita della città di Atene.

 

L'inganno sulla natura degli Dèi

Scrive Platone nel Crizia a pag. 1422:

I nomi di costoro sono giunti fino a noi; non così la memoria delle loro opere a causa dell'estinzione di chi doveva tramandarla e della distanza di tempo.

Come prima si è detto, la razza che di volta in volta sopravviveva era quella che, abitando sui monti, era priva di cultura e dei signori della pianura aveva sentito solo i nomi e, al massimo, qualche gesta, ma esclusivamente per accenni. Tali uomini erano bensì compiaciuti di imporre questi nomi ai loro figli, ma non si curavano degli avvenimenti dei tempi remoti, o perché erano all'oscuro delle virtù e delle leggi di quegli antichi, o perché ne avevano un'imprecisa conoscenza per sentito dire, o perché, mancando loro e i loro figli per generazioni e generazioni del necessario per vivere, non potevano fare a meno di preoccuparsi di questi bisogni, riservando a ciò ogni loro pensiero.

In sostanza, dice Platone, non è che io vi dico cazzate, ma dal momento che altre esigenze si presentavano agli uomini, sono rimasti i nomi degli Dèi, ma sono state dimenticate le loro imprese.

Per Platone diventa importante cancellare la memoria della realtà della natura divina per imporre una diversa definizione della forma degli Dèi.

Perché gli uomini usassero quei nomi degli Dèi, dice Platone, gli uomini non lo possono sapere e, dunque, io sono autorizzato a spacciarvi una nuova e diversa forma degli Dèi perché voi non avete memoria di che cosa siano, che cosa siano stati o quali sono le imprese che gli Dèi hanno portato a termine.

Questa è premessa dell'inganno messo in essere da Platone sulla natura degli Dèi per costruire i preliminari con cui imporre l'idea del suo Dio assoluto.

Se io faccio dimenticare che gli Dèi sono la struttura emotiva dei viventi, li posso trasformare in una forma che riempio di attributi e di qualità facendo agire quella forma in base ai principi sociali che io ho predeterminato.

Che cosa ho predeterminato? Che il soggetto che chiamo Efesto e il soggetto che chiamo Atena sono diventati i padroni dell'Attica. Non vado alla ricerca sui motivi per i quali gli abitanti dell'Attica hanno eletto quei due nomi a guida delle loro azioni, ma, come fa Platone, affermo che Efesto e Atena sono i padroni dell'Attica.

Per quali delle loro imprese sono diventati i padroni dell'Attica?

Per sorteggio. Ma, attenzione, il sorteggio fatto da Giustizia e, dunque, essendo Giustizia può fare solo cose giuste. Come se Grazia potesse fare solo cose graziose anche quando taglia la gola a qualcuno. In questo modo, secondo Platone, gli abitanti dell'Attica si sono trovati ad essere schiavi di Efesto e di Atena per volere di Giustizia. L'ingiustizia è opera di Giustizia che anziché sottomettere Efesto e Atena agli abitanti dell'Attica, ha fatto il contrario.

E' il discorso perverso di Platone.

Platone ci racconta ciò che conveniva agli Dèi e ciò che agli Dèi conveniva, secondo Platone, era il dominio degli uomini. Per raccontare questo, gli Dèi dovevano essere ridotti a ciò che Platone pensava degli Dèi e non ciò che degli Dèi pensavano gli uomini che li hanno incontrati nella loro vita.

Platone non si chiede sulla qualità divina di Efesto e Atena, Platone proietta su Efesto ed Atena ciò che egli ritiene fosse o facesse Platone se si fosse trovato al posto di Efesto o Atena.

Gli uomini, dice Platone, hanno dimenticato. Ma non sono gli uomini che hanno dimenticato, è Platone che ha cancellato il significato della natura degli Dèi per sostituirlo con la natura del dominio e del possesso che attribuiva agli Dèi.

Scrive Platone nel Crizia a pag. 1422 - 1423:

Lo studio dei miti e la ricerca accurata degli eventi della storia antica subentrarono nelle città, quando si poté constatare che almeno alcuni avevano soddisfatto gli elementari bisogni della vita; prima, infatti, non avrebbero potuto. Ecco allora che di quei progenitori si sono salvati i nomi e non la memoria delle loro imprese. D'altra parte di questa affermazione posso anche fornire la prova.

Solone riferisce che i sacerdoti, descrivendo la guerra di allora, citavano a più riprese i nomi di Cecrope, Eretteo, Erittonio, Erisittone e di altri che per lo più si ricordano come vissuti prima di Teseo. E lo stesso vale per i nomi delle donne. Inoltre, dato che allora l'impegno della guerra era ugualmente condiviso da uomini e donne, perfino nella figura e nelle statue la sacra effigie della dea, in linea con questa consuetudine, era rappresentata armata di tutto punto. Del resto, questa usanza è legittimata dal fatto che tutti gli animali maschi di una stessa razza, e le loro femmine, sono per natura capaci di assolvere in comune i compiti specifici della loro specie.

Le imprese, a cui Platone si riferisce, altro non sono che "il significato degli Dèi", la loro sostanza e la loro realtà, secondo Platone era andato perduto. Solo che Platone dà per scontato che chi adora gli Dèi pensava, come lui, che gli Dèi fossero in forma umana e che fossero stati degli "antichi re" o degli "antichi eroi", ma sempre uomini, con bisogni umani, intenti umani e progetti umani. Come farà poi il cristianesimo.

Per Platone, gli Dèi erano dei padroni a cui gli uomini dovevano obbedire, sottomettersi e onorare.

Se la cultura andò perduta per molte generazioni, come si è conservato il mito?

Come si poteva leggere l'antico Miceneo se alcune lineari greche non siamo ancora in grado di leggerle? Chi parlava degli Dèi? Platone sta inventando un suo modo di pensare gli Dèi, ma dal momento che non può affermarlo direttamente in quanto, nel suo tempo sarebbe stato pubblicamente confutato, preferisce riferire le sue idee a credenze antiche, più antiche di quanto la memoria dei presenti consente di ricordare.

E che cosa ricorda Platone?

La gerarchia sociale assolutistica di Atene.

 

I cani da guardia degli ateniesi: i guerrieri.

Scrive Platone nel Crizia a pag. 1423:

In queste regioni, dunque, abitavano quelle diverse classi di cittadini che si occupavano della produzione dei beni di consumo o dei prodotti della terra. La classe dei guerrieri, invece, fin dall'inizio tenuta separata dagli altri, certo per decisione di uomini divini, abitava in disparte e disponeva di tutto il necessario per vivere e per educarsi. Tuttavia, nessuno di questi guerrieri possedeva qualcosa in proprietà, ma ognuno riteneva che tutto fosse di proprietà comune, e oltre al necessario per vivere niente pretendeva dagli altri cittadini. Il loro compito consisteva nell'assolvere a quelle funzioni che ieri illustrammo, trattando dei nostri ipotetici guardiani. _

Le classi sociali sono per volontà del Dio padrone o, quanto meno, per condizione naturale e sociale e i guerrieri, che "fanno da guardiani" si compiacciono di fare da guardiani e nulla prendono più della loro soddisfazione di fare da guardiani.

Platone, nel descrivere la gerarchia sociale, non solo nega l'uomo, ma i suoi bisogni, il suo divenuto e le sue trasformazioni.

Per Platone gli uomini sono macchine che non rispondono ai loro bisogni, alle loro passioni, ma solo ad una morale e a comportamenti socialmente imposti. Che ne è del "guardiano armato" quando si innamora, quando pretende qualche cosa che desidera? E se la cosa che desidera la desidera più fortemente di colui che la possiede? Come se ne appropria? E perché le classi sociali "basse" devono essere classi sociali "basse" e non desiderare di dominare la città? E perché alcuni individui non possono aspirare a condizioni diverse: desiderare, agire, commerciare, costruire delle relazioni, ecc.?

I cristiani hanno spacciato questo modello sociale di Platone come un "modello comunista", mentre era solo il modello della gerarchia che vige in un campo di sterminio. Mentre per Marx il comunismo è l'attività di trasformazione del presente in funzione della soddisfazione dei bisogni umani, per i cristiani il comunismo è l'organizzazione del campo di sterminio dove ogni soggetto occupa il suo ruolo e deve obbedire al ruolo che occupa o i guardiani, i capò, interverranno per riportarlo all'ordine.

Il regno della felicità per Platone è il regno della gerarchia.

La gerarchia è la condizione nella quale vive l'uomo. L'uomo si annulla nella gerarchia. L'uomo diventa solo uno strumento di una macchina che deve funzionare per il "bene". Un bene che non è dell'uomo, ma che è il "bene" della città, del suo padrone.

I "guardiani" possono vessare i cittadini mantenendoli all'interno della gerarchia perché loro, non prendendo nulla più di quanto necessita loro, hanno solo la necessità di vessare i cittadini per mantenerli nel ruolo destinato. Si tratta della perversione del dominio elevata a forma ideologica. Almeno il sadismo di De Sade era finalizzato alla soddisfazione della sessualità, in Socrate il sadismo sociale è fine a sé stesso. Pura perversione del dominio ideologico che trova soddisfazione nel costringere l'altro, il cittadino, a non-essere. E' la perversione ideologica propria del campo di sterminio che soddisfa i carnefici nell'attesa di sterminare i prigionieri.

 

Platone e l'invenzione del "paradiso terrestre" in un'età dell'Oro

L'età dell'oro di Platone è un'età mitica nella quale il diritto di dominare l'uomo, ridurlo alla servitù, era favorita dalle condizioni della terra dell'Attica. Intanto il territorio su cui dominava Atene, secondo Platone, novemila anni prima di lui, era una regione che superava tutte le altre per fertilità. Con queste caratteristiche, dice Platone, poteva sostenere un grande esercito senza costringere i soldati a lavorare la terra.

Anche oggi, dice Platone, la parte di terra che ci è rimasta è molto fertile, sono che allora, novemila anni prima, "…alla eccellenza dei frutti s'aggiungeva anche una straordinaria abbondanza".

Oggi la ricerca archeologica non solo ci dice che questo non è vero, ma ci dice che a quei tempi Atene non esisteva.

C'è da chiedersi, allora perché Platone si è inventato una situazione inesistente, improbabile e volutamente fantasiosa facendola passare per vera e mettendola a fondamento del proprio discorso?

Perché questo gli dava modo di dare una sorta di legittimità alle idee che voleva propagandare in antitesi al presente sociale che le avrebbe rifiutate. Le sue idee sociali erano legittime perché con quelle idee sociali si era prodotta la società dell'oro. Una società "ideale" che, in un tempo lontano, aveva prodotto la felicità. Solo che le idee sociali di Platone non portavano alla felicità, ma solo al dolore sotto una gerarchia che veniva legittimata dalla credenza in una società portatrice dell'età dell'oro in cui quella gerarchia aveva regnato.

Come si fa a credere che quanto dice Platone sia vero?

Platone sa di dire cose false per intenti malvagi, tuttavia afferma che in novemila anni la morfologia del territorio è cambiata per effetto di terremoti e di trasformazioni che hanno eliminato tutta la terra fertile e rimpicciolito l'Attica.

Tutta la terra fertile, in seguito ai terremoti, è sparita nel mare. Come succede nelle piccole isole, dice Platone, è accaduto all'Attica facendo rimanere solo le montagne brulle come ossa di un malato.

Platone si sta dimenticando che questa non è una prova che quanto sostiene è vero, queste sono affermazioni gratuite che non dimostrano nulla, ma si limitano ad asserire. Asserisce che prima i monti erano ricchi di terra fertile mentre, ora, sono brulli. Allora erano ricchi di selve mentre, ora, questi monti sono appena in grado di alimentare le api. Allora si tagliavano alberi per costruire i tetti a grandi edifici che, dopo novemila anni, sono ancora intatti.

L'età dell'oro di Platone si muove fra il gran numero di alberi coltivati, pascoli a non finire e bestiame in grande quantità. L'età dell'oro di Platone è analoga alle condizioni auree dei contadini del Veneto che sognavano "mari de tocio e montagne de polenta".

In quell'età dell'oro la stessa pioggia non andava sprecata, ma se ne sfruttava ogni singola goccia. Platone trova la dimostrazione di quanto afferma osservando che, ancora alla sua epoca, gli antichi templi erano eretti vicino alle fonti.

In quell'età dell'oro c'erano "veri contadini", non quelli del suo tempo che Platone disprezzava. Contadini che "…dotati di un particolare gusto per il bello e di buone doti naturali, e padroni di una terra di ottima qualità e ricchissima d'acqua, e, oltre che dalla terra, favoriti anche da un clima straordinariamente temperato".

I contadini non erano gente che faticava sotto il sole, ma erano persone docili, sottomesse e dedite al bello. Dove per bello Platone vuole significare la bellezza dell'essere sottomessi al re, facendo volentieri e con passione i voleri del re.

L'antica e potente città di Atene che Platone spaccia come una dose di eroina ai suoi contemporanei non solo non è mai esistita, ma i suoi stessi contemporanei la considerano un'invenzione di Platone alla quale non dare molto credito.

Tuttavia, la concezione dell'esistenza di un tempo mitico in cui si poteva vivere senza lavorare e senza tribolare, come avveniva nel tempo presente, ha invaso l'immaginario umano.

Se il concetto di "età dell'oro" viene elaborato da Esiodo per spiegare la caduta dell'uomo nell'era presente, è Platone che rende socialmente attuale un'idea di "età dell'oro" per giustificare la dittatura sociale contro le spinte democratiche. Il tempo del padrone caratterizzato dalla ricchezza mentre, il tempo presente, nella democrazia, caratterizzato da lavoro, impegno e fatica. La democrazia implica fatica mentre, la schiavitù al padrone, implica felicità e ricchezza. Platone si identifica col padrone a cui tutti debbono deferenza.

 

La città ideale di Platone nel Crizia

Dell'assetto urbanistico dell'antica Atene, a Platone interessa soltanto com'era organizzato l'aspetto militare. I contadini, i commercianti, gli artigiani non appaiono come dei soggetti che abitano la città. In nome dell'assolutismo militare, al quale Platone vuole assoggettare Atene, solo i militari, le loro famiglie e i loro alloggiamenti sono importanti.

Platone ci tiene a dire che sì i militari erano dei feroci terroristi, ma non prendevano nulla più di quanto servisse loro e mantenevano un equilibrio fra la grande abbondanza e la miseria.

I militari si limitavano a prendere agli abitanti senza dare loro nulla.

Però, a questo punto, ci sorge un dubbio: che cos'è il diluvio di Deucalione?

Il Crizia è attribuito a Platone nel IV° secolo a. c. ed è forse la più antica citazione di Deucalione al cui periodo viene attribuito un ipotetico "diluvio universale".

Se l'idea del diluvio universale è un'idea che abbiamo imparato a considerare da parte degli ebrei che dal diluvio universale fanno partire la loro storia, il diluvio universale appare assolutamente fuori luogo e fuori da ogni struttura del Mito quando è usato da Platone.

Il problema è se Platone ha introdotto in Grecia l'idea del diluvio universale attraverso la quale azzerare la storia precedente della Grecia o se, come appare improbabile, la storia del diluvio universale sia stata costruita prima pur non apparendo né in Omero né in Esiodo.

Il racconto di Deucalione appare nella Biblioteca di Apollodoro, una raccolta di "miti" abbastanza tarda e comunque posteriore al Crizia di Platone, troppo posteriore per non pensare che il racconto sia stato introdotto da Platone allo scopo di stuprare il Mito greco. Nella storia del diluvio attribuita a Deucalione, Zeus non è il Dio di Esiodo, ma è un Dio molto più vicino al Dio padrone degli ebrei.

Lo stesso assetto dell'Atene antica non ha nulla a che vedere con la Democrazia, ma è molto più vicina alla dittatura di Crizia che con i trenta tiranni sta distruggendo la società Ateniese.

La necessità di Platone di mettere l'accento sui militari, sui loro diritti, sui loro privilegi limitati non dalle leggi, ma dalle loro scelte morali, è il fondamento della dittatura assolutista che ha distrutto l'intera società civile.

Scrive Platone nel Crizia a pag. 1424:

La parte esterna e le falde dell'Acropoli erano abitate dagli artigiani e dai contadini che lavoravano la terra lì intorno; ma la parte alta, nella zona del tempio dedicato ad Atena ed Efesto era occupata esclusivamente dalla classe dei guerrieri, che anzi l'avevano completamente circondata con un muro di cinta, quasi si trattasse del parco li un'unica villa. Questi abitavano nella parte esposta a nord, dove erano stati dislocati gli alloggiamenti e le mense comuni invernali, e tutto quanto serviva alla vita collettiva in fatto di abitazioni e di templi; non c'era posto, invece, né per l'oro né per l'argento di cui peraltro non facevano alcun uso. Cercavano invece il giusto mezzo fra un'abbondanza eccessiva e la miseria, e in conformità di ciò si erano costruiti delle case decorose nelle quali essi stessi coi rispettivi nipoti rimanevano fino all' età della vecchiaia, per poi tramandarle ad uomini della loro medesima indole.

E ancora: p. 1425

Tale era, dunque, il loro regime di vita, ed essi, ad un tempo difensori dei loro concittadini e guide ben accette agli altri Greci, badavano soprattutto che Il numero degli uomini e delle donne già in età da soldato o ancora in età da soldato, rimanesse sempre quanto più è possibile costante, vale a dire sulle {E] ventimila unità. Questa, dunque, era la loro indole, e nel modo che s'è detto, essi non cessavano di dirigere l'Ellade e la loro città secondo giustizia.

Militari che sono a guardia dei contadini e degli artigiani ai quali rubano il lavoro per mantenere sé stessi. Questo è l'assetto ideale di Platone che nega, di fatto, ai contadini e agli artigiani ogni diritto sociale se non quello di "essere protetto" dai militari che equivale al diritto di poter essere macellati dai militari qualora i militari ritengano che sia giusto macellarli.

Qualunque altro cittadino di Atene, per Platone, è solo merce, oggetto privo di diritti in quanto tutto dipende non dalle leggi che impongono doveri al più forte, ma solo a leggi che impongono al più debole di essere sottomesso al più forte.

La società è creata dal Dio. Il Dio è il padrone della società. Il Dio fa della società quello che vuole perché è il padrone degli uomini di quella società.

Questo concetto platonico, dell'uomo schiavo di un Dio che trasforma il mondo in cui l'uomo vive e pertanto che fa dell'uomo uno schiavo del Dio al quale l'uomo ha il "diritto" di obbedire, è un concetto ripreso dagli ebrei che, schiavi a Babilonia, fanno del concetto di obbedienza al padrone il medesimo concetto dogmatico-ideologico dal quale far derivare la loro società.

Se l'idea di sottomissione all'assolutismo del padrone nella bibbia cristiana appare rozzo, nella definizione di Platone lo stesso concetto è espresso con maggiore eleganza. E' espresso in modo da coinvolgere l'attenzione del lettore nelle azioni del Dio. E' espresso in modo da far sparire dall'orizzonte della sua attenzione le condizioni di vita dell'uomo in relazione alle pretese del Dio giustificate dalle sue azioni.

La terra è stata estratta a sorte fra gli Dèi.

La terra non appartiene a chi la abita, ma ad un padrone al quale è toccata in sorte.

Il padrone non è tale perché ha messo in atto azioni delittuose finalizzate al dominio sugli uomini, ma perché gli è toccata in sorte quella proprietà, quel dominio, quel possesso.

Dall'idea di Platone secondo cui al Dio è toccata in sorte quella proprietà, deriva il concetto di "provvidenza divina". Perché quella terra non è toccata in sorte agli uomini, agli uomini di quella terra, ma a Poseidone?

Si tratta del trasferimento in una condizione di legittimazione trascendentale del diritto del Tiranno Crizia, di essere il padrone della città di Atene. Crizia non ha messo in atto azioni delittuose contro i cittadini di Atene diventandone il loro tiranno, ma a Crizia è toccata in sorte diventare il tiranno di Atene.

Platone elabora il concetto cristiano della predestinazione come manifestazione della volontà di Dio alla quale le persone sono tenute a sottostare perché la loro condizione sociale è voluta da dio.

Nel cristianesimo, l'idea di sottomissione degli uomini al Dio suona come:

"Servi siate sottomessi con ogni rispetto ai vostri padroni, non solo a quelli che sono buoni e ragionevoli, ma anche a quelli di carattere intrattabile. Poiché piace a Dio che si sopportino afflizioni per riguardo verso di lui, quando si soffre ingiustamente. Infatti che gloria c'è nel sopportare ed essere battuti, quando si ha mancato? Ma se voi, pur avendo agito rettamente, sopportate sofferenze, questo è gradito davanti a Dio. Anzi è appunto a questo che voi siete chiamati, perché Cristo pure ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio affinché ne seguiate le orme."

Prima lettera di Pietro 2, 18-20

E ancora:

"Ognuno sia soggetto alle autorità superiori; poiché non c'è autorità che non venga da dio, e quelle che esistono sono costituite da dio."

Paolo di Tarso lettera i Romani 13,1

Platone dice che gli abitanti di Atlantide devono obbedire a Poseidone perché Poseidone ha avuto in sorte la terra di Atlantide.

Non esistono abitanti in Atlantide, per Platone solo i figli di Poseidone sono degni di attenzione. Per Platone, solo i tiranni sono degni di attenzione.

Lo vedete il Poseidone di Platone a lavorare?

Scrive Platone nel Crizia a pag. 1425 – 1426:

Non faceva eccezione neppure Poseidone il quale, ottenuta in sorte l'isola di Atlantide, fissò la dimora per i figli che aveva avuto da una donna mortale in un certo luogo dell'isola che aveva all'incirca questa conformazione. Dal mare al centro dell'isola era tutta una pianura, certo, fra tutte le pianure, la migliore, e, a quanto si dice, anche notevolmente fertile. Non distante dalla pianura, a circa cinquanta stadi dal suo centro, si ergeva un monte, non molto elevato in ogni sua parte.

Qui aveva dimora uno degli uomini che originariamente erano nati dalla terra; il suo nome era Euenore ed abitava con la moglie Leucippe. Ebbero una sola figlia, Clito, la quale, non appena fu in età da marito rimase orfana di padre e di madre. Poseidone, preso da passione, giacque con lei. Così scavò tutt'intorno quell'altura in cui la fanciulla abitava, formando come dei cerchi concentrici alternativamente di mare e di terra ora più larghi ora meno larghi: due di terra e tre di mare quasi fossero circonferenze con centro nell'isola, {E] e da essa perfettamente equidistanti. In tal modo, quel luogo risultava inaccessibile agli uomini, tenuto conto del fatto che allora non c'erano ancora né le navi né l'arte della navigazione. Lo stesso Poseidone poi, in quanto dio, non ebbe difficoltà a render splendida l'isola che stava al centro, suscitando due fonti dalla terra - l'una che scorreva dalla sorgente in un rivo d'acqua calda, l'altra d'acqua fredda -, e facendo spuntare dal suolo ogni genere di pianta commestibile in grande quantità.

Guarda, appare un uomo. Euenore che con la moglie Leucippe erano "nati dalla terra". La domanda sorge spontanea: perché a loro non è toccata in sorte Atlantide? Perché a Poseidone sì e a loro no?

Perché per Platone loro, gli uomini, sono oggetti d'uso del Dio. Esattamente come i cittadini di Atene sono oggetti d'uso da parte del tiranno Crizia.

Euenore e Leucippe hanno una figlia. Dopo di ché hanno la decenza di "togliersi dalle "scatole"", di morire, in modo che Poseidone, senza intoppi, possa trasformare la loro figlia in un oggetto d'uso.

Io non vedo il Poseidone di Platone che col tridente scava intorno all'altura in cui la fanciulla abitava. Scavò in cerchi concentrici ora di terra e di mare in modo da isolare l'abitazione della fanciulla di cui Poseidone si era invaghito.

In sostanza, come piace a Platone, Poseidone ha rinchiuso il suo oggetto d'uso, la fanciulla, entro una prigione isolandola dal mondo degli uomini. Lei, umana nata dagli uomini, privata dell'essere umana nata fra gli uomini e trasformata in un oggetto d'uso del Dio Poseidone. Un oggetto d'uso con cui generare cinque coppie di gemelli maschi.

Naturalmente, Platone si guarda bene dal dire come Poseidone abbia generato cinque coppie di gemelli maschi, non ci dice chi è la madre, ma ci lascia intendere che fosse la figlia di quei due disgraziati che si sono tolti dalle palle.

L'uso di Clito fatto da Poseidone è lo stesso uso che il Dio padrone cristiano fa di Maria. E' probabile che Clito sia il modello dal quale i cristiani hanno attinto. Mentre Platone non ci dice nulla di che cosa pensa Clito dell'azione di Poseidone, Luca ci racconta che la Maria dei cristiani fonda l'ideologia della prostituzione per magnificare il suo violentatore. Un naturale sbocco del pensiero di Platone che in Luca suona nelle lodi di Maria al suo stupratore:

46]Allora Maria disse:

L'anima mia magnifica il Signore[47] e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, [48]perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. [49]Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: [50]di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. [51]Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; [52]ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; [53]ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. [54]Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, [55]come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.

Dal vangelo di Luca 1, 46 - 55

Come la Maria dei cristiani è l'oggetto d'uso con cui il Dio padrone genera Gesù, così Clito è l'oggetto d'uso di Poseidone. Sia Maria che Clito spariscono da ogni storia perché, generare il figlio o i figli del padrone, era il loro unico ruolo nella storia. Della Maria dei cristiani rimane l'ideologia del controllo sessuale: la vagina vergine. Non sono persone che hanno vissuto, ma sono bestiame posseduto con cui il Dio padrone ha fatto qualche cosa e poi le ha scartate come fossero spazzatura.

Se questo è il meccanismo della storia raccontata da Platone e da Luca, sta di fatto che l'ovulo femminile fa entrare quello e solo quello spermatozoo. Dal momento che il contributo alla nascita del figlio è al cinquanta per cento patrimonio della madre con l'intervento del padre, va da sé che Clio è uguale a Poseidone esattamente come Maria è uguale al Dio padrone e creatore dei cristiani.

L'elemento centrale che sia i cristiani che Platone vogliono ignorare è l'uguaglianza degli uomini con dio, il loro Dio padrone. Un'uguaglianza che nasce proprio dalle relazione che il dio, che pretende di essere un Dio padrone, ha con gli uomini per i suoi interessi che, guarda caso, sono interessi riconducibili all'ambito umano.

Il colpo di bacchetta magica del Dio padrone dei cristiani è uguale al colpo di bacchetta magica con cui Platone vuole che Poseidone faccia apparire le fonti.

Scrive Platone nel Crizia a pag. 1426:

"Lo stesso Poseidone poi, in quanto dio, non ebbe difficoltà a render splendida l'isola che stava al centro, suscitando due fonti dalla terra - l'una che scorreva dalla sorgente in un rivo d'acqua calda, l'altra d'acqua fredda -, e facendo spuntare dal suolo ogni genere di pianta commestibile in grande quantità.".

La cosa fa il pari con il Dio cristiano per il quale non è un problema creare "il cielo e la terra" per cui esserne il padrone.

I principi ideologici che si manifestano con il racconto di Atlantide di Platone è l'idea di Crizia che si pensa padrone degli ateniesi in quanto Crizia è tiranno per volontà di Poseidone esattamente come, per il Dio dei cristiani, gli schiavi sono schiavi per volontà del loro Dio padrone. Per questo motivo gli uomini non solo spariscono dall'orizzonte del Dio Poseidone che si separa da loro costruendo i fossati. Gli uomini non sono nemmeno presi in considerazione da Giustizia per partecipare al sorteggio come proprietari del mondo.

Poseidone divide il "regno" di Atlantide fra i suoi figli che, in quanto figli del Dio Poseidone, sono padroni essi stessi. Come Gesù che pretende di essere il padrone degli uomini in quanto figlio del Dio padrone.

Platone introduce il concetto di "discendenza di sangue". I figli del Dio Poseidone sono i privilegiati rispetto a tutti gli uomini e a quei privilegiati Poseidone dà il potere nelle rispettive terre.

Non sono padroni di uomini perché hanno violentato gli uomini pretendendo di essere i loro padroni, ma sono padroni di uomini per "lignaggio", per destino, per "sangue", per discendenza perché, nell'idea di Platone, da un Dio può nascere solo un Dio. Peccato che Clito non fosse un Dio e ha contribuito, geneticamente, al 50% del "patrimonio genetico" o, se volete, "del sangue" dei suoi figli. Euripide nel 432 scrive Medea che per punire Giasone, seguendo le convinzioni ideologiche di Platone, uccide i figli che non ritiene suoi, ma di Giasone anche se lei li ha tenuti in grembo. Ma, secondo voi, che ne sapeva Platone del "patrimonio genetico"? Possiamo imputare a Platone la non conoscenza della concorrenza del patrimonio genetico femminile nel nuovo nato? Certamente no! Non glielo possiamo imputare, ma gli possiamo imputare la discriminazione di genere.

Cosa autorizzava Platone a non considerare Clito, e con essa la donna, nella nascita dei bambini? Cosa autorizzava Platone a considerare la donna un essere socialmente inferiore? Una non persona, tant'è che nel processo di reincarnazione, inventato da Platone, gli uomini malvagi si reincarnano in donne?

Scrive Platone nel Crizia a pag. 1423:

Inoltre, dato che allora l'impegno della guerra era ugualmente condiviso da uomini e donne, perfino nella figura e nelle statue la sacra effigie della dea, in linea con questa consuetudine, era rappresentata armata di tutto punto. Del resto, questa usanza è legittimata dal fatto che tutti gli animali maschi di una stessa razza, e le loro femmine, sono per natura capaci di assolvere in comune i compiti specifici della loro specie.

Per quale folle idea Platone non vedeva la compartecipazione delle donne nel fare figli se poteva osservare come molti figli assomigliavano alla madre? Con Platone non parliamo di "logica". Platone ha il solo scopo di diffondere malvagità per fini di dominio ideologico. Per questo spargeva odio e disprezzo nei confronti delle donne.

Non siamo davanti all'affermazione del tipo: questa era la società di allora! Non esisteva una codifica delle relazioni interpersonali che indicava al filosofo di fissare una condizione sociale. Come il filosofo non era autorizzato ad argomentare sugli Dèi perché gli Dèi non rientrano nell'argomentazione razionale (infatti erano i poeti che parlavano degli Dèi) così non era autorizzato ad elevare a condizione divina la condizione sociale che incontrava a meno che non avesse degli interessi specifici per imporre una gerarchia, come appare nella dittatura antidemocratica di Crizia che doveva separare le donne dalla società.

 

Le ricchezze del regime di Atlantide

Perché si conservò la gerarchia della monarchia di Atlantide?

Platone ce lo dice.

La Monarchia di Atlantide si conservò per una lunga serie di generazioni perché il re "tramandava il suo titolo al più anziano dei figli".

Ora, Platone non dice qual era il costume di Atlantide, ma afferma il motivo per cui in Atlantide la dinastia si conservò e accumulò grandi ricchezze.

Scrive Platone nel Crizia a pag. 1426:

La progenie di Atlante fu, dunque numerosa e gloriosa; e siccome a ricoprire il titolo di re era il più vecchio e questi tramandava sempre il suo titolo al più anziano dei figli, avvenne che la dinastia si conservò per una lunga serie di generazioni. Così questi sovrani accumularono una tal quantità di ricchezze, quanta mai n'ebbe una monarchia precedente, né facilmente avrebbero potuto averne altre successive in quanto disponevano, oltre che delle ricchezze della Città, anche di quelle che tutto il resto del paese era in grado di fornire.

In sostanza, non era Atlantide uno Stato ricco, ma ad Atlantide c'erano dei ricchi che avevano tutto e tutto avrebbero potuto avere. Non solo dei beni prodotti dalla città, ma anche dei beni prodotti in tutto il paese.

Il concetto che introduce Platone è la legittimazione della ricchezza del padrone per diritto di essere il padrone. Il concetto di monarchia assoluta che incontriamo nei vangeli e nella bibbia viene anticipato da Platone attraverso il discorso nel Crizia in cui il tiranno Crizia non si permette di giustificare sé stesso in quanto tiranno, ma gioca sulle illusioni affinché gli ascoltatori parteggino per una monarchia di cui lui è il re possibile.

La discendenza dal primogenito dei re di Atlantide, fa di pari passo con il vangelo di Matteo che tende a costruire la discendenza di Gesù. Se per tutto il vangelo di Matteo Gesù è il figlio del Dio padrone, all'inizio del vangelo Matteo vuole dimostrare come Gesù discenda da una sorte di "stirpe reale" che ne legittima le sue pretese assolutistiche.

Scrive Matteo:

Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli,Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram,Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn,Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.

Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf,Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia,Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia,Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia,Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.

Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor,Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.

La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici.

Vangelo di Matteo 1, 1-17

Come Platone fa discendere i motivi della ricchezza dei re di Atlantide da una discendenza di sangue, così Matteo fa discendere la pretesa sapienza di Gesù da una discendenza di sangue.

E' la discendenza dal padrone che determina il dominio. E' la predestinazione che determina il dominio, la ricchezza, la sapienza.

In sostanza, per gli sviluppatori di questa idea, è sempre il dio, il Dio padrone della bibbia o Poseidone per Platone, che permangono nella loro discendenza come se nel sangue ci fosse un processo reincarnazionistico capace di legittimare l'individuo in quanto "incarnazione" del dio.

Perché Matteo afferma che Gesù è "sapiente" e padrone degli uomini?

Perché discende da Abramo.

Perché Platone afferma che la discendenza di Atlantide è ricca e prospera?

Perché discende da Poseidone.

In tutte queste discendenze la donna è sparita.

Tutti sono figli del Dio padrone e tutti discendono da un maschio e non da una donna. La donna non esiste. Non ha parte. Non è un soggetto pensante. La donna non contribuisce alla nascita dell'uomo anche se lo contiene per nove mesi nella sua pancia. Anche se la coscienza dell'uomo si genera supportata per scissione della struttura emotiva della donna.

Il ruolo della donna era conosciuto nella nascita dell'uomo, ma era necessario negare il ruolo della donna nella nascita dell'uomo per impedire alla donna di compartecipare alle decisioni della vita civile.

Platone, come i cristiani, non negano il ruolo della donna perché non sanno, ma negano il ruolo della donna perché solo trasformando la donna in un oggetto d'uso possono usarla per controllare i comportamenti dell'uomo nella società.

In tutta la discendenza di Poseidone non appare la donna se non quella di cui si invaghisce Poseidone. In tutta la discendenza di Gesù non appare una donna se non quella che il Dio padrone cristiano usa per i suoi scopi. E, allora, perché affermare una discendenza di Gesù da Abramo se non esiste, di fatto, nessun rapporto di Gesù con Abramo dal momento che Giuseppe non è il padre di Gesù, ma solo la marionetta usata dal Dio dei cristiani?

 

La ricchezza che si produce da sola

Chi produce la ricchezza ad Atlantide?

Gli operai che lavorano? I contadini? Gli artigiani? Gli schiavi?

No! La terra, in quanto posseduta dal Dio e dalla sua progenie, produce la ricchezza di merci, di legname, di frutti, di metalli e di quant'altro forma la ricchezza.

Come nei vangeli, anche in Platone che li ha preceduti, il lavoro dell'uomo scompare. L'uomo non modifica l'ambiente per produrre la ricchezza, ma l'ambiente produce la ricchezza da sé.

Se l'ambiente, posseduto dal dio, produce la ricchezza da sé, il possessore della ricchezza, il discendente del dio, è il distributore della ricchezza. Ma se è il lavoro dell'uomo a produrre la ricchezza attraverso la trasformazione delle merci in prodotti, l'uomo può rivendicare dei diritti nei confronti del "re" quand'anche fosse figlio del Dio Poseidone.

Platone ha il problema di far sparire la gente, le persone, per impedire alle persone di rivendicare un qualche diritto davanti al re. Crizia non può tollerare, in quanto tiranno, che gli abitanti di Atene abbiano un qualche diritto nei suoi confronti. Il tiranno, per Platone, non deve avere dei doveri nei confronti della città, ma solo dei diritti che gli abitanti di quella città devono ritenersi in diritto di soddisfare.

Il meccanismo psicologico col quale si legittima la schiavitù e la tirannia è sempre lo stesso: è il tiranno o il re che costruiscono le case, i ponti o i templi, non i cittadini che mettono insieme cemento e mattoni.

Scrive Platone nel Crizia a pag. 1427:

Insomma, finché rimase sotto il sole, quell'isola beata produceva tutto questo ben' di dio, in grandissima quantità e di qualità straordinariamente buona.

Sfruttando ognuna di queste risorse della terra i re di Atlantide poterono costruire templi, regge, porti, cantieri e attrezzare il resto della regione nel suo complesso nel modo seguente.

Da questo meccanismo inventato da Platone nasce la strategia cristiana del "ringraziare dio" ogni volta che gli uomini hanno costruito qualche cosa. Si ruba agli uomini il merito del loro lavoro, dell'uso della loro volontà, e li si riduce a nulla affinché "… non si vantino davanti a dio". La strategia cristiana di umiliare il costruttore serve ai cristiani per costruire la miseria sociale.

Questa strategia nasce da Platone che fa del tiranno il soggetto padrone per volontà o discendenza del dio, qualunque sia il nome di quel dio, e annulla gli uomini e il lavoro degli uomini per la gloria del tiranno.

Scrive Platone nel Crizia a pag. 1427:

Come ciò non bastasse, quelle piante aromatiche che ancor oggi la terra produce - radici, foglie, legni, o resine stillanti dai fiori o dai frutti -, non solo crescevano anche allora, ma erano di ottima qualità.

Lo stesso dicasi per la frutta fresca e quella secca, assai nutriente, e di quei vegetali commestibili che [B) complessivamente chiamiamo legumi. E ancora là si trovava quel tal frutto legnoso ricco di succo, di polpa e di profumo; quel frutto d'albero che si mangia per gioco e per diletto, ma che è difficile da conservare; quelli, così ricercati, che si portano a tavola a fine pranzo per alleviare chi è appesantito da un eccesso di cibo. Insomma, finché rimase sotto il sole, quell'isola beata produceva tutto questo ben di dio, in grandissima quantità e di qualità straordinariamente buona. Sfruttando ognuna di queste risorse della terra i re di Atlantide poterono costruire templi, regge, porti, cantieri e attrezzare il resto della regione nel suo complesso nel modo seguente.

Nel paese del bengodi nessuno lavora e il re provvede a costruire.

Il re costruisce i templi che non servono agli uomini, ma non si sa bene a che cosa debbano servire. I re, naturalmente, non costruiscono case, ma regge per sé stessi. Costruiscono i ponti e attrezzano la regione.

Platone ci racconta la struttura di una dittatura e come quella struttura renda felici le persone che si identificano con la felicità del re. Con la ricchezza del re. Con la bravura del re. Con la discendenza di sangue del re.

In Platone gli uomini appaiono come non-persone che si muovono in un mondo che non appartiene a loro e al quale loro appartengono solo come contorno, comparse, fantasmi che si muovono silenziosi senza passioni né desideri.

Questa è la società ideale di Platone.

La domanda da porsi è: quale ruolo pensa di poter svolgere Platone in questa società?

Platone si immedesima con il re o si immedesima con un popolo fantasma che si muove in silenzio per non disturbare la ricchezza del re?

 

Nota: Il testo da cui son state tratte le citazione è Platone "Tutti gli scritti" a cura di Giovanni Reale ed. Bompiani 2014 traduzione di Roberto Radice.

Marghera, 11 giugno 2017

 

Pagina tradotta in lingua Portoghese.

Tradução para o português Platão o idealizador da ditadura.

 

 

La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume

 

Filosofia Aperta su Platone

 

vai indice del sito

Quando un percorso sociale fallisce o esaurisce la sua spinta propulsiva, è bene tornare alle origini. Là dove il pensiero sociale è iniziato, analizzare le incongruenze del passato alla luce dell'esperienza e abbattere i piedistalli che furono posti a fondamento del percorso sociale esaurito.

Vai all'indice della Filosofia Aperta

Marghera, 11 giugno 2017

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

Tel. 3277862784

e-mail: claudiosimeoni@libero.it

La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.